Quanto servirebbe un’educazione all’affettività dei ragazzi! E invece i progetti sono solo extrascolastici
Due nuovi femminicidi di giovani ragazze in queste ultime ore hanno colpito profondamente l’opinione pubblica. Perché alcuni femminicidi scuotono le nostre coscienze più di altri? Per tante ragioni: la giovane età delle due ragazze, le modalità quasi identiche, l’ambiente culturale in cui vivevano, l’università frequentata da entrambe. Ma soprattutto il movente: avevano respinto la ossessiva, […] L'articolo Quanto servirebbe un’educazione all’affettività dei ragazzi! E invece i progetti sono solo extrascolastici proviene da Il Fatto Quotidiano.

Due nuovi femminicidi di giovani ragazze in queste ultime ore hanno colpito profondamente l’opinione pubblica. Perché alcuni femminicidi scuotono le nostre coscienze più di altri? Per tante ragioni: la giovane età delle due ragazze, le modalità quasi identiche, l’ambiente culturale in cui vivevano, l’università frequentata da entrambe. Ma soprattutto il movente: avevano respinto la ossessiva, assillante e prepotente intromissione nella loro vita di due ragazzi che sono stati i loro assassini e non erano, o non erano più, legate a loro da una relazione.
Dall’analisi dei femminicidi del 2024 eseguita dall’Uil risulta che le vittime sono in prevalenza donne adulte, in particolare nella fascia di età 31-50 anni, circa il 50%, mentre in quella fra i 21 e i 30 anni la percentuale è del 16%.
Questo dato però deve essere letto pensando che la maggior parte dei femminicidi avviene o all’interno di una convivenza, durata magari parecchi anni con episodi, a volte gravi, di violenza, o dopo una separazione non accettata dal partner, quindi con dinamiche e situazioni molto diverse rispetto ai femminicidi di giovani donne. Quello che infatti colpisce in questi casi è che spesso queste ragazze non avessero mai dimostrato interesse per il loro persecutore, come nel caso di Sara Campanella, o che avessero avuto relazioni più o meno brevi ma ormai finite, come nel caso di Ilaria Sula o Giulia Cecchettin. E’ su questo punto che noi dovremmo interrogarci: perché giovani uomini non accettano il rifiuto o la fine di una relazione? Che cosa li spinge ad uccidere, a pensare “se non puoi essere mia non devi essere di nessuno?”.
E’ chiaro che in una società patriarcale la donna è vista e percepita come un’esclusiva proprietà e la negazione a intraprendere o a continuare un rapporto diventa per molti uomini inaccettabile. Ma il rifiuto, che sfocia nella violenza e nel femminicidio, è anche vissuto come un fallimento, specialmente dai più giovani e dai più fragili, e può avere un impatto significativo sulla loro autostima e lasciare spazio ad un senso di inadeguatezza personale sino a far diventare violento il rapporto con l’altro sesso.
Dall’altra parte le ragazze frequentemente sottovalutano i segni di un’eccessiva gelosia, di attenzioni soffocanti, di un continuo controllo sull’abbigliamento, sul trucco, sulle frequentazioni e le amicizie, indizi che fanno capire che una relazione non è sana, ma tossica; indizi che vengono troppo spesso scambiati per “amore”. Tutte queste ormai ben note analisi, non vengono prese in sufficiente considerazione dai decisori politici.
Ci accorgiamo di quanto sia importante a quell’età comprendere le emozioni, esprimere i sentimenti che fanno parte della vita sociale degli e delle adolescenti, insegnare che il rispetto per l’altro e per l’altra non è sintomo di debolezza, ma anzi di forza, tutte le volte che avviciniamo gli adolescenti, entriamo nelle classi per parlare con loro, e capiamo quanto sia fondamentale che qualcuno li ascolti e nello stesso tempo trovi il modo più adatto per dialogare con loro, far emergere le loro idee, il loro vissuto e risolvere le inevitabili contraddizioni di quell’età.
E’ ormai chiaro quanto sia essenziale che gli e le adolescenti si avvicinino al tema dell’affettività e della sessualità precocemente e che le relazioni che stabiliscono diventino per loro un esercizio in vista di legami più rilevanti e stabili.
SeNonOraQuando?Torino, come tante altre associazioni in tutta Italia, lo sperimenta ormai da 13 anni con un progetto dal titolo eloquente “Potere alla parola” che coinvolge ogni anno circa 400 ragazzi e ragazze del territorio e che si svolge nel corso di tutto l’anno scolastico per concludersi al Salone internazionale del libro che collabora a questa iniziativa
E’ una piccola goccia nell’oceano, come tante altre iniziative sporadiche da parte di singole e singoli insegnanti, associazioni o amministrazioni locali lungimiranti, consapevoli dell’assoluta necessità di affrontare questi temi. Ma sappiamo bene che servirebbe un’educazione all’affettività proposta in tutte le scuole a partire da quelle di primo grado, organica, strutturale, che preveda il coinvolgimento di diverse figure professionali competenti e adeguatamente formate. Ma tant’è, queste richieste e le norme contenute anche nella Convenzione di Istanbul, che è legge dello Stato, sono disattese.
Come ci ricorda il Rapporto Grevio 2024 coordinato da D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza, e che ha visto, nella sua stesura, la collaborazione di 14 associazioni, la Direttiva Ministeriale “Educare alle Relazioni” e il Protocollo d’Intesa “Prevenzione e contrasto della violenza maschile nei confronti delle donne e della violenza domestica – Iniziative rivolte al mondo della scuola”, propongono un intervento limitato nel tempo, solo per gli Istituti di istruzione secondaria superiore, quasi esclusivamente nelle ore extrascolastiche, basato sull’adesione volontaria di docenti e classi, e senza fornire formazione agli stessi, se non per sessioni individuali incentrate esclusivamente su attività di animazione. Progetti che devono avere il consenso dei genitori e che sono extracurricolari.
Molto lontano da quello che sarebbe necessario per iniziare a produrre un cambiamento culturale che necessita sì di tempo per restituire risultati, ma che non potrà sicuramente produrli se si pensa di contrastare la violenza contro le donne e i femminicidi solo con misure securitarie, così come prevedono gli ultimi provvedimenti del governo o affermando, come fa il ministro della Giustizia, che il problema sta nei “comportamenti ormai radicati che riguardano giovani e adulti di etnie che magari non hanno la nostra sensibilità verso le donne“ dimostrando di non sapere quali siano le vere cause di questo fenomeno e di non conoscere i dati reali sugli autori dei femminicidi.
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