Libri: "Ecologia spaziale", di Patrizia Caraveo
La corsa allo spazio impone nuove regole: senza una gestione sostenibile dell'orbita e dei corpi celesti, rischiamo di replicare nello spazio gli errori fatti sulla Terra.
La corsa allo spazio non è più appannaggio esclusivo delle agenzie governative: l'irruzione degli imprenditori privati ha rivoluzionato l'orbita terrestre, moltiplicando servizi e opportunità, ma anche rischi e interrogativi. Il boom della Space Economy sta riempiendo il cielo di satelliti, spinto dalla nascita di mega costellazioni per la connessione globale. Ma l'assenza di norme adeguate e la crescita incontrollata degli oggetti in orbita minacciano di trasformare lo spazio in un caotico ingorgo, con il rischio di collisioni devastanti.
A "che serve" questo libro? Questo libro invita a riflettere su una questione urgente: come evitare di replicare nello spazio gli stessi errori commessi sulla Terra? Serve una visione sostenibile che si estenda anche ai futuri insediamenti su Luna e Marte, rispettando gli equilibri dei corpi celesti e prevenendo ogni forma di inquinamento, incluso quello biologico.
Dalle prime immagini del nostro pianeta visto dall'alto è nata la coscienza ecologica. Ora è tempo di compiere un passo ulteriore: costruire un'etica dell'esplorazione spaziale e immaginare una nuova ecologia dello spazio.
A seguire, vi proponiamo in anteprima la premessa del libro, "Il profondo legame tra ecologia e spazio".. La nostra idea di ecologia è indubbiamente legata alla difesa ed alla preservazione dell'ambiente che ci circonda, ambiente che è composto sia da elementi che appartengono a qualcuno sia da elementi che appartengono a tutti perché sono un bene comune. Sappiamo benissimo che l'attività dell'uomo interferisce con gli equilibri ecologici locali e globali e questo è particolarmente vero per le parti comuni, quelle che il diritto romano chiamava res communes perché per loro natura non possono essere privatizzate, come l'atmosfera o gli oceani.
Dal momento che non sono di nessuno, pur essendo a disposizione di tutti, le res communes, che nel diritto anglosassone sono diventate i global commons, sono particolarmente esposte alle conseguenze di un eccessivo sfruttamento. Visto che non occorre pagare per poter pescare in alto mare, per esempio, i nostri oceani sono gravemente impoveriti dalla pesca eccessiva. Purtroppo, lo stesso succede per tutto ciò che è disponibile gratuitamente, come il prelievo della sabbia dalle sponde dei fiumi o dell'acqua dagli acquiferi più antichi, che si sono riempiti nelle ere geologiche ma vengono svuotati ad un ritmo allarmante.
È la tragedia dei commons, un quadro tristemente noto che va combattuto proprio grazie alla coscienza ecologica che va via via crescendo. Se vogliamo lasciare un pianeta in buona salute alle generazioni future occorre promuovere un uso consapevole e sostenibile delle risorse della Terra, ma fino a dove ci dobbiamo spingere? In altre parole, quali sono i confini dell'ambiente che vogliamo proteggere? Dove finisce quello che ci circonda e ci permette di vivere e di operare?.