N. Stiaffini-G. Castellano – Sull’assenza di deroga implicita all’art. 1957 c.c. nelle fideiussioni ABI o, in ogni caso, sulla nullità di ogni forma di deroga, perché in violazione alla legge n. 287/90

Osservazioni a margine della più recente giurisprudenza di merito di Nicola Stiaffini di Gladys Castellano Nelle ultime settimane si leggono alcune sentenze[1] in punto di nullità parziale dello schema ABI secondo le quali: È confermata la nullità parziale di tali fideiussioni -previa idonea prova sull’uniformità del mercato con idonea produzione di molteplici modelli di contratto […]

Feb 28, 2025 - 14:08
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N. Stiaffini-G. Castellano – Sull’assenza di deroga implicita all’art. 1957 c.c. nelle fideiussioni ABI o, in ogni caso, sulla nullità di ogni forma di deroga, perché in violazione alla legge n. 287/90

Osservazioni a margine della più recente giurisprudenza di merito

Nelle ultime settimane si leggono alcune sentenze[1] in punto di nullità parziale dello schema ABI secondo le quali:

  • È confermata la nullità parziale di tali fideiussioni -previa idonea prova sull’uniformità del mercato con idonea produzione di molteplici modelli di contratto conformi- e quindi la nullità della deroga espressa all’art. 1957 cc (generalmente contenuta nell’art 6), ma
  • Si rileva -molto spesso addirittura d’ufficio- la presenza di una deroga parziale e implicita al medesimo art. 1957 cc nella clausola di pagamento a semplice richiesta scritta (generalmente contenuta all’art. 7), e, in forze di tale implicita deroga quindi
  • Si ritiene sufficiente una mera raccomandata (e non più l’iniziativa giudiziale) per assolvere all’onere di cui all’art. 1957 cc.

Così ragionando, quindi, con la sola messa in mora la banca sarebbe ‘salva’ dalla decadenza.

Premettendo che una siffatta conclusione è palesemente smentita -tra le altre- dalla sentenza di Cassazione n 31105 del 2024 (secondo la quale la clausola che impone al fideiussore il «pagamento a semplice richiesta scritta» non identifica di per sé il contratto autonomo e non deve essere interpretata come deroga implicita all’art. 1957 c.c. neppure in forma parziale), paiono opportune le osservazioni che seguono.

Infatti, considerando che la messa in mora è ragionevolmente sempre presente nella pratica dei fatti, essendo contenuta il più delle volte nella stessa comunicazione di decadenza dal beneficio del termine dell’obbligazione principale (revoca di un affidamento, risoluzione di un mutuo, ecc..) ecco che tale interpretazione dell’art. 7 risulta essere il deux ex machina del contenzioso sulle fideiussioni, salvando moltissime banche anche -addirittura- in grado di appello o in Cassazione.

Tale ragionamento (senza presunzione di esaustività sul tema e invitando il lettore a leggere le sentenze contenenti tali conclusioni) tuttavia non convince per alcune semplici ma (a parere di chi scrive) innegabili (e innegate al momento) ragioni (e, infatti, è stato autorevolmente smentito dalla migliore giurisprudenza di merito[2] ma soprattutto di legittimità[3]).

In primo luogo, infatti, la nullità della deroga all’art. 1957 cc è, in questo contesto, riconosciuta in quanto la relativa clausola rappresenta l’attuazione dell’intesa antitrust. Quest’ultima, in altri termini, ha prodotto l’inserimento nei testi delle fideiussioni di tale deroga e, in quanto tale, la stessa è nulla. La nullità di tali clausole, come correttamente dichiarato dalle SSUU 41994/21, deriva infatti dalla loro natura «(in quanto attuative dell’intesa a monte vietata) di disposizioni restrittive, in concreto, della libera concorrenza».

Sulla scorta di tale limpido ragionamento, dunque, non può revocarsi in dubbio che tale natura (fonte, si ripete, della nullità della clausola) sia ricavabile in ogni forma di deroga all’art. 1957 cc espressa o implicita che sia. Se così non fosse, infatti, si tratterebbe di aver -semplicemente- fatto rientrare dalla finestra, ciò che d’império è stato fatto uscire dalla porta. Se è ‘vietato’ inserire espressamente la deroga, altrettanto vietato (e anzi a maggior ragione) deve esserlo inserirla implicitamente. Se così fosse, sarebbe come dire: non puoi dire di fare qualcosa (i.e. deroga esplicita), ma lo puoi comunque fare (i.e. deroga implicita): ‘si fa ma, non si dice’ cioè non conta l’effetto, ma solo la forma.

In questo senso, peraltro, si segnala la decisione della Corte di Appello di Bologna che (con la sentenza n. 860/2024) ha condivisibilmente sintetizzato il concesso chiarendo che è «del tutto evidente che la stessa previsione di una clausola di deroga esplicita alla disciplina ex art. 1957 c.c. (clausola peraltro nulla) sia del tutto incompatibile con una volontà delle parti di prevedere una sorta di deroga implicita nelle pieghe delle altre clausole contrattuali».

