Piano di riarmo Ue: il Pd si spacca, la metà vota sì. Anche la maggioranza si divide

FdI e Forza Italia a favore di von der Leyen. Ma i meloniani si astengono sul sostegno a Kiev. Mosca commenta sprezzante: "La Führer Ursula vuole rimilitalizzare l’Europa"

Mar 13, 2025 - 23:02
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Piano di riarmo Ue: il Pd si spacca, la metà vota sì. Anche la maggioranza si divide

Roma, 13 marzo 2025 – Alla prova del riarmo la politica italiana implode. Si spacca la maggioranza, si spacca l’opposizione. E se il fattaccio si ripeterà la settimana prossima nel Parlamento italiano, i guai saranno grossi per tutti. La risoluzione sul Libro bianco della difesa europea, di fatto sul piano da 800 miliardi di Ursula von der Leyen, passa nell’Eurocamera con 419 voti a favore – tra cui quelli di Forza Italia e di FdI –, 204 contrari inclusi Lega, M5s e Avs. E 46 astenuti: la proposta della premier, rilanciata con un emendamento da FdI, di cambiare il nome del progetto dal bellicoso ReArm Europe a un più sobrio Defend Europe viene affossata ad amplissima maggioranza. D’accordo, oltre ad Ecr, solo il Pd. Il partito andrebbe contato tra gli astenuti, secondo la linea scelta dalla segreteria Elly Schlein. Ma su 21 si astengono in 11, gli altri 10 ignorano la direttiva e votano a favore. Mosca commenta con i soliti toni misurati il disco verde al piano che sarà approvato d’urgenza da Commissione e leader nazionali: "La Fuhrer Ursula vuole rimilitalizzare l’Europa", dice il ministro degli Esteri Serghei Lavrov.

Elly Schlein del Pd critica il piano RearmEU di Ursula von der Leyen
Elly Schlein del Pd critica il piano RearmEU di Ursula von der Leyen, sostenendo che favorisca il riarmo nazionale anziché la difesa comune.

Sulla risoluzione per l’Ucraina – approvata con 442 sì, 98 no e 126 astenuti – per la maggioranza le cose vanno anche peggio: tre partiti, tre posizioni. Il sì di FI e il no della Lega non fanno notizia, l’astensione di FdI sì: è la prima volta dall’inizio della guerra che il partito di Giorgia Meloni si sfila dal sostegno a Kiev. Colpa di un testo che prende di mira Donald Trump e la sua scelta di "riappacificarsi" con Mosca. "Così più che difendere l’Ucraina si diffonde odio per gli Usa" sbotta il co-presidente di Ecr, Nicola Procaccini. E chiede di posticipare il voto "a quando sarà più chiaro l’esito dell’accordo raggiunto a Gedda". Proposta ragionevole che un Europarlamento in preda a furore bellico cassa senza pensarci su.

Non placa gli animi un emendamento del Ppe che aggiorna il testo elogiando la tregua. Da Palazzo Chigi arriva l’ordine di astenersi e il segnale è chiaro: a metà strada tra Washington e Bruxelles sì, ma se si tratta di litigare con Trump non contate su Meloni. Per quanto riguarda la maggioranza la lacerazione di ieri in sé non è un grosso problema. Era già successo e il centrodestra è più che elastico nell’incassare divisioni del genere. Se però le stesse posizioni dovessero riproporsi martedì e mercoledì della prossima settimana, quando la premier chiederà il mandato alle Camere per il Consiglio europeo del 20 e 21, sarà tutt’altro paio di maniche. Dividersi in diretta tv sul tema più centrale che ci sia ora metterebbe la maggioranza a rischio di esplosione in tempi brevi. Divisione da evitare a tutti i costi, anche per i tre leader: facile a dirsi, difficile a farsi. Sul testo della risoluzione ’ecumenica’ stanno lavorando i ministri di Affari Europei, Difesa e Esteri, ma sarà Giorgia a dire l’ultima parola.

Prima del dibattito parlamentare è in calendario la conferenza in video collegamento convocata dal premier britannico Keir Starmer, che finirà per incidere sul quadro italiano. La partecipazione di Meloni è in dubbio: se il vertice deve servire a ratificare una "coalizione volenterosi" per Kiev a cui l’Italia non ha alcuna intenzione di partecipare, per lei non ha senso presenziare. Deciderà nelle prossime ore, anche alla luce del feedback del ministro della Difesa, Guido Crosetto sulla riunione di ieri a Parigi con gli omologhi di Francia, Germania, Polonia e Regno Unito. "Dobbiamo ragionare su tutti gli scenari possibili", il suo mantra. Comunque andrà, la contrarietà della premier a ogni ipotesi di missione in Ucraina non decisa dal consiglio di sicurezza Onu è fuori discussione. Questo l’aiuterà a tenere unita la maggioranza due giorni dopo in aula. Poi starà tutto al suo discorso, che deve essere considerato potabile pure da Salvini.

Indubbiamente, lei calibrerà i toni, eviterà di scagliarsi contro l’aggressione russa, potrebbe addirittura passare a un più neutro ’conflitto’, confermerà l’indisponibilità all’invio di truppe ora, si mostrerà disponibile a un riarmo solo con la garanzia di non doverlo pagare in termini di sanità, istruzione e welfare in Italia. Insomma un classico discorso all’insegna dell’ambiguità che non resterà senza conseguenze. Tutto ciò che piacerà a Salvini spiacerà a Ursula. Già l’astensione di ieri ha segnato una presa di distanza rispetto al resto dell’Europa, il fossato si allargherà quando l’Italia sabato confermerà l’indisponibilità alla missione di Macron e Starmer. Stare in mezzo diventa per lei diventa sempre più difficile.