Perché dal Conclave non uscirà un Francesco II
Come i cavalli inquieti prima dello sparo d’inizio del Palio di Siena elettori e influencer del prossimo conclave fremono per iniziare la corsa. La settimana, che si apre, vedrà cardinali elettori e porporati veterani (ultraottantenni) riunirsi nelle Congregazioni generali per analizzare la situazione della Chiesa al suo interno e a confronto con il mondo. Le […] L'articolo Perché dal Conclave non uscirà un Francesco II proviene da Il Fatto Quotidiano.

Come i cavalli inquieti prima dello sparo d’inizio del Palio di Siena elettori e influencer del prossimo conclave fremono per iniziare la corsa.
La settimana, che si apre, vedrà cardinali elettori e porporati veterani (ultraottantenni) riunirsi nelle Congregazioni generali per analizzare la situazione della Chiesa al suo interno e a confronto con il mondo. Le riunioni assembleari, a cui parteciperanno circa duecento cardinali, serviranno per delineare i problemi ritenuti cruciali, per passare ai raggi X la crisi permanente e crescente della pratica religiosa e delle vocazioni sia sacerdotali sia relativa alle congregazioni femminili nonché la posizione da tenere sulla scena geopolitica a fronte dell’incremento delle disuguaglianze sociali e dei scenari di guerra.
Una vasta panoramica che servirà a capire – attraverso l’ascolto dei vari interventi – quali dovrebbero essere le caratteristiche del futuro pontefice e se si delineano personalità capaci di salire sul trono di Pietro.
I nomi che girano sono tanti, appartengono a protagonisti di calibro (Parolin, Zuppi, Pizzaballa, Tagle, Aveline, Erdő per citarne alcuni) ma se si guarda al silenzioso ed elegante braccio di ferro, che si profila, hanno un difetto. Appartengono tutti – tranne il cardinale ungherese Peter Erdő – ad un fronte, che si potrebbe definire aperto ad una linea riformista. E questo provoca un sospetto. Il fronte ultraconservatore, che negli ultimi dieci anni ha scatenato contro papa Bergoglio una guerra civile senza quartiere, non sta per ora portando avanti nessun candidato. Significa che non vogliono subito bruciare nomi, perché alla fine per eleggere un pontefice servono anche i voti del centro moderato, e che ritengono essenziale preparare prima il terreno aprendo una campagna di delegittimazione delle innovazioni bergogliane.
In effetti la campagna è già partita, affidata alla propalazione di voci sul “caos e la divisione” in cui il pontificato di Francesco avrebbe fatto piombare la Chiesa. Per imporre la frenata, che gli ultraconservatori vorrebbero mettere in atto, è necessario propalare nelle retrovie una velenosa demonizzazione dell’operato di Francesco. La campagna dei sussurri è già in atto e si compendia in un giudizio lapidario: il pontificato di Bergoglio “è stato un disastro”. Il tutto serve per spaventare i cardinali più moderati, rendendoli pronti a cercare una personalità che “riporti la quiete”.
Naturalmente a livelli dei pronunciamenti dei cardinali più in vista lo stile delle dichiarazioni risponde a criteri di pacatezza ed eleganza. Il cardinale Ludwig Gerhard Mueller, che peraltro nei giorni di malattia di Francesco aveva respinto apertamente l’ipotesi di dimissioni, ha indicato con chiarezza due punti su cui fare marcia indietro: le posizioni del papa scomparso sul tema dell’omosessualità – ha detto – non erano prive di ambiguità (dal punto di vista dottrinale). E un’altra questione è stata evocata dal porporato tedesco: il ruolo delle donne nei sinodi, ha sottolineato, non può essere confuso con l’autorità propria unicamente dei vescovi.
Richiami che mettono in causa frontalmente due importanti innovazioni operate da Francesco. Il cardinale Mueller è tra gli elettori. Il novantaduenne cardinale Giovani Battista Re, decano del sacro collegio, non voterà al conclave ma come guida delle congregazioni generali e veterano della curia romana è destinato ad avere influenza. Non è sfuggito al mondo vaticano che mentre Re, durante la messa delle esequie ha elogiato lo slancio religioso e l’impegno sociale di Francesco attraverso la splendida metafora di un papa capace di farsi carico delle “ansie, sofferenze e speranze” del mondo odierno, non una parola è stata dedicata alla promozione della donna nella Chiesa operata dal pontefice argentino.
Nelle assemblee cardinalizie di questa settimana conterà ogni parola e ogni silenzio.
Il “papa della gente”, per il quale giorno dopo giorno fedeli, pellegrini, turisti e variamente credenti si stanno mettendo in coda a Santa Maria Maggiore, non era il papa che poteva contare sull’appoggio da parte della maggioranza della gerarchia ecclesiastica.
E’ un dato di fatto. E questa distanza peserà indubbiamente sul conclave. Un Francesco II non uscirà con la fumata bianca.
Nell’emozionante cerimonia funebre di sabato 26 aprile la nuda bara, graffita da una grande croce, regnava solitaria davanti all’altare in piazza San Pietro. Immagine di un personaggio, che lascia un marchio forte nella storia e al tempo stesso della sua solitudine. Finito il profluvio di elogi, tipico di ogni scomparsa, resta un elemento storico incancellabile: Francesco è stato un outsider tra i pontefici contemporanei, cioè un papa fuori dagli schemi nei comportamenti e nelle scelte. E questo si paga.
La sua tumulazione fuori da San Pietro ha anche avuto il carattere di una fuga voluta dalla fortezza del Vaticano, dove non ha mai voluto abitare nel palazzo apostolico. Fuga, che ha portato la sua bara ad attraversare il cuore della storia millenaria di Roma. Sfiorando nel passaggio la colonna trajana, il carcere Mamertino dove la pia tradizione vuole che fossero imprigionati gli apostoli Pietro e Paolo, il Foro Romano, la basilica di Massenzio, l’imperatore vinto da Costantino (fondatore del cristianesimo come religione di stato), il Colosseo dei martiri e delle Vie Crucis.
Fino ad approdare nella basilica, che ospita l’icona della Madonne salvezza del popolo romano. Anche questo ha avuto il carattere di uno strappo agli schemi.
Va detto che in quest’ultimissima fase della parabola di papa Bergoglio, il Vaticano non è stato all’altezza dell’organizzazione. La bara, issata su un’incongrua papamobile, senza alcuna evidenza, senza un fiore, sembrava un armadio in via di trasloco. E contrariamente a quanto annunciato, l’auto non andava a passo d’uomo permettendo alla folla dolente di accodarsi, ma procedeva a media velocità, il tempo di una rapida foto. Non è stata semplicità, è stata sciatteria.
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