Quando Sarri vinse lo scudetto a Napoli

“Chi vince scrive la storia, gli altri la leggono.  Nessuno si ricorderà di noi se arriviamo secondi,  la storia va scritta vincendo”. (Antonio Conte, 3 maggio 2025) «Eresia!» – solamente […]

Mag 4, 2025 - 16:44
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Quando Sarri vinse lo scudetto a Napoli

“Chi vince scrive la storia, gli altri la leggono.

 Nessuno si ricorderà di noi se arriviamo secondi,

 la storia va scritta vincendo”.

(Antonio Conte, 3 maggio 2025)

«Eresia!» – solamente leggendo il titolo, una buona parte degli appassionati di calcio se ne andrà disgustata, o, magari, potrà anche aprire l’articolo ma alla ricerca solamente di lacune, imperfezioni, contraddizioni teoriche (e qui avrà gioco facile..). Il sillogismo, diranno, è molto semplice: «il calcio è uno sport fondato sulla competizione; alla conclusione di questa competizione vi sono dei vincitori e dei vinti. Se elimini questa divisione, come stai facendo nel titolo (perché Sarri non ha vinto alcuno scudetto a Napoli!), elimini lo stesso concetto di competizione e così, alla fine, tutta l’impalcatura teorica ed esperienziale del calcio viene a cadere». Ciò che ha detto, in altri termini, anche l’attuale allenatore del Napoli, Antonio Conte, proprio ieri: «ma se non vinciamo, chi si ricorderà di noi?».

È vero, Sarri non ha vinto alcun scudetto a Napoli, pur allenandovi tre anni, ma ne ha vinto, tuttavia, uno a Torino, con la divisa della Juventus. «Sì ma questo è un altro discorso, comunque non lo ha vinto a Napoli». E invece, se presa da un altro lato, dal lato contrario per così dire, questi elementi sono in stretta relazione – la vittoria a Torino e la non-vittoria a Napoli si connettono strettamente nel discorso. Perché Sarri, infatti, ha vinto proprio nel luogo in cui è stato rigettato sin dall’inizio come un corpo estraneo, dove, cioè, in altri termini, non è entrato mai in dialogo con l’ethos e la Cultura di quel club, ed invece ha perduto (sempre secondo queste vostre categorie binarie, perché, insomma, è arrivato secondo, non ultimo, con una squadra dai mezzi molto inferiori della prima..) proprio dove si è fuso con la Cultura di quel luogo, rispettandone il costume e divenendo, alla fine, simbolo.

Ma se «chi vince ha sempre ragione», Sarri verrà ricordato esclusivamente per quello scudetto alla Juventus, e mai per la sua esperienza a Napoli? Non credo; al contrario, si considera, ancora oggi, l’esperienza di Sarri alla Juventus come una parentesi da guardare con circospezione, quasi con sospetto, come se lì ci fosse stato un punto di svolta negativo – alle soglie del drammatico – per la sua carriera. «Però tra cento anni negli almanacchi si leggerà Sarri vincitore alla Juventus, e non al Napoli». Sì, ma tra cent’anni saremo tutti morti, e se Sarri sarà solo un’astratta formula, un significante senza significato, allora quel cognome sarà irrilevante, non ponendosi in alcun dialogo con la Cultura e la società, anche di quei futuri anni; mentre, invece, se continueremo a tramandarne la memoria (quella vera, esistenziale) allora, vedrete, anche tra un centinaio di anni ricorderemo molto più Sarri al Napoli (piuttosto che alla Juventus).

