Le trame del Conclave. Lanciata la sfida a Parolin: "Ma noi dobbiamo servire"

L’ammonimento ai cardinali del vice decano Sandri alla messa per Bergoglio. Grech ed Erdő i candidati di bandiera. Il segretario di Stato ancora favorito.

Mag 1, 2025 - 06:16
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Le trame del Conclave. Lanciata la sfida a Parolin: "Ma noi dobbiamo servire"

Ad una settimana dall’inizio del Conclave si inizia a giocare a carte scoperte. Nella settima Congregazione generale i cardinali presenti – 181 di cui 124 su 133 elettori – si sono confrontati sulla situazione economica e finanziaria della Santa Sede, sulla sinodalità e il nodo delle vocazioni. Ma è tra una pausa e l’altra dei lavori che in questi giorni si sta incominciando a misurare il peso dei candidati di bandiera destinati a sfidare nei primi scrutini il segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, il favorito della vigilia. Tutto questo mentre si indovinano, anche se cercano di restare allineati e coperti, quei porporati che potrebbero subentrare nella conta che conta per la fumata bianca dopo una volata tirata da altri. Schieramenti, strategie e potere. "Ricordiamoci che regnare è servire", ammonisce il vice decano del Sacro collegio, il cardinale Leonardo Sandri, nell’omelia della messa nella basilica di San Pietro in suffragio di papa Francesco, quasi ad annusare l’aria che tira.

Mario Grech e Péter Erdő, segretario generale del Sinodo dei vescovi, il primo, arcivescovo di Budapest, il secondo; l’uno 68 anni, maltese, l’altro 72, ungherese. Sono i due portabandiera del fronte progressista e conservatore. Grech è il profilo ideale per chi intende rafforzare la sinodalità, paradigma del pontificato di Bergoglio, nell’ottica di una Chiesa più orizzontale e meno clericale. Partirebbe da una ventina di voti fra i quali ci sarebbero quelli del lussemburghese Jean Claude Hollerich e del giapponese Tarcisio Kikuchi. Pochi, se si pensa al golden number di 89 necessario per la fumata bianca, ma la sinodalità ha conquistato i favori di molti cardinali del sud del mondo, Asia soprattutto, che potrebbero anche convergere su un sinodale empatico e pastorale, Matteo Zuppi, o su un comunicatore alla Luis Antonio Tagle.

Di segno antitetico il programma dei kingmaker, dentro e fuori il Conclave, dell’ex presidente dei vescovi europei, Erdő. Questi intendono tornare ad una gestione della Chiesa più centralizzata e meno assembleare. Per il nuovo Wojtyla, detto così anche per una comune visione dell’Europa che necessiterebbe di fondarsi sulle radici cristiane, pallottoliere alla mano, ai blocchi di partenza sarebbero in dote una trentina di voti. Consensi prevalentemente in arrivo dai porporati creati da Ratzinger (20 su 133) e da Giovanni Paolo II (5). Il timore è che, però, la candidatura di Erdő possa essere troppo identitaria e di rottura. Da qui la tentazione di puntare in seconda battuta sul carmelitano scalzo, lo svedese Anders Arborellius, che in quesi giorni tradisce una certa tensione. "Le speculazioni sulle possibilità che possa diventare Papa erano iniziate già un po’ prima e questo è sempre fastidioso – ha dichiarato in una intervista al Catholic News Service –. Molte persone hanno ricevuto una visione di una Chiesa divisa, ma l’hanno ricevuta dai media, non dalla Chiesa".

Diverso lo stato d’animo di Parolin che con l’uscita fuori dai riflettori di Angelo Becciu si è sgravato di un certo imbarazzo. Alcuni retroscena raccontano di un suo confronto accesso con lo stesso ex sostituto agli Affari generali, intenzionato a votare in Cappella Sistina. Ma la consonanza di vedute fra il suo ex capo in Segreteria di Stato e il decano del Collegio, Leonardo Sandri, uniti nel niet al presule condannato in primo grado dal Vaticano, avrebbe convinto Becciu al passo indietro. In Conclave Parolin muoverebbe da una cinquantina di consensi. Non pochi, comunque abbastanza per puntare al papato o restare imbrigliati, scrutinio dopo scrutinio, al cardinalato.