Opposizione a precetto e mancata prova della titolarità del credito: la Corte d’Appello di Cagliari su valore dell’avviso in Gazzetta Ufficiale, rinvio al sito internet e dichiarazione della cedente.
App. Cagliari, 21 febbraio 2025, n. 70. Segnalazione a cura dell’Avv. Antonello Casula.

App. Cagliari, 21 febbraio 2025, n. 70.
Segnalazione a cura dell'Avv. Antonello Casula.
La Corte d’Appello di Cagliari, con la sentenza n. 70, pubblicata il 21 febbraio 2025, è tornata ad occuparsi della legittimazione ad agire e della prova della titolarità del credito, ribadendo alcuni importanti principi in materia di cessione di crediti in blocco ai sensi dell’art. 58 TUB.
*****
Il fatto.
La vicenda oggetto di causa prende le mosse da un’opposizione a precetto, promossa innanzi al Tribunale di Oristano, in cui, in via preliminare, gli opponenti avevano eccepito “la carenza della titolarità del credito e la conseguente legittimazione ad agire della cessionaria per il tramite della sua mandataria … non essendo sufficiente, per comprovare la cessione del credito in favore della società opposta l’asserita pubblicazione dell’avviso di cessione nella Gazzetta Ufficiale”.
Il giudice oristanese aveva ritenuto fondata la predetta eccezione in quanto “sebbene, in astratto, l’avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale possa ritenersi sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario, ove consenta di includere univocamente il credito azionato fra quelli oggetto della cessione in blocco, nel caso di specie, l’avviso pubblicato (…) non può essere considerato sufficiente, atteso che non consente di ricondurre senza incertezze il credito vantato dall’odierna opposta fra quelli oggetto del contratto di cessione in blocco di crediti concluso in data 7.06.2018” tra la cessionaria e la Banca cedente.
Nel suddetto avviso, infatti, veniva “data comunicazione di un contratto di cessione di crediti, in virtù del quale la società opposta ha acquistato pro soluto dalla Banca Cedente «tutti i crediti pecuniari (derivanti, tra le altre cose, da finanziamenti ipotecari e/o chirografari) che siano stati individuati nel documento di identificazione dei crediti allegato al Contratto di Cessione e che siano vantati verso debitori classificati a sofferenza».
Ad avviso del primo giudicante, “il duplice riferimento, per l’individuazione dei crediti ceduti, a un documento identificativo allegato al contratto di cessione, non prodotto in giudizio, e alla classificazione dei debiti “a sofferenza” non consente di affermare con certezza che il credito sotteso al titolo posto a fondamento del precetto opposto rientri fra quelli oggetto del contratto di cessione”.
Nello specifico, il giudice di prime cure aveva rilevato che, “se è vero che, nello stesso avviso, si legge che la cessione ha avuto ad oggetto crediti derivanti da una certa tipologia di operazioni, in particolare da finanziamenti (incluse aperture di credito) e/o crediti di firma, tuttavia l’indicazione non ha carattere onnicomprensivo” posto che “non consente di ritenere che tutti i crediti scaturenti da quel tipo di rapporti siano stati oggetto del contratto di cessione”.
Secondo il primo giudicante “tale univocità non si riscontra neppure nella ulteriore precisazione, contenuta nell’avviso de quo, per cui ad essere stata oggetto di cessione è «l’intera posizione debitoria dei debitori ceduti esistente verso la Banca Cedente alla data del 31 dicembre 2017», in quanto non appariva sufficientemente comprovata la classificazione del debito indicata nell’avviso di cessione” tra i crediti “a sofferenza”. Difatti “al fine di ricondurre un debito alla categoria “sofferenze”, è necessaria, secondo le Istruzioni della Banca d’Italia per gli intermediari creditizi, una valutazione da parte dell’intermediario della complessiva situazione finanziaria di soggetti di cui sia stato accertato, anche se non giudizialmente, lo stato di insolvenza, non potendo tale classificazione scaturire automaticamente da un mero ritardo nel pagamento del debito. D’altronde, dall’esame delle produzioni acquisite in giudizio, non risulta che vi sia stata la segnalazione degli intimati alla Centrale dei Rischi”.
