Meloni moderata in Azione
Parla al congresso dei calendiani "Siamo qui per il confronto" .

C’è una prima volta per tutto. Quello di ieri è stato un debutto addirittura doppio: per la prima volta, da premier, partecipa a un congresso di partito. E, per la prima volta, è ospite applauditissima di un partito di opposizione. Piccolo, è vero: ma quella di Azione è l’opposizione con la quale a Giorgia Meloni piacerebbe avere a che fare. "La politica in democrazia si fonda sul confronto". E figurarsi poi se proprio lei può permettersi di esordire così: "Adesso, porterò io un po’ di moderazione". In effetti, un attimo prima, Carlo Calenda, aveva picchiato come un fabbro sul campo largo. Per quanto ci siano convergenze su alcuni temi come l’Ucraina o il nucleare, non significa che Giorgia speri o ambisca ad attrarre ora Azione nell’ambito della maggioranza.
Non interessa a lei, non interessa al padrone di casa. Si tratta piuttosto di mettere in scena quello che potrebbe essere un rapporto non belligerante tra maggioranza e minoranza ’responsabile’. C’è chi, tra i meloniani, ipotizza che, con una opposizione modello Calenda la premier sarebbe disposta persino a rimaneggiare le riforme istituzionali, dal premierato alla giustizia. Vero? Falso? Non lo sapremo mai: è un periodo ipotetico dell’irrealtà. Ma pare che, in privato, si sia abbandonata a un’autocritica della linea seguita quando era all’opposizione: uno sbaglio chiedere ogni due per tre le dimissioni degli altri. Di certo, non è diventata ecumenica: le staffilate a Conte sull’aumento delle spese della difesa e sul Superbonus sono da copione.
Quella a Elly Schlein è un inedito, che colpisce nel segno, provocando una reazione: "Lei invoca la rottura con gli Usa, e sostiene che l’Europa non deve spendere per la sicurezza. Qual è la proposta? Che gli Usa ci difendano, o che l’Europa diventi una grande comunità hippy militarizzata, che spera nella buona fede delle potenze straniere?". Replica piccata la leader del Pd: "Sulla politica estera il governo è in stato confusionale. Per asservirsi a Trump, Meloni relega l’Italia ai margini dell’Europa".
Avverte la premier: gli investimenti per la difesa sono "il prezzo per la libertà". A chiarire quanto la realtà sia corposa, provvede il ministro della Difesa, Guido Crosetto, invitato anche lui alla kermesse: "Il segretario generale della Nato, Mark Rutte, a giugno proporrà di spendere il 3.5% del Pil per la difesa, noi non arriviamo al 2%". Di certo, Meloni cercherà di evitare fratture con l’Europa. Mentre sinistra e mass media l’accusano di essersi schierata con Trump per aver detto, tra l’altro, nell’intervista al Financial Times di condividere le critiche di J.D. Vance al Vecchio continente, Ursula von der Leyen le offre la sua benedizione: "È positivo il suo contatto diretto con Trump", dice al Corriere della sera. Non solo: la presidente della Commissione Ue apre all’accezione estensiva del piano di riarmo, rinominato Readiness 2030. "Copre un ambito più ampio, che riguarda le diverse dimensioni della sicurezza e gli strumenti per mantenere la pace". Offre una grossa copertura, ma con contropartita: il voto del suo progetto. Giorgia dal palco del Rome Life Hotel la ringrazia. Poi reagisce alle polemiche suscitate dalle sue parole al FT: "Non ho detto che sto con Trump contro l’Europa", ma che "l’Italia sta in Europa anche per rafforzare o difendere l’unità dell’Occidente, bene troppo prezioso per essere archiviato con leggerezza".
A Matteo Salvini certe dichiarazioni devono aver mandato la colazione di traverso, è lanciato nella crociata contro il piano von der Leyen. "Lei fa gli interessi dei tedeschi. Noi quelli degli italiani: non un solo euro di debito per il riarmo". E rivela di aver invitato Vance a Cortina per le Olimpiadi. Non ci fosse il congresso di mezzo si sarebbe autorizzati a parlare di scontro frontale. In quel caso l’irritazione della premier arriverebbe alle stelle. Ma il congresso c’è, sulle parole del leghista tutti fanno la tara: anche Meloni. Per ora il controcanto è un "fastidio". Se l’andazzo resterà questo dopo il 6 aprile, le cose cambieranno. Ma per Salvini tornare indietro non sarà facile.