Opposizione agli atti esecutivi e cumulo di domande: la Cassazione fa il punto

“Secondo la Suprema Corte, qualora nell’ambito di una procedura esecutiva si trovino cumulate fra loro, per ragioni di connessione, due o più controversie, la decisione che intervenga su di esse senza sciogliere detta connessione è soggetta alle medesime regole di impugnazione contemplate nelle procedure esecutive, non essendo concepibili due distinti regimi per l’impugnazione.” La vicenda […] L'articolo Opposizione agli atti esecutivi e cumulo di domande: la Cassazione fa il punto proviene da Iusletter.

Apr 1, 2025 - 08:49
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Opposizione agli atti esecutivi e cumulo di domande: la Cassazione fa il punto

“Secondo la Suprema Corte, qualora nell’ambito di una procedura esecutiva si trovino cumulate fra loro, per ragioni di connessione, due o più controversie, la decisione che intervenga su di esse senza sciogliere detta connessione è soggetta alle medesime regole di impugnazione contemplate nelle procedure esecutive, non essendo concepibili due distinti regimi per l’impugnazione.”

La vicenda trae origine da un decreto ingiuntivo emesso a favore di una società creditrice, in forza del quale, quest’ultima, notificava un atto di pignoramento presso terzi, per il recupero del credito, nei confronti della società debitrice ingiunta. Tuttavia, il terzo pignorato ricevuta la notifica dell’atto di espropriazione, trasmetteva al creditore procedente la dichiarazione di quantità negativa ex art. 547 c.p.c.. Nello specifico, dichiarava di non essere debitore di alcun credito; la società creditrice, contestando tale dichiarazione, affermava, invece, che il debitore aveva ceduto un ramo d’azienda al terzo delegando il pagamento dei crediti relativi al ramo ceduto, compreso il proprio.

Nelle more, interveniva la dichiarazione di fallimento della società debitrice esecutata e il Giudice, nonostante ciò, emetteva ordinanza di assegnazione delle somme a favore della creditrice, ordinando al terzo di provvedere al pagamento delle somme pignorate.

Il terzo pignorato, ritenendo l’ordinanza di assegnazione illegittima, proponeva opposizione ex art. 617, co. 2, c.p.c.. Con la suddetta opposizione, il terzo pignorato conveniva in giudizio il creditore procedente al fine di sentire accertare la nullità ed illegittimità dell’ordinanza di assegnazione emessa, stante l’intervenuto fallimento del medesimo debitore. Si costituiva in giudizio il creditore procedente, contestando la domanda avversaria e chiedendo, contestualmente, di accertarsi il proprio diritto alla riscossione del credito vantato nei confronti del terzo pignorato. Infatti, secondo parte opposta, il terzo pignorato, a seguito dell’acquisto per cessione del ramo di azienda della società debitrice era divenuta essa stessa sua debitrice, in quanto con detta cessione i debiti erano stati trasferiti.

Il Tribunale, accogliendo parzialmente l’opposizione, revocava l’ordinanza di assegnazione, ma riconosceva l’esistenza del credito, in accoglimento della domanda di accertamento formulata in via subordinata dal creditore. Il terzo pignorato, pertanto, impugnava la decisione in Appello, la quale, tuttavia, dichiarava l’inammissibilità del ricorso, condannandolo al pagamento delle spese processuali.

La vicenda proseguiva, quindi, in Cassazione: infatti, avverso la sentenza della Corte territoriale proponeva ricorso il terzo pignorato e controricorso il creditore procedente:

Nello specifico, il terzo pignorato, articolava il ricorso su due motivi:

Con il primo motivo eccepiva la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 99 e 112, degli artt. 323 e 339 c.p.c., degli artt. 617 e 618 c.p.c. e degli artt. 2907 e 2909 c.c., in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., per aver il giudice di secondo grado ritenuto inammissibile l’appello, interpretando la domanda formulata dal creditore procedente come autonoma domanda di accertamento della esistenza di un credito nei confronti del terzo pignorato e accogliendola senza previamente qualificarla in alcun modo. Parte ricorrente, richiamando il principio affermato da Cass. n. 28131/2022, osservava che “la domanda di accertamento, proposta dal creditore non può avere ingresso nel giudizio di opposizione ex art. 617 c.p.c. ed avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile”, sostenendo altresì che la Corte di merito – in presenza di una sentenza solo formalmente unica, ma contenente due distinte decisioni – avrebbe dovuto qualificare la domanda come ordinaria domanda di accertamento della esistenza di un credito e, quindi, ritenere legittimo l’appello da essa proposto.