Ovviamente tali conclusioni sono -oltre che contrarie ad ogni canone di interpretazione contrattuale e di buona fede nell’esecuzione del contratto- smentite dalle SSUU sopra citate, ma anche sono contrarie alla ratio della tutela antitrust (di cui alla L. 287/90 e alla direttiva 2014/104) di derivazione unionale che, come tale, deve essere sempre effettiva. Prevale sempre la sostanza sulla forma: si mira a eliminare ogni forma di distorsione del mercato e non è consentita una tutela meramente formalistica. Consentire una deroga implicita e sanzionare una deroga esplicita, in altri termini, è una contraddizione in termini insuperabile. Se la deroga esplicita è -come è- nulla, a maggior ragione lo è anche la deroga implicita.

In secondo luogo, nonostante la riflessione di cui sopra ci appaia risolutiva, ogni eventuale residuo dubbio sulla volontà rappresentata delle parti nel contratto e sul significato da attribuire alle relative clausole contrattuali è risolto dall’interpretazione autentica dello schema ABI eseguita proprio dall’autore del testo stesso, ossia da ABI.

Il contenuto, il significato e le conseguenze di cui all’art. 7 (ossia alla clausola che impone il pagamento a semplice richiesta scritta, ma altrettanto per la clausola che impone il pagamento anche in caso di opposizione del debitore) è cristallizzato -e mai smentito- proprio nell’arcinoto Provvedimento di Banca d’Italia n 55/05 che, infatti, ai paragrafi 28 e 29[4] chiarisce che tale clausola ha esclusivamente natura di clausola solve et repete (conf. Corte di Appello di Milano sent. 2294/2024). Con tale clausola, quindi, le parti hanno solo convenuto il diritto della banca di chiedere al fideiussore il pagamento e che questi dovrà eseguirlo immediatamente, salvo il suo diritto di ripetizione e contestazione (essendo, non a caso, assente la rinuncia all’art. 1945 cc). Si esclude in altri termini il beneficio di preventiva escussione del debitore principale. Ma in alcun modo si fa riferimento all’art. 1957 cc e/o a forme di suo adempimento diverse da quelle previste ex lege (i.e. istanza giudiziale). Estrarre tal testo dell’art. 7 tale conclusione, quindi, risulta contrario addirittura a quello che lo stesso autore dello schema contrattuale ha dichiaratamente ammesso essere il suo significato. Sostenere ciò, quindi, risulta anche contrario all’art. 1362 cc, atteso che la volontà delle parti è, in questo caso, addirittura confessata e consacrata in un provvedimento dell’autorità antitrust e mai smentito.

D’altra parte, tale conclusione è anche coerente con il fatto che nella fideiussione schema ABI – prima dell’art. 7 – è inserito (seppur quale frutto dell’intesa) l’art. 6 contenente la clausola di deroga espressa all’art. 1957 cc, con ciò rendendo del tutto irragionevole presumere che l’articolo successivo contenga una nuova deroga (implicita) al medesimo articolo 1957 c.c. Nessuna convincente ragione, infatti, giustifica l’inserimento (i.e. ripetizione) in due norme contigue di un contratto di una medesima clausola (espressa prima e implicita dopo). È invece certamente convincente e coerente con le dichiarazioni di ABI e con il senso letterale dell’art. 7 che ivi si è voluto regolare il diritto della banca di escutere il fideiussore in deroga al beneficio di escussione del debitore principale, senza alcun riferimento all’art. 1957 cc (già regolato, appunto, dall’art 6).  In tal senso, la Corte di Appello di Venezia con la sentenza n. 248 del 13 febbraio 2025 ha confermato[5], sul punto, il Tribunale di Verona (sent. 1124/23) al suo vaglio condividendo l’assunto secondo il quale «l’impedimento della decadenza esiga l’azione in sede giurisdizionale» (conf. anche Corte di Appello Venezia n 1599 del 17 settembre 2024).

In terzo e ultimo luogo, infine, anche qualora così non fosse (ma solo dopo aver individuato ragioni giuridiche attendibili ad oggi inespresse) vale la pena ricordare che l’art. 1957 cc II parte -dopo aver imposto un’iniziativa tempestiva nel semestre- impone anche la sua diligente continuazione. Si tratta, a ben vedere, di una norma sempre volta ad imporre al creditore un comportamento conforme alla diligenza professionale, onde anche tutelare il fideiussore. È quindi di essenziale importanza rilevare che se, dopo la prima raccomandata (ove, nonostante tutto, fosse ritenuta sufficiente ex art. 1957 I parte cc), la banca abbia poi omesso altre solerti, tempestive e celeri attività, risulterebbe comunque inadempiente e decaduta dalla garanzia. Seppur la norma non definisca temporalmente l’attività successiva alla prima, è ragionevole intendere la stessa con lo stesso crisma della prima, ossia in ordine di tempo semestrale[6]. Se deve attivarsi in tale termine, altrettanto deve fare successivamente e -aggiungiamo noi- sino al consolidarsi di un eventuale conseguente atto giudiziario. Molto spesso, infatti, dopo la prima raccomandata le banche e/o le cessionarie del credito adottano (i.e. mantengono) un comportamento omissivo, magari agendo in via monitoria solo a distanza di anni. Orbene, ove così fosse (e molto spesso è così) anche a riconoscere alla prima raccomandata un valore ex art. 1957 cc, la norma resta però ancora attiva e il descritto successivo comportamento omissivo determina inesorabilmente la decadenza dalla garanzia stessa. Se si intendesse, invece, negare anche tale precetto, tanto varrebbe abrogare l’art. 1957 cc, norma a tutela del garante.

