L’Europa si riarma e “dimentica” il rigore dei conti: i Bund tedeschi ne fanno le spese

Lo scorso anno il debito pubblico dell’area euro viaggiava intorno ai 13.000 miliardi. Con un rapporto rispetto al Pil vicino al 90%. Pochi mesi che visti alla luce delle scelte odierne di Bruxelles e soprattutto della Germania sono praticamente un’era fa. Il bund, il titolo di Stato di Berlino, fino all’altro giorno era considerato il parametro di riferimento a rischio zero. L’asticella con cui misurare le spese degli altri Paesi. Adesso entriamo in un nuovo mondo. Non che il precedente fosse ideale, anzi. La Germania ha imposto per quasi tre decenni le proprie regole e l’austerità agli altri. Senza in alcun modo negoziare sulla grande anomali che rappresentava: il surplus commerciale facilitato dalla moneta unica. Quell’equilibrio attorno al quale è stata costruita l’Ue sta per essere azzerato. Il tentativo in atto di modificare la costituzione tedesca a favore di nuovo debito porterà almeno altri 500 miliardi di fardello, a cui andranno aggiunti (si stima) altri 500 miliardi nel prossimo decennio. Senza contare che in parallelo Ursula von der Leyen vorrebbe aggiungere altri 800 miliardi per finanziare il riarmo. Debito comune? Riutilizzo di altri fondi a discapito della coesione e dell’agricoltura? Questi sono temi e possibili fregature politiche. Ciò che conta ai fini della stabilità complessiva è che il rapporto tra debito Pil si avvicinerà quest’anno al 100% e i bund diventeranno un titolo di Stato quanto gli altri. Ieri il decennale di Berlino ha superato il 2,8% di rendimento. Inoltre, l’azzeramento della politica fiscale della Germania sta avendo un effetto a catena sulle obbligazioni governative in euro e gli analisti si aspettano che i rendimenti aumenteranno, creando una pressione per gli altri governi europei a ridurre l’indebitamento a lungo termine. Terre incognite che l’Europa ad oggi non ha mai sperimentato. Avviando un percorso pieno di incognite. A ringraziare sarà sicuramente Donald Trump per almeno tre motivi. Primo, sta ottenendo quanto aveva già detto al governo Merkel durante il suo primo incarico: spendere di più per stare nella Nato. Secondo perché a comprare il debito europeo saranno anche le banche americane che otterranno, inutile dirlo, ritorni più alti sugli investimenti. Terzo perché le Borse saliranno e ci guadagneranno ancora una volta pure le banche Usa. E tutto ciò senza considerare l’effetto di eventuali dazi. Eventuali perché Trump punta come vediamo ogni giorno alla trattativa. L’Europa può rispondere alzando il muro e andando allo scontro. Ci perderà un po’ l’America. Il Vecchio Continente avrà un crollo del Pil e quindi sarà ancora più difficile sostenere il debito ingrossato. Al momento c’è una strada e non è diversa da quella indicata da Mario Draghi nella scorse settimane. Suona strano detta da lui, visto che in passato (se non in quello recente) non si è mai speso granchè per correggere le storture Ue. Ma si tratterebbe di rivedere tutti i vincoli normativi e lacci di cui si è nutrita la Commissione. E usare tale riforma per offrire una alternativa ai dazi. Ieri intervistato da alcuni quotidiani, il segretario al Commercio americano Howard Lutnick ha attaccato l’Ue ma ha lasciato aperto una porta. «La chiave sarà il rispetto dei nostri partner commerciali», ha dichiarato. «È venuto il momento di cambiare il modello economico internazionale, in vigore dagli accordi di Bretton Woods. È tutta una questione di reciprocità ed equità: li tratteremo come loro trattano noi». E questo include anche l’Iva, l’imposta sul valore aggiunto che agli occhi di Trump è una tassa illecita, un dazio applicato proprio allo scopo di penalizzare le aziende Usa. Per non parlare poi dei regolamenti che frenano le grandi compagnie multinazionali, in particolare nel settore digitale. Le multe e i paletti che l’Ue vuole mettere al cloud e alle piattaforme digitali in generale. Eppure Bruxelles su questo continua a rimanere sorda. Von der Leyen dovrebbe smentire sè stessa. Non solo anche dove può fare retro sembra insistere. Sarebbe pronta, dopo aver annunciato lo slittamento di un anno, a mantenere in vita la decarbonizazione del settore acciaio. Il cosiddetto Cbam. Lo scopo sarebbe proteggere i produttori europei dal dumping, facendo pagare ai Paesi terzi la differenza dei costi di produzione e incentivandoli così ad allinearsi alle regole Ue per evitare questi dazi. L’approvazione finale del Consiglio è arrivata nel 2023. Gli altri Paesi percepiscono il Cbam come un ostacolo ingiustificato, che va a svantaggiare chi ha piani di decarbonizzazione diversi da quelli europei. Washington ha già l’alternativa: il Global arrangement on sustainable steel and aluminum, o Gassa.In pratica uno schema che ha regole più flessibili e mirato a creare un club di Paesi che saranno in grado di bypassare le ferree regole Ue. Significa che saremo tagliati fuori, e l’acciaio Ue rischia di fermarsi. Senza, non si è più produttori. Ed è difficile restare nel G7. Quando gli Usa parlano di reciprocità si riferisc

Mar 7, 2025 - 21:03
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L’Europa si riarma e “dimentica” il rigore dei conti: i Bund tedeschi ne fanno le spese


