Quando la denuncia non arriva: la sfida della PA di fronte alla violenza di genere
lentepubblica.it I casi di violenza di genere e i femminicidi non accennano a diminuire, resta però ancora il nodo irrisolto delle denunce che, per diversi motivi, spesso non arrivano: si tratta di una sfida importante per la PA. In un’Italia dove la violenza di genere continua a mietere vittime – 98 donne uccise nei primi undici […] The post Quando la denuncia non arriva: la sfida della PA di fronte alla violenza di genere appeared first on lentepubblica.it.

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I casi di violenza di genere e i femminicidi non accennano a diminuire, resta però ancora il nodo irrisolto delle denunce che, per diversi motivi, spesso non arrivano: si tratta di una sfida importante per la PA.
In un’Italia dove la violenza di genere continua a mietere vittime – 98 donne uccise nei primi undici mesi del 2024 su un totale di 269 omicidi – le istituzioni si trovano a fronteggiare un paradosso preoccupante: sempre più donne chiedono informazioni, cercano aiuto, ma una parte significativa di loro non arriva a sporgere denuncia.
Il 72,9% delle vittime che si sono rivolte al numero antiviolenza 1522 nell’ultimo trimestre del 2024 non ha formalizzato alcuna segnalazione alle forze dell’ordine. Un dato che interroga non solo la società, ma anche l’effettiva capacità della pubblica amministrazione di accogliere e gestire le richieste d’aiuto.
Forze dell’ordine: strumenti sempre più sofisticati
Polizia e Carabinieri sono oggi dotati di una rete strutturata per affrontare la violenza di genere. Dal 2014, l’Arma ha creato una rete nazionale di monitoraggio, con ufficiali di polizia giudiziaria formati in modo specifico. È attiva inoltre la Sezione Atti Persecutori del Raggruppamento Carabinieri Investigazioni Scientifiche, che supporta le indagini elaborando profili di rischio e strumenti predittivi.
L’obiettivo è chiaro: individuare tempestivamente le situazioni potenzialmente pericolose e intervenire con provvedimenti di tutela previsti dal “Codice Rosso”. Eppure, la denuncia resta un passo che molte donne ancora esitano a compiere.
Tra paura e sfiducia, le barriere invisibili
Secondo i dati raccolti dal servizio 1522, quasi il 40% delle vittime che non denunciano lo fa per timore delle reazioni dell’autore della violenza. Il partner attuale è l’aggressore nel 50% dei casi, l’ex nel 21%. Spesso lo scenario è quello di una relazione ancora attiva, nella quale la donna si trova in una condizione di subordinazione emotiva, economica o familiare, che rende difficile persino immaginare l’atto della denuncia.
A ciò si aggiunge la paura di non essere credute, la vergogna o la convinzione che le istituzioni non possano realmente proteggerle. Eppure, i dati mostrano un’altra realtà: le forze dell’ordine sono pronte, formate, dotate di strumenti tecnologici e normativi adeguati. Il problema sembra allora risiedere altrove: nella distanza percepita tra chi subisce violenza e lo Stato che dovrebbe proteggerla.
Il numero 1522: un termometro sociale
Nel solo quarto trimestre del 2024, le chiamate al 1522 sono aumentate dell’8,8% rispetto al trimestre precedente, con un picco nei giorni attorno al 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. È un effetto diretto dell’attenzione mediatica, che ha trovato nuova linfa dopo casi drammatici come quello di Giulia Cecchettin.
Il confronto tra il 2023 e il 2024 evidenzia una crescita complessiva delle chiamate pari al 25,8%. Aumentano le richieste di informazioni, in particolare su centri antiviolenza (+9,1%), strumenti giuridici (+4,9%) e servizi disponibili (+8,7%). Ma restano sostanzialmente stabili le chiamate di vittime che chiedono interventi concreti, con un incremento di appena l’1%. In altre parole: cresce la consapevolezza, ma non sempre il coraggio di denunciare.
Quando la violenza si nasconde nei dettagli
Stalking, maltrattamenti in famiglia, revenge porn. Si tratta di reati previsti e puniti dal codice penale, ma spesso difficili da riconoscere e ancor più da raccontare. Un pedinamento, un messaggio insistente, un insulto quotidiano possono sembrare “normali” a chi li subisce. La confusione emotiva, l’isolamento e l’ansia fanno il resto.
Per questo, campagne informative e strumenti di autovalutazione – come i test per individuare segnali di violenza – sono diventati essenziali. Ma serve anche un rapporto più diretto e umano tra cittadine e pubblica amministrazione. Serve una presenza che non sia solo istituzionale, ma anche relazionale, capace di creare fiducia.
Prevenzione e prossimità: la nuova frontiera
Gli operatori delle forze dell’ordine non sono più solo esecutori di leggi, ma anche interlocutori formati per riconoscere i segnali, guidare le vittime e attivare i canali giusti. Eppure, il momento della denuncia resta un nodo irrisolto. È lì che si gioca il confine tra la paura e la protezione.
Una parte della sfida riguarda anche il modo in cui lo Stato si presenta. Le caserme e i commissariati devono essere percepiti non solo come luoghi in cui “fare una denuncia”, ma come spazi dove trovare ascolto e sicurezza, in modo concreto e immediato. In alcune città italiane sono già attivi sportelli con personale femminile o équipe miste con psicologhe e assistenti sociali. Una buona pratica che andrebbe resa strutturale su tutto il territorio nazionale.
Oltre la denuncia: un cambiamento culturale
Se i numeri del 1522 mostrano una società che inizia a riconoscere e raccontare la violenza, il fatto che quasi tre donne su quattro non arrivino a denunciare impone una riflessione. Non basta offrire strumenti legali e numeri di telefono. È necessario costruire un clima sociale e istituzionale che renda la denuncia non un salto nel vuoto, ma un passo verso la libertà.
Perché non si tratta solo di accertare reati, ma di salvare vite. E di trasformare la pubblica amministrazione in un’alleata affidabile, sempre più vicina alle persone, soprattutto a quelle che oggi restano in silenzio.
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