Avverso tale sentenza ha proposto appello l’Istituto di credito, censurando, con il primo motivo di impugnazione, il provvedimento nella parte in cui “ha accolto l’eccezione del difetto di sua legittimazione attiva per non avere essa offerto prova convincente dell’avvenuta cessione in suo favore dei crediti, oggetto del contenzioso”, da parte del Banca mutuataria.
In sede di gravame, l’Istituto appellante, ha ribadito “la sufficienza dell’avviso della cessione nella Gazzetta Ufficiale del 14 giugno 2018 prodotta in giudizio a comprovare l’avvenuta cessione, dovendo ritenersi che i titoli azionati, revocati nel mese di marzo 2017 e successivamente volturati a sofferenza come da documento prodotto, rientrassero perfettamente nelle categorie oggetto di cessione previste”.
Ha altresì rilevato “che dell’avvenuta cessione aveva dato atto, con dichiarazione pure prodotta, la Banca cedente” e ha anche evidenziato che “la cessionaria aveva posto in condizioni le controparti di verificare se il proprio credito fosse compreso nell’ambito della cessione in parola, in quanto nell’avviso di cessione si leggeva «la Banca Cedente e la Società renderanno disponibili nella pagina Web» della Banca cedente, «fino alla loro estinzione, i dati indicativi dei Crediti. Inoltre, i debitori ceduti potranno richiedere conferma dell’avvenuta cessione mediante invio di richiesta scritta al seguente indirizzo e-mail: (…)». Le parti debitrici avevano, pertanto, ad avviso dell’appellane, “tutti gli strumenti per poter individuare il proprio debito all’interno della rosa di quelli ceduti”.
La decisione.
Ebbene, la Corte d’appello di Cagliari ha ritenuto detto “motivo di appello … infondato”.
Il Collegio sardo, preliminarmente, ha dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 345 c.p.c. “la produzione dei documenti nuovi nel presente grado del giudizio, ovvero la lettera di revoca degli affidi e la dichiarazione di cessione a firma della Banca cedente., documenti che non possono essere pertanto utilizzati al fine di colmare le lacune di allegazione e di prova nel giudizio di primo grado”.
Inoltre, ha ritenuto “inconferente l’argomentazione fondata sugli strumenti offerti con le indicazioni contenute nell’avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale alla parte asseritamente debitrice al fine di verificare se il debito per cui è causa fosse o meno ricompreso nella cessione con esso comunicata. A tal riguardo, il Collegio ha rilevato che, “avendo l’opponente a precetto contestato in giudizio la legittimazione attiva dell’intimante, costei doveva offrire la prova dell’avvenuta cessione in suo favore del credito che azionava, irrilevante l’eventuale conoscenza di fatto che di detta cessione poteva aver acquisito la parte debitrice, anche eventualmente attraverso gli strumenti indicati nell’avviso.
Tanto premesso, la Corte isolana ha ritenuto “condivisibile” la decisione del Tribunale di Oristano “alla luce dell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 28790/2024 che ha riassunto i principi affermati dalla Corte di legittimità, in tema di prova della legittimazione attiva collegata all’istituto della cessione in blocco di crediti cartolarizzati”.
In detta pronuncia gli Ermellini, innanzitutto, hanno ricordato che, come più volte “puntualizzato dalla giurisprudenza” della Suprema Corte[1], “in tema di cessione di crediti in blocco ex art. 58 del d.lgs n. 385 del 1993, ove il debitore ceduto contesti l’esistenza dei contratti, ai fini della relativa prova non è sufficiente quella della notificazione della detta cessione, neppure se avvenuta mediante avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ai sensi dell’art. 58 del citato d.lgs., dovendo il giudice procedere ad un accertamento complessivo delle risultanze di fatto, nell’ambito del quale la citata notificazione può rivestire, peraltro, un valore indiziario, specialmente allorquando avvenuta su iniziativa della parte cedente. Sul punto, giova infatti ricordare che, in linea generale, ai fini della prova della cessione di un credito, benché non sia di regola necessaria la prova scritta, di certo non può ritenersi idonea, di per sé, la mera notificazione della stessa operata al debitore ceduto dal preteso cessionario ai sensi dell’art. 1264 c.c., quanto meno nel caso in cui sul punto il debitore ceduto stesso abbia sollevato una espressa e specifica contestazione, trattandosi, in sostanza, di una mera dichiarazione della parte interessata; tale principio valendo, ovviamente, in qualunque forma sia avvenuta la cessione e in qualunque forma sia avvenuta la relativa notificazione da parte del cessionario al ceduto[2], e dunque, almeno di regola, anche se la cessione sia avvenuta nell’ambito di un’operazione di cessione di crediti individuabili in blocco da parte di istituti bancari a tanto autorizzati e la notizia della cessione sia eventualmente stata data dalla banca cessionaria mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell’art. 58 T.U.B.”.
