Aiuti internazionali in calo, meno fondi per crisi e Paesi più fragili
Aiuti internazionali 2024: cala l’ODA globale, -7,1% rispetto al 2023. Diminuiti i fondi per Ucraina, l'Africa e i rifugiati. Ecco l’allarme dell’Ocse per il futuro prossimo

Nel 2024, per la prima volta dal 2020, l’aiuto pubblico allo sviluppo è diminuito. Un calo del 7,1% in termini reali che interrompe cinque anni di crescita continua e che arriva in un momento in cui le emergenze si moltiplicano. I dati sono dell’Ocse, che ha diffuso un quadro difficile: l’assistenza allo sviluppo si è fermata a 212,1 miliardi di dollari, pari allo 0,33% del reddito nazionale lordo dei Paesi donatori. Lo 0,7%, obiettivo storico dell’Agenda 2030, sembra sempre più lontano.
I tagli non sono astratti. Significano meno fondi per i rifugiati, meno aiuti umanitari, meno risorse per l’Ucraina, che ha visto un calo del 16,7% dei contributi. Significano anche meno ospedali, meno scuole, meno accesso all’acqua in molti angoli del mondo. E mentre cresce la pressione delle crisi climatiche, delle guerre e della povertà, i finanziamenti rallentano. L’Ocse avverte: nel 2025 potremmo perdere un altro 9-17%, se verranno confermati i tagli già annunciati da Stati Uniti e altri grandi donatori.
La fine della crescita degli aiuti allo sviluppo
Il calo dell’ODA (Aiuto pubblico allo sviluppo) non è solo una questione tecnica: è un passo indietro politico. Dopo anni in cui la cooperazione internazionale aveva retto all’urto della pandemia, ora l’attenzione si sposta altrove. Dei 22 Paesi donatori, solo 10 hanno aumentato i contributi, mentre i restanti hanno ridotto, alcuni drasticamente, il proprio impegno.
L’assistenza umanitaria globale è crollata del 43% in un solo anno, proprio mentre aumentano le aree di crisi. Anche i fondi destinati all’accoglienza dei rifugiati sono scesi del 17,3%. In Paesi come l’Italia, questi costi rappresentano ancora più di un quarto del totale degli aiuti. Meno risorse significa, semplicemente, che meno persone riceveranno aiuto.
I Paesi che danno (e quelli che tagliano)
Gli Stati Uniti, al netto del calo, restano il primo donatore assoluto, con 63,3 miliardi di dollari. Ma la loro quota in rapporto al reddito nazionale lordo è solo dello 0,22%. Seguono:
- Germania
- Regno Unito
- Giappone
- Francia
In pochi, anzi pochissimi, superano la soglia simbolica dello 0,7%. Sono: Norvegia, Lussemburgo, Svezia e Danimarca. L’Italia ha aumentato del 6,7% i suoi aiuti, ma resta in fondo alla classifica con solo lo 0,28% del reddito nazionale lordo. Nonostante il miglioramento, siamo ben lontani dagli obiettivi internazionali. E questo ha un prezzo: meno presenza nei contesti internazionali, meno cooperazione, meno influenza.
Nuovi tagli in arrivo nel 2025
Le prospettive per il futuro non sono incoraggianti. Se saranno confermati i tagli promessi da alcuni grandi donatori, in particolare dagli Stati Uniti (già fuori dall’Oms), il 2025 potrebbe segnare un ulteriore crollo tra il 9% e il 17% degli aiuti internazionali. A rischiare di più sono i programmi in ambito sanitario, educativo e ambientale, in particolare nei Paesi più poveri o colpiti da conflitti.
Per l’Ocse, il momento è decisivo: bisogna “fare di più con meno” e investire gli aiuti laddove sono davvero necessari, senza disperdere le sempre meno risorse. Questi sarebbero: sviluppo sostenibile, resilienza climatica e governance locale sono i tre pilastri su cui concentrare l’azione.