Il secondo motivo, invece, atteneva alla violazione e/o falsa applicazione del D.M. 55 del 2014, art. 4 (…) per aver la Corte d’Appello adita liquidato il compenso previsto per l’espletamento della “fase istruttoria e/o di trattazione” nonostante tale fase non abbia avuto luogo.

La Suprema Corte si è quindi pronunciata e richiamando due propri precedenti (Cass, n. 11111/2020 e Cass. n. 33464/2024) ha ritenuto infondato il primo motivo di ricorso, precisando come “la domanda di accertamento dell’esistenza di un debito del terzo pignorato nei confronti del creditore procedente, formulata da quest’ultimo, in via subordinata, nell’ambito del giudizio di opposizione ex art. 617 c.p.c., non è tale da configurare una causa diversa, bensì costituisce il presupposto della contestazione del creditore nei confronti dell’opposizione proposta avverso la ordinanza di assegnazione di crediti.

Entrando nel merito della pronuncia della S.C., quest’ultima, ribadendo un consolidato principio di diritto, ha ritenuto “qualora, tuttavia, una qualificazione ad opera del giudice a quo sia mancata oppure non possa reputarsi effettiva (…) l’attività di qualificazione deve essere svolta, anche d’ufficio, dal giudice ad quem, adito con la impugnazione, non solo ai fini del merito, ma anche dell’ammissibilità stessa del gravame (…)(cfr. Cass. n. 907/2004 e n. 6844/2024).

Ciò posto, per la S.C., la ricorrente ha errato quando afferma nei propri scritti difensivi “… che la domanda non poteva che essere ritenuta del tutto estranea all’opposizione  (…) essendo diretta ad accertare l’esistenza di un debito del terzo pignorato nei confronti della società creditrice procedente e quest’ultima nonché il Giudice del primo grado, hanno inteso quindi il giudizio ex art. 617 c.p.c. – anziché quale giudizio a carattere rescindente con oggetto necessariamente limitato all’accertamento della validità degli atti esecutivi – quale ordinario giudizio di cognizione con ampio ‘thema decidendum’”

Tuttavia, alla luce di quanto premesso, nel caso in esame, per la Suprema Corte “la richiesta di accertamento dell’esistenza di un debito del terzo pignorato nei confronti della creditrice precedente non trasmoda in una causa diversa, condizionando intrinsecamente la fondatezza della proposta opposizione.”

Quanto al secondo motivo di ricorso, la Suprema Corte lo ha accolto, reputando necessario dar continuità ai propri due precedenti (Cass. n. 29077/2024 e Cass. n. 10206/2021) e sottolineando che non si possa dar luogo alla liquidazione del compenso previsto per l’espletamento della “fase istruttoria e/o di trattazione” in assenza di detta fase come accaduto nel caso di specie. Occorre evidenziare che il Collegio, richiamando precedenti nonché recenti pronunce (Cass. n. 8870/2022, che richiama Cass. n. 20993/2020) non ignora che “la fase di trattazione si abbia in ogni caso nel corso del processo ordinario di cognizione, anche se non vi sia un’udienza specificamente dedicata alla trattazione o all’istruzione della causa o, altresì, chel’eventuale mancato svolgimento della fase istruttoria in sé e per sé considerata (…) non vale ad escludere il computo, ai fini della liquidazione giudiziale dei compensi, dell’importo spettante per la fase(…) Tuttavia, al giudizio di Appello reputa preferibile dare continuità al principio di diritto (già affermato da Cass. n. 10206/2021 e di recente ribadito da Cass. n. 19 29077/2024) secondo il quale “… nel giudizio di secondo grado si può dare luogo al riconoscimento della relativa voce di tariffa unicamente qualora sia effettivamente posta in essere una o più delle specifiche attività previste dall’art. 350 c.p.c. ovvero sia fissata un’udienza a tal fine o, comunque, allo scopo di svolgere altre attività istruttorie e/o di trattazione.”

Pertanto, per i motivi sopra esposti, la Corte, in virtù dell’accoglimento parziale del ricorso, in relazione al secondo motivo, e rigettando quindi il primo, ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese di lite relative al giudizio di Appello ma ha compensato le spese del giudizio di legittimità.

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