Lo scorso anno il debito pubblico dell’area euro viaggiava intorno ai 13.000 miliardi. Con un rapporto rispetto al Pil vicino al 90%. Pochi mesi che visti alla luce delle scelte odierne di Bruxelles e soprattutto della Germania sono praticamente un’era fa. Il bund, il titolo di Stato di Berlino, fino all’altro giorno era considerato il parametro di riferimento a rischio zero. L’asticella con cui misurare le spese degli altri Paesi. Adesso entriamo in un nuovo mondo. Non che il precedente fosse ideale, anzi. La Germania ha imposto per quasi tre decenni le proprie regole e l’austerità agli altri. Senza in alcun modo negoziare sulla grande anomali che rappresentava: il surplus commerciale facilitato dalla moneta unica. Quell’equilibrio attorno al quale è stata costruita l’Ue sta per essere azzerato. Il tentativo in atto di modificare la costituzione tedesca a favore di nuovo debito porterà almeno altri 500 miliardi di fardello, a cui andranno aggiunti (si stima) altri 500 miliardi nel prossimo decennio. Senza contare che in parallelo Ursula von der Leyen vorrebbe aggiungere altri 800 miliardi per finanziare il riarmo. Debito comune? Riutilizzo di altri fondi a discapito della coesione e dell’agricoltura? Questi sono temi e possibili fregature politiche. Ciò che conta ai fini della stabilità complessiva è che il rapporto tra debito Pil si avvicinerà quest’anno al 100% e i bund diventeranno un titolo di Stato quanto gli altri. Ieri il decennale di Berlino ha superato il 2,8% di rendimento. Inoltre, l’azzeramento della politica fiscale della Germania sta avendo un effetto a catena sulle obbligazioni governative in euro e gli analisti si aspettano che i rendimenti aumenteranno, creando una pressione per gli altri governi europei a ridurre l’indebitamento a lungo termine. Terre incognite che l’Europa ad oggi non ha mai sperimentato. Avviando un percorso pieno di incognite. A ringraziare sarà sicuramente Donald Trump per almeno tre motivi. Primo, sta ottenendo quanto aveva già detto al governo Merkel durante il suo primo incarico: spendere di più per stare nella Nato. Secondo perché a comprare il debito europeo saranno anche le banche americane che otterranno, inutile dirlo, ritorni più alti sugli investimenti. Terzo perché le Borse saliranno e ci guadagneranno ancora una volta pure le banche Usa. E tutto ciò senza considerare l’effetto di eventuali dazi. Eventuali perché Trump punta come vediamo ogni giorno alla trattativa. L’Europa può rispondere alzando il muro e andando allo scontro. Ci perderà un po’ l’America. Il Vecchio Continente avrà un crollo del Pil e quindi sarà ancora più difficile sostenere il debito ingrossato. Al momento c’è una strada e non è diversa da quella indicata da Mario Draghi nella scorse settimane. Suona strano detta da lui, visto che in passato (se non in quello recente) non si è mai speso granchè per correggere le storture Ue. Ma si tratterebbe di rivedere tutti i vincoli normativi e lacci di cui si è nutrita la Commissione. E usare tale riforma per offrire una alternativa ai dazi. Ieri intervistato da alcuni quotidiani, il segretario al Commercio americano Howard Lutnick ha attaccato l’Ue ma ha lasciato aperto una porta. «La chiave sarà il rispetto dei nostri partner commerciali», ha dichiarato. «È venuto il momento di cambiare il modello economico internazionale, in vigore dagli accordi di Bretton Woods. È tutta una questione di reciprocità ed equità: li tratteremo come loro trattano noi». E questo include anche l’Iva, l’imposta sul valore aggiunto che agli occhi di Trump è una tassa illecita, un dazio applicato proprio allo scopo di penalizzare le aziende Usa. Per non parlare poi dei regolamenti che frenano le grandi compagnie multinazionali, in particolare nel settore digitale. Le multe e i paletti che l’Ue vuole mettere al cloud e alle piattaforme digitali in generale. Eppure Bruxelles su questo continua a rimanere sorda. Von der Leyen dovrebbe smentire sè stessa. Non solo anche dove può fare retro sembra insistere. Sarebbe pronta, dopo aver annunciato lo slittamento di un anno, a mantenere in vita la decarbonizazione del settore acciaio. Il cosiddetto Cbam. Lo scopo sarebbe proteggere i produttori europei dal dumping, facendo pagare ai Paesi terzi la differenza dei costi di produzione e incentivandoli così ad allinearsi alle regole Ue per evitare questi dazi. L’approvazione finale del Consiglio è arrivata nel 2023. Gli altri Paesi percepiscono il Cbam come un ostacolo ingiustificato, che va a svantaggiare chi ha piani di decarbonizzazione diversi da quelli europei. Washington ha già l’alternativa: il Global arrangement on sustainable steel and aluminum, o Gassa.

In pratica uno schema che ha regole più flessibili e mirato a creare un club di Paesi che saranno in grado di bypassare le ferree regole Ue. Significa che saremo tagliati fuori, e l’acciaio Ue rischia di fermarsi. Senza, non si è più produttori. Ed è difficile restare nel G7. Quando gli Usa parlano di reciprocità si riferiscono a tutta questa burocrazia. Che sarebbe da eliminare. La Germania prima di fare debito dovrebbe riflettere su tali aspetti.