Perché i turboliberisti anti Trump consigliano cautela a Meloni e von der Leyen sui dazi anti Usa
All'Unione europea conviene rispondere ai dazi di Trump con altre tariffe, oppure lasciar correre e stringere magari nuovi accordi con il resto del mondo? Ecco cosa pensano gli economisti liberisti Giavazzi e Carnevale Maffè (e non solo)

All’Unione europea conviene rispondere ai dazi di Trump con altre tariffe, oppure lasciar correre e stringere magari nuovi accordi con il resto del mondo? Ecco cosa pensano gli economisti liberisti Giavazzi e Carnevale Maffè (e non solo)
Capire come trattare con Donald Trump e la sua amministrazione è un dilemma che hanno in molti. Lo ha Volodymyr Zelensky, dopo lo scontro nello Studio Ovale, per trovare un accordo per finire la guerra in modo non umiliante. Lo ha Vladimir Putin, anche se in apparenza sembra che con il presidente Usa l’intesa sia buona. Ma lo hanno anche i Paesi europei alle prese con le offensive verbali di Trump e con i prossimi annunciati dazi, che dovrebbero entrare in vigore – salvo retromarce – il 2 aprile.
Nelle cancellerie del Vecchio Continente, infatti, si sta meditando sul modo migliore per rispondere alle tariffe promesse dalla Casa Bianca: controbattere orgogliosamente con altri dazi, come rilanciato all’inizio dalla presidente Ursula von der Leyen? Lasciar correre e stringere magari nuovi accordi con il resto del mondo? Provare a negoziare bilateralmente delle concessioni economiche speciali? Le ipotesi sono al vaglio e gli scenari che emergono sono diversi. Sia in Europa sia in Italia, anche tra chi non vede di buon occhio il presidente Usa, sta prendendo forza l’idea di non rispondere a testa bassa a Trump, ma agire in modo alternativo evitando lo scontro frontale.
LA POSIZIONE DI LAGARDE
La presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, dopo l’annuncio di Trump di gennaio di imporre dazi contro l’Europa, era partita alla carica promettendo risposte e conseguenze dure. Adesso sembra essere tornata a più miti consigli. Giovedì 20 marzo ha infatti commentato in maniera più tiepida le tariffe Usa sulle importazioni di acciaio e alluminio dell’Ue: “L’analisi della Bce suggerisce che una tariffa statunitense del 25% sulle importazioni dall’Europa ridurrebbe la crescita dell’area dell’euro di circa 0,3 punti percentuali nel primo anno”.
“Una risposta europea sotto forma di aumento delle tariffe sulle importazioni statunitensi aumenterebbe ulteriormente questa percentuale a circa mezzo punto percentuale”, ha aggiunto Lagarde ponendo attenzione sulle conseguenze di una risposta intransigente europea. Segno che le riflessioni in Europa sono molte. Come dimostra la scelta di rinviare di fatto l’attivazione delle contromisure commerciali almeno per qualche altra settimana.
LO STUDIO DEGLI ECONOMISTI ITALIANI
Anche perché nel frattempo è stato redatto uno studio commissionato dalla Commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento europeo (Econ) che di fatto invita l’Ue a evitare contro-dazi ma ad accelerare sugli accordi commerciali con altri blocchi economici. Il documento, dal titolo Euro Area Risks Amid US Protectionism, è firmato da vari economisti italiani o di università italiane: Laura Bottazzi dell’Università di Bologna; Carlo Favero, Ruben Fernandes-Fuertes, Francesco Giavazzi e Tommaso Monacelli della Bocconi; Veronica Guerrieri e Guido Lorenzoni della University of Chicago Booth School of Business.
Tra le raccomandazioni c’è quella di “evitare il protezionismo reazionario, poiché ampie tariffe di ritorsione aggraverebbero le tensioni economiche anziché alleviarle”.
MELONI CONTRO I DAZI
Lo studio dà ragione in pratica a quello che va dicendo da settimane Giorgia Meloni, insieme ai membri del suo governo: non bisogna imporre dazi su dazi. La premier italiana, intervenendo in Senato martedì alla vigilia del Consiglio europeo, ne ha parlato ribadendo la posizione italiana: “Io sono convinta che si debba continuare a lavorare, con concretezza e pragmatismo, per trovare un possibile terreno d’intesa e scongiurare una ‘guerra commerciale’ che non avvantaggerebbe nessuno, né gli Stati Uniti né l’Europa”. “E credo che non sia saggio cadere nella tentazione delle rappresaglie che diventano un circolo vizioso nel quale tutti perdono. Se è vero che i dazi imposti sulle merci extra UE possono teoricamente favorire la produzione interna, in un contesto fortemente interconnesso come quello delle economie europea e statunitense, il quadro si complica” ha aggiunto.
Per poi dare una spiegazione più ‘tecnica’: “I dazi possono facilmente tradursi in inflazione indotta, con la conseguente riduzione del potere d’acquisto delle famiglie e il successivo innalzamento dei tassi da parte della Banca Centrale Europea per contrastare il fenomeno inflattivo, come abbiamo già visto. Risultato: inflazione e stretta monetaria che frenano la crescita economica. Non sono certa, insomma, che sia necessariamente un buon affare rispondere ai dazi con altri dazi. Per questo, credo che le energie dell’Italia debbano essere spese alla ricerca di soluzioni di buon senso tra Stati Uniti ed Europa, dettate più dalla logica che dall’istinto, in una ottica di reciproco rispetto e di convenienza economica”.
I SUGGERIMENTI SU UN DIVERSO APPROCCIO ITALIANO
Alcuni degli autori dello studio commissionato dal Parlamento Ue, come menzionato, provengono dall’università Bocconi di Milano. Un altro docente bocconiano, Carlo Alberto Carnevale Maffè, ritiene si debba seguire un approccio simile ma senza pensare di ritenersi speciali agli occhi di Washington. In un articolo sul Foglio, infatti, ha ragionato sulle motivazioni con le quali gli Stati Uniti optano per i dazi e quale dovrebbe essere la risposta italiana ed europea per non rimanere passivi.
“L’Italia – se si muove isolatamente – vede ridotti i propri margini di manovra e rischia di perdere ulteriormente competitività. La dimensione ridotta del mercato interno e l’assenza di un proprio peso politico-diplomatico sufficiente a trattare condizioni di favore con Washington espongono l’Italia al rischio di subire passivamente i dazi e le limitazioni commerciali statunitensi”. Per Carnevale Maffè si rende “sempre più necessaria una risposta unitaria europea, pena l’ulteriore marginalizzazione economica e politica di singoli paesi come l’Italia”.
Perché, sempre per il docente, “l’unico vero e potente attore che Trump non può davvero minacciare né controllare” sono “i mercati finanziari globali con la loro spiccata attenzione alle politiche fiscali e monetarie”. “Qualsiasi ulteriore irrigidimento delle condizioni finanziare o impennata dei tassi richiesti dagli investitori farebbe lievitare i costi di servizio del debito oltre livelli sostenibili, soffocando di fatto il nuovo protezionismo e rendendo insostenibile la posizione fiscale del paese”, conclude Carnevale Maffè riguardo gli Usa.
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