Petrolio ai minimi e benzina in calo, l’effetto Opec+ e dei dazi
Il crollo del petrolio spinto dall’aumento Opec e dalla guerra commerciale Usa-Cina taglia i margini dei paesi esportatori ma alleggerisce la spesa per benzina e gasolio in Italia

Il prezzo del petrolio continua a scendere in questo maggio 2025, raggiungendo livelli che non si vedevano da quattro anni. Il Brent è risalito leggermente intorno ai 62 dollari al barile dopo aver toccato un minimo di 60 dollari (il valore più basso dal febbraio 2021), rimanendo comunque in calo di quasi il 25% rispetto ai picchi registrati l’estate scorsa. Anche il Wti americano oscilla sotto i 60 dollari.
Dietro questo ribasso ci sono due fattori principali: da un lato la decisione dell’Opec+ di aumentare l’offerta di greggio oltre le attese, dall’altro la guerra commerciale Usa-Cina innescata dai dazi di Trump, che sta frenando la domanda globale.
Opec+ sorprende i mercati: nuova ondata di produzione in arrivo
Il cartello dei produttori Opec+, guidato da Arabia Saudita e Russia, ha sorpreso i mercati annunciando un incremento della produzione ben superiore al previsto. Per il mese di maggio 2025 l’Opec ha deciso di triplicare l’aumento di output inizialmente programmato, e ha confermato un ulteriore rialzo di 411.000 barili al giorno a giugno.
In totale, nel secondo trimestre l’offerta aggiuntiva ammonterà a circa 960.000 barili al giorno, riducendo di quasi la metà i tagli produttivi che il gruppo aveva in vigore. Questa inondazione di greggio sul mercato ha immediatamente innescato un calo dei prezzi: dopo gli annunci, il Brent è precipitato sotto quota 60 dollari (-3,6% in una sola seduta) e il Wti a circa 55,7 dollari (-3,7%), toccando entrambi i livelli più bassi dal 2021.
I motivi dietro la strategia che fa scendere il greggio
La scelta dell’Opec di “aprire i rubinetti” del petrolio, invece di tagliare la produzione per difendere le quotazioni, ha diverse motivazioni politiche ed economiche. Bloomberg scrive che ufficialmente, i leader dell’alleanza mirano a punire i membri inadempienti: paesi come Iraq e Kazakistan che hanno prodotto oltre i limiti concordati vengono messi in riga permettendo un eccesso di offerta che ne colpisce i profitti.
Allo stesso tempo, la mossa, incoraggiata dall’Arabia Saudita, lancia un segnale ai concorrenti internazionali: un petrolio più economico mette sotto pressione i produttori con costi più elevati, in primis l’industria shale oil americana.
Non ultimo, l’aumento di produzione accontenta le pressioni degli Stati Uniti per contenere il costo dell’energia: l’amministrazione Trump aveva interesse a vedere prezzi del petrolio più moderati (anche in vista di una visita del presidente in Medio Oriente). Le tensioni geopolitiche, dunque, si intrecciano con gli interessi economici del mercato petrolifero globale.
Dazi Usa-Cina e crescita globale in frenata: così cala la domanda di petrolio
L’altro grande fattore ribassista è la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, riaccesa dalla politica dei dazi di Trump. L’escalation tariffaria di inizio aprile ha indebolito le prospettive di crescita economica mondiale, frenando la domanda di petrolio e dei carburanti.
Secondo l’International Energy Agency, il protrarsi delle tensioni potrebbe dimezzare la crescita prevista della domanda cinese di petrolio. Diversi analisti hanno rivisto al ribasso le stime: l’Iea ora prevede per il 2025 l’incremento della domanda più lento degli ultimi cinque anni.
Anche sul fronte dell’offerta non-Usa si iniziano a vedere effetti: il rallentamento economico e l’incertezza commerciale stanno portando a un accumulo di scorte mondiali di greggio. Grandi banche d’affari hanno abbassato le previsioni di prezzo: ad esempio Barclays ora stima il Brent medio a 66 dollari per il 2025, e Goldman Sachs cita esplicitamente “l’aumento dell’offerta e le tensioni commerciali Usa-Cina” tra i motivi del taglio delle sue stime. La guerra dei dazi voluta da Trump sta raffreddando l’economia e, paradossalmente, facendo scendere il prezzo del petrolio.
I paesi esportatori in difficoltà: bilanci sotto pressione con il Brent sotto i 65 dollari
Il calo del prezzo del greggio ha implicazioni pesanti per i paesi esportatori di petrolio. Molti membri Opec e alleati (dalla Russia ai produttori del Golfo Persico) faticano a sostenere la spesa pubblica con il Brent sotto 60-70 dollari. I profitti petroliferi in forte contrazione significano entrate fiscali minori per queste economie, che spesso basano i bilanci statali sulle rendite energetiche.
Come sottolinea Bloomberg, con il barile a questi livelli diversi produttori vedranno salire il deficit e dovranno attingere alle riserve finanziarie sovrane per coprire le spese. La situazione attuale rappresenta una sfida soprattutto per i membri Opec a basso costo di estrazione: se da un lato possono resistere più a lungo vendendo a prezzi bassi, dall’altro stanno sacrificando introiti preziosi. Ulteriori ribassi potrebbero persino riaccendere tensioni interne all’alleanza sul rispetto dei tagli.
Nel frattempo, i produttori indipendenti al di fuori dell’OPEC (che oggi coprono quasi il 60% dell’offerta mondiale) rischiano di vedere arrestata la crescita della produzione se il mercato resterà depresso. Infatti, un petrolio stabilmente sotto i 50 dollari potrebbe rendere non redditizi molti progetti estrattivi e costringere a tagliare gli investimenti nel settore energetico.
Benzina più economica in Italia: cosa cambia per i consumatori
Se i paesi produttori piangono, i paesi importatori sorridono per il crollo del greggio. Le nazioni fortemente dipendenti dalle importazioni di energia, come l’Italia, vedono infatti diminuire la bolletta energetica e migliorare i conti con l’estero. Inoltre, il calo dei prezzi petroliferi si traduce in un immediato alleggerimento per consumatori e imprese sui costi dei carburanti.
In Italia il costo della benzina alla pompa è sceso nelle ultime settimane: il prezzo medio nazionale in modalità self-service ad inizio maggio 2025 è attorno a 1,70 euro al litro, in lieve diminuzione rispetto al mese precedente.
Secondo i dati del Mase, i prezzi dei carburanti risultano in calo di quasi il 3% su base annua ad aprile, contribuendo a contenere l’inflazione. Anche il gasolio segue la stessa tendenza ribassista, attestandosi intorno a 1,58 €/l.
Per le famiglie e le imprese italiane ciò significa risparmi sia nei rifornimenti di benzina e diesel che nei costi di trasporto e produzione. Un minor costo dei combustibili può sostenere i consumi interni, liberando reddito disponibile per altre spese, e ridurre la pressione sui prezzi al consumo (inflazione) rispetto ai livelli allarmanti raggiunti durante i picchi energetici degli scorsi anni.