Nel calcio, infatti, come nella Cultura o nella politica – e più al fondo nelle nostre stesse esistenze – il concetto di simbolo, di coagulato di valori, conta ancora qualcosa, costituendone anzi, forse, proprio la parte essenziale: quella per cui (passatemi l’esagerazione!) vale la pena di vivere. E questo non perché la vittoria, nel nostro ragionamento, non costituisca più un parametro di rilievo (e qui, inoltre, non stiamo neanche seguendo la contemporanea, ma sempre più stanca, asettica, contrapposizione tra coloro che si definiscono giochisti e risultatisti). Il discorso è fondato su tutt’altre basi: la vittoria può esser allineata al concetto di simbolo (di valori rappresi) come può esservi opposta, e quindi, in ogni caso, non rappresenta il solo ed unico criterio di giudizio per suddividere e catalogare il mondo.

Ancora una volta: il punto non è rifuggire il concetto di vittoria, ma metterla in discussione come criterio di valutazione definitivo per interpretare, esteticamente oltreché teoreticamente, lo sport. E dirò di più: seppur in modo apparentemente paradossale (perché le due posizioni sembrerebbero agli antipodi), questo modo di vedere il calcio (ma anche lo sport, e, forse, alla fine qualcos’altro..) solo dal lato di coloro che vincono non sia poi, così, distante da quel processo di americanizzazione galoppante. Perché, infatti, quella riduzione di sport ad intrattenimento, la si può combattere solamente con la reintroduzione di un piano simbolico, Culturale – appartenere (e quindi sentirsi parte!) ad uno spirito condiviso, perché è qui, e solamente da qui, che si può rompere quel circolo di superfluità, estetismi, che poco hanno a che vedere con la configurazione, almeno latina, dello sport. Ed il concetto di vittoria come chiave ultima, rispetto a questo Nemico (che dovrebbe essere condiviso), mi sembra debole, troppo debole, perché ci reintroduce, immediatamente, in un meccanismo in cui è presente un al di là (la vittoria!) da conquistare con qualsiasi mezzo, e dunque anche a scapito di quel luogo, di quella Cultura, e soprattutto di quel senso di comunità, che già vive una fase di compiuta dissoluzione.

Insomma, avete capito, credo, che qui non vi è alcun elogio della marginalità, della non-vittoria – nessuna posizione donchisciottesca nei confronti del calcio, o della Vita. Nessun tentativo di lasciarvi il Potere, specchiandoci in una nostra presunta bellezza. È proprio l’asse del discorso che è ribaltato: prima di marginalità o centralità, vittoria o sconfitta, viene qualcos’altro, e questo qualcos’altro fonda le sue radici nel tempo, si costruisce nel lento scorrere delle cose, fino a divenire forma di vita, ethos condiviso, e, poi, ci sono – o ci possono essere – degli esempi che ci vengono a ricordare (sempre in modo creativo, cioè riformulandolo) quel modo di essere e così via..

Ed allora, per concludere, tirerò un’altra invettiva dura: Antonio Conte non mi sembra stia incarnando alcun valore della Cultura da cui è ospitato, propinandoci, ogni settimana, dichiarazioni che mi sembra vadano in direzione contraria a quello spirito condiviso a cui accennavo. «Chi vince scrive la storia, gli altri la leggono» – nella sua pomposità, un’affermazione così contraria a quel costume di cui (dovrebbe esser) parte da sembrare quasi macchiettistica. Eppure Conte (i napoletani fanno bene a tenere in mano qualsiasi amuleto!) forse vincerà lo scudetto a Napoli. E, allora? Allora niente, ma sicuramente non sarà quest’elemento, questo (secondo le vostre categorie) criterio di catalogazione ultima, a farne, necessariamente, un simbolo di quella Cultura. «Sì, ma negli almanacchi rimarrà che, a Napoli, ha vinto Conte, e non Sarri ». Lo so, ma gli almanacchi, ripeto, come le formule non fanno la Cultura di un luogo. E allora sì, seppur simbolicamente, Sarri ha vinto lo scudetto a Napoli, come ho scritto nel titolo, perché quel mondo lo ha riconosciuto e si è sentito riconosciuto, e nel momento in cui perderemo, definitivamente, quest’aspetto, allora tanto vale di non relazionarci più al calcio, allo sport, e probabilmente alla Vita in generale…