Reggio Calabria, blitz contro la cosca Labate: quattro arresti. Il pm ai cronisti: “Raccontate, la mafia vive di silenzi”
Raccontare la ‘ndrangheta perché la ‘ndrangheta si alimenta di silenzi. È il messaggio che il procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo ha lanciato nel corso della conferenza stampa sull’operazione “Monastero” contro la cosca Labate, che martedì mattina ha portato all’arresto di quattro persone: due boss, Franco e Michele Labate, il figlio quarantenne di quest’ultimo, Paolo […] L'articolo Reggio Calabria, blitz contro la cosca Labate: quattro arresti. Il pm ai cronisti: “Raccontate, la mafia vive di silenzi” proviene da Il Fatto Quotidiano.

Raccontare la ‘ndrangheta perché la ‘ndrangheta si alimenta di silenzi. È il messaggio che il procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo ha lanciato nel corso della conferenza stampa sull’operazione “Monastero” contro la cosca Labate, che martedì mattina ha portato all’arresto di quattro persone: due boss, Franco e Michele Labate, il figlio quarantenne di quest’ultimo, Paolo Labate, e un altro soggetto, Antonino Laganà. L’ultimo è stato sottoposto alla custodia cautelare agli arresti domiciliari, i primi tre in carcere. Conosciuti con il soprannome di “Ti Mangio”, i Labate sono i padroni di Gebbione, quartiere della periferia sud di Reggio Calabria: nell’inchiesta, condotta dai carabinieri del Ros e coordinata dal procuratore Lombardo e dall’aggiunto Walter Ignazitto, la Direzione distrettuale antimafia contesta a tutti gli indagati il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso.
L’indagine è iniziata nel 2019 e ha consentito di documentare gli assetti della cosca, già colpita nel 2020 dall’operazione “Heliantus”. Da allora, secondo la Procura, non è cambiato nulla: i “Ti Mangio” hanno mantenuto inalterato il loro pervasivo controllo sul tessuto economico di Gebbione. Con il boss Pietro Labate da diversi mesi ormai colpito da demenza senile – e ritenuto incapace addirittura di stare in giudizio – le redini della cosca sono passate ai suoi fratelli, Francesco e Michele. Secondo quanto ricostruito dalle indagini, il core business della famiglia di ‘ndrangheta è sempre lo stesso: i commercianti di Gebbione subivano sistematiche azioni vessatorie per costringerli a vendere determinati prodotti alimentari o a pagare il pizzo. Su questo fronte il boss Michele Labate sarebbe stato coadiuvato dal figlio Paolo che, durante il periodo di carcerazione del padre, manteneva rapporti con gli imprenditori legati alla cosca, agevolando e coordinando l’infiltrazione in lucrosi settori di espansione economica, tra cui quello della grande distribuzione alimentare.
L’indagato Antonino Laganà, invece, avrebbe veicolato messaggi e ambasciate, riscosso proventi estorsivi e eseguito azioni ritorsive. Ma soprattutto avrebbe mantenuto rapporti con i rappresentanti della comunità rom al fine di consentire alla cosca il controllo sulla microcriminalità operante sul territorio. “Il patrimonio indiziario è fondato sulle dichiarazioni di giustizia e sulle intercettazioni, strumenti nevralgici per il lavoro della Dda”, ha spiegato il procuratore aggiunto Walter Ignazitto, secondo cui “due sono gli aspetti più significativi: il primo è legato alla capacità evocativa che ancora, in determinati territori, hanno certi nomi e cognomi. I boss temono le denunce ma nonostante questo non ci si accosta all’autorità giudiziaria, e anzi abbiamo intercettazioni in cui i commercianti dicono “campiamo noi e lasciamo campare loro“. E questa è una cosa che mette tristezza. Un altro argomento è la promiscuità tra la criminalità organizzata e frange malavitose della comunità rom”. Nel 2007 i Labate erano stati colpiti da un’altra importante indagine, l’operazione “Gebbione”. Ma dopo 18 anni, ha sottolineato il procuratore Lombardo, “stiamo parlando ancora della forza di una storica articolazione di ndrangheta. La cosca Labate ha una storia nota e abbraccia un periodo temporale lunghissimo”. E il territorio che i “Ti mangio” controllano è immenso: per il magistrato “parliamo di un’area che riguarda 54mila persone. All’interno di quelli che sono gli equilibri di ‘ndrangheta, non è un dato da trascurare”.
Dopo aver illustrato i dettagli dell’inchiesta, il procuratore si è soffermato sul fenomeno mafioso in generale: “La ‘ndrangheta è una struttura enorme. Non stiamo qui a quantificare o a dare dei numeri, però abbiamo delle stime che ci consentono di dire che gli affiliati alla ‘ndrangheta sono ben oltre 60mila. Movimentare costantemente miliardi di euro significa acquisire una dimensione e una forza che va ben oltre il racconto che dell’organizzazione criminale si fa. E quindi, al fine di informare fino in fondo, è importante che dell’enorme sforzo investigativo, processuale e giudiziario si dia costantemente notizia. Questo proprio perché la ‘ndrangheta si alimenta di silenzi”. Un appello rivolto ai giornalisti: “Raccontatela la ‘ndrangheta, raccontatela costantemente, raccontate lo sforzo continuo che magistratura e forze dell’ordine fanno. Solo raccontando le persone perbene, che sono tantissime in Calabria, avranno la possibilità di comprendere che non vivono sulla loro pelle il fenomeno senza essere affiancati da qualcuno che quel fenomeno lo contrasta ogni giorno. Il contrasto ogni giorno c’è, è effettivo, è complesso, non sempre riesce a dare i risultati che chi lavora si aspetta, ma c’è. Quelli che fanno parte della ‘ndrangheta, o che vivono di logiche di ‘ndrangheta, devono sapere che noi non ci arrenderemo, nonostante la difficoltà che si incontra nel momento in cui si ha a che fare con una multinazionale del crimine ricca e molto potente”.
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