Né euforia, né terrore: come vivere la rivoluzione dell’IA secondo Walter Riviera di Intel
"La storia dell'intelligenza artificiale non è uno sprint, ma una maratona", dice il divulgatore e direttore tecnico AI Emea dell'azienda. L’articolo Né euforia, né terrore: come vivere la rivoluzione dell’IA secondo Walter Riviera di Intel è tratto da Forbes Italia.

Articolo tratto dal numero di aprile 2025 di Forbes Italia. Abbonati!
“La storia dell’intelligenza artificiale è una maratona, non uno sprint, e abbiamo completato forse il primo chilometro. Quando le rivoluzioni dei telefoni cellulari e di internet erano allo stesso punto, le regine del mercato erano aziende che ora non sono più ai vertici. Tutto può ancora cambiare”. Il parallelo è dell’ingegnere bresciano Walter Riviera, direttore tecnico AI Emea di Intel, che al ruolo nella multinazionale statunitense affianca quello di divulgatore sul tema dell’intelligenza artificiale. Quest’anno è stato co-autore del libro L’algoritmo dell’uguaglianza, edito da Franco Angeli e curato da Ruben Razzante, con prefazione di Liliana Segre, che vuole sfatare i miti sull’IA e parlare di valori come uguaglianza e inclusione nelle applicazioni della tecnologia. Ha portato inoltre a teatro il suo spettacolo Mi ‘AI’ rubato il lavoro. “È uno spettacolo di ‘edutainment’: 40% istruzione e 60% intrattenimento”, dice. “È pensato per un pubblico di non esperti”.
Riviera, come risponde quando qualcuno le chiede se deve avere paura dell’intelligenza artificiale?
Di solito comincio con una domanda: ‘Accetti i cookie senza leggere?’. La maggior parte delle persone risponde di sì. Allora dico: ‘Comincia a preoccuparti di quello, prima che dell’IA’. Se alla cassa del supermercato ci chiedessero il passaporto, la vedremmo come un’intrusione, perché il passaporto contiene la nostra identità. Eppure non facciamo lo stesso quando ci chiedono di fornire la nostra identità digitale. Non ci siamo ancora resi conto dell’importanza dei dati. Sono loro la vera star della rivoluzione in atto, non l’intelligenza artificiale.
Quindi non dobbiamo temere, per esempio, che l’IA ci porti via il lavoro?
Non siamo ancora in grado di prevedere come l’IA cambierà il mondo del lavoro. Quanti specialisti, 20 anni fa, prevedevano che fare lo youtuber sarebbe diventato un lavoro? Nessuno. Ecco, non abbiamo ancora idea di quale sarà l’equivalente degli youtuber, o delle altre nuove professioni legate al web, che saranno generati dall’innovazione basata su IA.
Allora quale atteggiamento bisogna adottare nei confronti dell’intelligenza artificiale?
Stare con i piedi per terra, attenersi ai fatti e non abbandonarsi agli estremi: né eccessivo entusiasmo, né terrore.
E come si costruisce questo atteggiamento?
La chiave è informarsi. Se si prova a guardare da vicino come funziona un Llm (large language model), cioè un modello linguistico di grandi dimensioni come Gpt di OpenAI, si vede che, in definitiva, è un manipolatore di testo. Ci sono poca intelligenza e molta artificialità. Se si capisce questo, si smorzano gli eccessi di eccitazione e paura e si dorme più tranquilli.
In che direzione va lo sviluppo dell’intelligenza artificiale?
Il 2023 è stato l’anno in cui, con ChatGPT, tutto il mondo si è accorto dell’esistenza di una cosa chiamata IA. Il 2024 è stato segnato dalla gara a chi faceva il modello più grande, con più parametri, e Meta è arrivata a 450 miliardi con Llama. Il 2025 è iniziato con l’avvento di DeepSeek, che ha 600 miliardi di parametri, ma ne usa 32 miliardi per volta. Di recente è arrivato il nuovo Gemma di Google, che va da 1 a 27 miliardi e sembra fare cose eccezionali. Questa è una tendenza molto importante: fare modelli non più grandi, ma che lavorano meglio. Fare le stesse cose, ma usando meno risorse.
A che punto siamo con l’intelligenza artificiale generale (Agi), quella che dovrebbe saper svolgere gli stessi compiti intellettuali di un essere umano?
Negli ultimi anni se ne è parlato molto, ma fino a poco tempo fa non è esistita nemmeno una definizione univoca. Solo di recente si è concordato che, quando si parla di Agi, si parla dei cosiddetti agenti.
Che cosa sono?