Inoltre, nella richiamata pronuncia, i giudici di legittimità hanno ribadito che, come ripetutamente affermato dalla Suprema Corte, “«una cosa è l’avviso della cessione – necessario ai fini dell’efficacia della cessione – un’altra la prova dell’esistenza di un contratto di cessione e del suo contenuto; di conseguenza la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale esonera sì la cessionaria dal notificare la cessione al titolare del debito ceduto, ma, se individua il contenuto del contratto di cessione, non prova l’esistenza di quest’ultima»[3]. Occorre infatti tenere presente, da un lato, che la prova della cessione di un credito non è, di regola, soggetta a particolari vincoli di forma e, dunque, la sua esistenza è dimostrabile con qualunque mezzo di prova, anche indiziario, e il relativo accertamento è soggetto alla libera valutazione del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità e, dall’altro, opera, poi, certamente, in proposito, il principio di non contestazione”.
Gli Ermellini ricordano, però, che “è (…) necessario sempre tenere distinta la questione della prova dell’esistenza della cessione (e, più in generale, della fattispecie traslativa della titolarità del credito) dalla questione della prova dell’inclusione di un determinato credito nel novero di quelli oggetto di una operazione di cessione di crediti individuabili in blocco, ai sensi dell’art. 58 T.U.B”.
Ne consegue che, “«in caso di cessione di crediti individuabili in blocco ai sensi dell’art. 58 T.U.B., quando non sia contestata l’esistenza del contratto di cessione in sé, ma solo l’inclusione dello specifico credito controverso nell’ambito di quelli rientranti nell’operazione conclusa dagli istituti bancari, l’indicazione delle caratteristiche dei crediti ceduti, contenuta nell’avviso della cessione pubblicato dalla società cessionaria nella Gazzetta Ufficiale, può ben costituire adeguata prova dell’avvenuta cessione dello specifico credito oggetto di contestazione, laddove tali indicazioni siano sufficientemente precise e consentano, pertanto, di ricondurlo con certezza tra quelli compresi nell’operazione di trasferimento in blocco, in base alle sue caratteristiche concrete[4]»”.
Ebbene, alla luce di questi principi, secondo la Corte d’Appello sarda, nel caso sub judice – come precedente affermato dal Tribunale di Oristano – “la mancata prova del fatto che i debitori, odierni appellati fossero classificati “a sofferenza” (inutilizzabile, come sopra detto, la revoca degli affidi prodotta nel presente giudizio), non consente di ricondurre con certezza il credito di cui si controverte, in base alle sue caratteristiche concrete, a quelli trasferiti in blocco al preteso cessionario”.
Da qui, il “rigetto del primo motivo d’appello” che ha imposto “di ritenere assorbite le ulteriori questioni sollevate dagli opponenti in primo grado e riproposte negli atti difensivi di entrambe le parti.
Ergo, la Corte territoriale sarda, “disattesa ogni altra istanza, eccezione e deduzione”, ha rigettato l’appello e per l’effetto ha confermato l’impugnata sentenza del Tribunale di Oristano, condannando la società alla rifusione delle spese di lite in favore della parte appellata.
___________________________________________________________________________________
[1] Cfr., da ultimo, Cass., Sez. 3, ord. n. 17944 del 22/06/2023; si veda anche, nello stesso senso, Cass. 3405/2024.
[2] Così, espressamente: Cass., ord. n. 17944/2023, cit.
[3] Così espressamente: Cass., Sez. 3, ord. n. 22151 del 05/09/2019; cfr. già in precedenza Cass., Sez. 1, sent, n. 5997 del 17/03/2006.
[4] Così, sempre Cass., n. 17944/2023, cit.; in tal senso, si veda anche Cass., Sez. 3, ord. n. 9412 del 05/04/2023.