Occhi in Palestina, è iniziata la nostra missione nei territori occupati

Se ci state leggendo, significa che la missione “Occhi in Palestina” è partita ed è in viaggio. Al mio fianco Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli (che ci raggiungerà nelle prossime ore), Peppe De Cristofaro, Franco Mari, attivisti e attiviste tra cui la presidente di AssopacePalestina Luisa Morgantini. La risposta israeliana al terribile attacco terroristico di […] L'articolo Occhi in Palestina, è iniziata la nostra missione nei territori occupati proviene da Il Fatto Quotidiano.

Apr 27, 2025 - 17:38
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Occhi in Palestina, è iniziata la nostra missione nei territori occupati

Se ci state leggendo, significa che la missione “Occhi in Palestina” è partita ed è in viaggio. Al mio fianco Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli (che ci raggiungerà nelle prossime ore), Peppe De Cristofaro, Franco Mari, attivisti e attiviste tra cui la presidente di AssopacePalestina Luisa Morgantini.

La risposta israeliana al terribile attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023 è consistita di fatto nel radere al suolo Gaza: non ci sono più zone sicure, è in corso una catastrofe umanitaria. Già nelle prime settimane successive al 7 ottobre, la reazione di Israele è parsa a tutte e tutti noi di giorno in giorno sempre più lontana dal mero esercizio del diritto all’autodifesa. Poi é diventata lava, trasformando in cenere tutta la parte nord della Striscia.

Dopo un primo cessate il fuoco concordato, che ha permesso il rilascio di alcuni ostaggi da parte di Hamas in cambio della liberazione di alcuni prigionieri palestinesi, nei primi mesi del 2024 le ostilità sono proseguite con una rinnovata drammatica intensità, parallelamente all’allargamento delle operazioni militari israeliane nel sud della Striscia, dove sono presenti centinaia di migliaia di sfollati palestinesi provenienti dal nord.

Il 6 maggio dello scorso anno, l’esercito israeliano ha preso il controllo del valico di Rafah, zona di collegamento tra l’Egitto e la Striscia e unico punto di accesso degli aiuti per Gaza. La chiusura del valico ha prodotto conseguenze devastanti sulla risposta umanitaria, impedendo l’ingresso di forniture di qualsiasi tipo e acuendo le già accentuate vulnerabilità dei civili intrappolati nella Striscia. Gaza è un cimitero a cielo aperto, sono salite a più di 50.000 le vittime civili e chi non è morto sotto le bombe e i colpi di mortaio oggi sta morendo di fame, sete e mancanza di cure.

Il 20 maggio 2024 il Procuratore della Corte penale internazionale Karim Khan ha depositato una richiesta per emettere mandati di arresto nei confronti di tre esponenti militari e politici di Hamas, del Primo Ministro israeliano Netanyahu e del Ministro della Difesa israeliano Gallant, accusati di crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi nel territorio di Israele e nella Striscia di Gaza.

Il 15 gennaio 2025 è stato siglato un nuovo cessate il fuoco. Il 31 gennaio due leggi votate a fine ottobre dalla Knesset sono entrate in vigore: oltre a costringere l’Unrwa ad abbandonare la zona Est occupata di Gerusalemme, è stato vietato agli israeliani qualsiasi contatto e cooperazione con l’agenzia, limitando così fortemente l’assistenza umanitaria a 2,5 milioni di profughi palestinesi in Cisgiordania e a Gaza.

Pochi mesi fa, a febbraio, Trump ha esplicitato il progetto di evacuare la Striscia di Gaza, deportando i circa 2 milioni di palestinesi che la abitano, per ricostruire, al suo posto, un mega resort turistico di lusso. Il 18 marzo il governo israeliano ha infranto la tregua a Gaza con bombardamenti senza sosta sulla popolazione civile. Il 30 marzo l’esercito israeliano ha avviato un’escalation della sua offensiva di terra a Rafah, emettendo un ordine di evacuazione che riguarda la maggior parte della città. Da più di un anno e mezzo il mondo assiste a livelli impensabili di morte e distruzione nella Striscia di Gaza occupata.

Siamo qui, nella terra di Abramo, per questo, ma non solo. Vogliamo prima di tutto tornare a connettere le nostre dichiarazioni pubbliche con una presenza e un viaggio che attraversi lo Stato fantasma di Palestina, fra i territori occupati dai coloni e i campi profughi che ospitano la rabbia e la speranza di un popolo martoriato. Un viaggio fatto di incontri e colloqui con esponenti della società civile, delle Ong e delle associazioni presenti, dell’Autorità Nazionale Palestinese, ma anche pacifisti israeliani e membri della Knesset della joint list.

Oggi più che mai è necessario riconoscere lo Stato di Palestina, condizione necessaria di una politica estera che imprima una svolta positiva al negoziato tra le parti, per giungere alla soluzione “due popoli, due stati” e garantire la coesistenza nella libertà, nella pace e nella democrazia. Così come è urgente assumere l’onere di una grande azione diplomatica, convocando una conferenza internazionale che cerchi soluzioni al conflitto e definisca una prospettiva di pace duratura in Medio Oriente, in linea con le risoluzioni delle Nazioni Unite, con il pieno coinvolgimento dei Paesi dell’area e assicurando pari dignità a entrambi i popoli. La nomina – appresa in queste ore – di un Vicepresidente dell’Autorità nazionale palestinese in Cisgiordania è un segnale di speranza.

Ora ci stiamo muovendo verso Gerusalemme Est, la prossima tappa sarà a Sheikh Jarra. Dal 1970 Israele ha una legge che permette a tutti i profughi ebrei sfollati a causa della guerra del 1948 di tornare nelle proprie case: anche se si trovano al di là dei confini riconosciuti dall’Onu, come nel caso di Sheikh Jarrah. Da allora, i discendenti dei profughi palestinesi che si sono trasferiti nel 1956 nei pressi della tomba di Simeone il Giusto cercano di resistere ai tentativi di sfratto.

Obiettivo della missione, che durerà alcuni giorni, è soprattutto quello di osservare con i nostri occhi la condizione dei palestinesi che vivono nei territori occupati dal ‘67, compresa Gerusalemme est, e le pratiche del governo israeliano.

Ci aggiorniamo domani, così spero.

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