Gli agenti mettono insieme l’interazione tra l’essere umano e l’IA e gli strumenti di produttività quotidiana. In altre parole, sono ciò che permetterà di far compiere al computer alcuni passi in autonomia, a partire dai nostri comandi. Per esempio: comunico a voce alla macchina che non posso partecipare a una riunione e l’agente manda una mail di scuse. È chiaro, però, che c’è una grossa differenza tra uno strumento del genere, che aggiunge un po’ di automazione ai Llm, e l’intelligenza artificiale generale in grado di fare tutto ciò che facciamo noi.
Come si evolverà l’uso dell’IA da parte delle aziende nei prossimi mesi?
Ogni impresa dovrà identificare i propri problemi e le direzioni in cui evolversi. Quando aiuto i clienti a sviluppare soluzioni basate su IA, il punto di partenza sono sempre i problemi che devono risolvere. E a volte quei problemi si risolvono senza dover neanche comprare nuovo hardware, ma bastano i pc, con Intel Core Ultra nel nostro caso, e i server con Intel Xeon che hanno già in casa. A ogni modo, l’IA non è solo un prodotto finito che le aziende possono acquistare e integrare nel loro mondo, ma anche uno strumento per ampliare quel mondo, e in tal caso l’uso deve essere personalizzato.
Qual è la differenza fra integrare e ampliare con l’IA?
Faccio un parallelo. Quando si è diffuso internet, alcuni tassisti hanno pensato di usarlo per creare un sito web e raggiungere più persone, che potevano prenotare in rete anziché per telefono, integrando così il servizio. Altri, come i fondatori di Uber, hanno messo internet al centro del loro business. Per l’IA vale lo stesso discorso.
Quali sono i settori che adotteranno di più l’intelligenza artificiale e investiranno di più nel prossimo futuro?
Ci sono due settori in prima fila a ogni grande innovazione: quello medico e quello finanziario. Il primo perché ha un impatto critico e può cambiare il mondo, il secondo perché è predisposto all’uso di strumenti come l’intelligenza artificiale. Per usare l’IA occorre avere digitalizzato i dati, e il mondo finanziario lo ha fatto da tempo. Penso a tutto lo storico di transazioni bancarie, per esempio. Perciò è un settore ricchissimo di informazioni che algoritmi o agenti possono leggere, interpretare e sfruttare per fare predizioni.
Quando si parla di IA, si parla quasi sempre di quella generativa, come i chatbot. Com’è il resto del mercato?
C’è tanta intelligenza artificiale che non è generativa e fa ancora la differenza. L’IA non è nata con i chatbot ed esistono strumenti magari un po’ più datati e un po’ meno precisi, ma molto meno onerosi da addestrare e da usare. Per alcuni scopi può essere preferibile un modello accurato all’85% che gira su qualsiasi portatile rispetto a uno che è accurato al 90%, ma impiega dieci volte più risorse.
Come vi state muovendo come azienda?
La parola d’ordine che ci siamo dati è ‘flessibilità’: dobbiamo essere agili per dare a clienti, sviluppatori e appassionati gli strumenti per fare parte del viaggio dell’IA. Poi c’è un’altra parola d’ordine, dettata dal mercato: ‘imprevedibilità’. Il caso di DeepSeek è emblematico: a dicembre 2024 nessuno sapeva che esistesse, a febbraio 2025 ne parlavano tutti. È un mercato dinamico e interessante, con una grandissima opportunità di crescita.
Il boom dell’IA è stato accompagnato da quello delle unità di elaborazione grafica (gpu). Le gpu resteranno l’hardware dell’IA per eccellenza?
Possibile, ma non ci sono certezze. Io ho alcune perplessità. Le gpu sono nate per l’elaborazione di centinaia di milioni di pixel al secondo nei videogiochi, perciò si prestavano a molte delle prime applicazioni dell’IA, che riguardavano l’elaborazione di immagini. Sono state un punto di partenza, ma non sono l’optimum. Adesso c’è l’esigenza di fare meglio con maggiore efficienza dei consumi, non c’è più la corsa al modello più grande. E poi c’è hardware che nasce appositamente per l’IA che potrebbe essere una scelta migliore in diversi casi, come i cosiddetti ‘acceleratori’, ad esempio Intel Gaudi per l’inferenza. Sono convinto che ci sarà un’evoluzione dell’hardware, perché solo ora cominciamo a capire certi meccanismi. Bisogna tenere presente che ancora oggi il cervello umano fa cose molto più complesse e intelligenti dell’IA, consumando molta meno energia. C’è grande margine di miglioramento. Questa è la prossima sfida.
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