Dato però che l’art. 1957 cc, quale essenziale presidio di tutela del fideiussore, è vigente, la sua corretta applicazione deve essere valorizzata in ogni giudizio, atteso che la diffusa negligenza degli istituti di credito è il presupposto necessario e sufficiente alla liberazione del garante.

Senza presunzione di convincimento dell’interprete, si confida che queste osservazioni possano stimolare una riflessione più attenta sul tema onde arrivare da una definitiva regolamentazione della delicata questione in oggetto. I fatti, in verità, sono chiari e tale chiarezza deve trovare accoglimento nelle decisioni anche di merito dato che, almeno in Cassazione a SSUU, tale chiarezza è stata ampiamente riconosciuta.

In conclusione, nelle fideiussioni ABI il ‘si fa, ma non si dice’ (nel senso che si deroga all’art. 1957 cc, basta non dirlo espressamente) non deve trovare altre conferme ma solo ferme smentite (che, comunque, si trovano in molte sentenze[7]).

 

 

 

 

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[1] V. Cass. nn. 33470 e 33472 del 2024 e Trib. Milano, n. 232/2025.

[2] Cfr., ex multis, Trib. Brescia, n. 2616/24; Trib. Napoli, Sez. imprese, n. 7466/2024; App. Bologna, n. 2266/2024; Trib. Milano, Sez. imprese, n. 306/2025, in fideiussioninulle.it.; App. Torino, n. 28/2024; Trib. Cuneo, n. 679/2024; Trib. Parma, n. 1291/2024.

[3] V. Cass. n. 31105/2024; Cass. n. 20648/2024.

[4] Ivi si legge infatti:

«28. Riguardo alle singole clausole oggetto di approfondimento, l’ABI ha precisato che la disposizione relativa all’obbligo di pagamento del fideiussore a semplice richiesta scritta della banca non configura, in effetti, una garanzia “a prima richiesta”. Quest’ultimo contratto (derogatorio rispetto al regime civilistico delle eccezioni) presenta un carattere autonomo rispetto all’obbligazione principale, mentre, al contrario, la fideiussione omnibus ha natura di garanzia accessoria.

29. L’accessorietà della garanzia omnibus non consentirebbe alcuna deroga all’articolo 1945 cod. civ., ma risulterebbe compatibile con un meccanismo, come quello previsto nello schema, del tipo solve et repete: il fideiussore, cioè, dovrebbe pagare a richiesta della banca l’importo dovuto, ma non perderebbe il diritto di far valere le eccezioni spettanti al debitore principale. La motivazione della clausola in esame risiederebbe, secondo quanto rappresentato dall’ABI, nella possibilità di rendere immediatamente esigibile il debito del fideiussore nei confronti della banca, anche al fine di ottenere un decreto ingiuntivo in caso di rifiuto di pagamento».

[5] Ivi si legge appunto che «Pur con tale precisazione, ritiene il Collegio che l’interpretazione fornita dal Tribunale sia condivisibile in quanto le citate clausole distinguono effettivamente la posizione del debitore principale, nei cui confronti occorre attivarsi in via giudiziale, e quella del fideiussore, cui può essere chiesto il pagamento, anche in via stragiudiziale, senza che la Banca sia tenuta a provare l’inadempimento del debitore principale (secondo lo schema delle clausole c.d. “solve et repete”).

La necessità della proposizione di un’azione giudiziaria è confermata dalla diversa rubrica delle due clausole nonché dall’utilizzo, nell’articolo 6, del verbo “agire” e dall’indicazione che ad intendersi derogato era il termine semestrale (portato a 36 mesi), con implicita riaffermazione, pertanto, della necessità del rispetto dell’altra condizione prevista dall’art. 1957, comma 1, cod. civ. (vale a dire, la proposizione di una domanda giudiziale)».

[6] In tal senso Trib. Milano, n. 7526/2023, in cui ha chiarito tale ” diligenza ” deve sostanziarsi in attività tempestive “intra-semestrali ” a pena – appunto – di decadenza ed estinzione della garanzia.

[7] Cfr note 2 e 3.

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