Le mie cinque notti a Roma per mio zio Roberto Farina. Missione compiuta

Arrivo alla stazione Termini di mattina presto, prendo un taxi, a Milano il tassista sarebbe subito sceso per mettere la mia valigia, la videocamera e il cavalletto nel bagagliaio, invece il tassista resta seduto e mi fa un cenno di fare tutto da solo, è questo che amo di Roma: ti chiede sempre di partecipare. […] L'articolo Le mie cinque notti a Roma per mio zio Roberto Farina. Missione compiuta proviene da Il Fatto Quotidiano.

Mag 11, 2025 - 08:11
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Le mie cinque notti a Roma per mio zio Roberto Farina. Missione compiuta

Arrivo alla stazione Termini di mattina presto, prendo un taxi, a Milano il tassista sarebbe subito sceso per mettere la mia valigia, la videocamera e il cavalletto nel bagagliaio, invece il tassista resta seduto e mi fa un cenno di fare tutto da solo, è questo che amo di Roma: ti chiede sempre di partecipare.

Arrivo al caffè Perù dove ho appuntamento con Giorgio Quarzo Guarascio, in arte Tutti Fenomeni. Giorgio arriva in motorino e la prima cosa che mi dice è “Legend”. Per lui sono una leggenda vivente! Gli regalo un libro Taschen su Truffaut e andiamo da Caio Agosto Twombly dove pernotterò per un giorno. Caio è il nipote di Cy Twombly, un pittore americano, uno dei più importanti pittori informali del mondo, le sue quotazioni sono appena appena sotto Picasso, tanto per farvi capire. Caio purtroppo è in Francia per lavoro, quindi ci accoglie Chai, il suo coinquilino, un ragazzo intelligente, accogliente e spiritoso. Insieme a Chai ci sono due adorabili bulldog francesi: Koda e Marcello.

Pranziamo in terrazza: una caprese con del pesto sopra che mi prepara con affetto Giorgio Quarzo. Giorgio ama la filosofia, dice che l’ho conquistato in un mio monologo dove citavo Kierkegaard (e poi dicono che la filosofia non serve a nulla), mentre finiamo la caprese Giorgio se ne esce con questa sentenza che rinnova il pensiero eracliteo: “Tutto mozzarella”, al posto di “Tutto passa”.

Nel pomeriggio ci diamo appuntamento da Silvano Agosti, porto con me anche la poetessa Ilaria Palomba e una sua amica che si chiama Maddalena. Silvano è ancora in forma, nonostante i suoi 87 anni, cita a memoria Dante e Shakespeare, ci prepara del tè, poi riceve una telefonata e ci lascia soli in cucina per un bel po’, quando torna ci suggerisce di farci “una passeggiatina” per Roma. Dentro di me penso: ecco i poeti, ti mandano via di casa con estrema leggerezza. Al momento dei saluti Silvano sfiora le labbra di Maddalena che resta sbalordita e confusa. Dentro di me penso ancora: ecco i poeti, inventano sempre nuove forme d’affetto, baci innovativi. Saluto Giorgio e Maddalena e io e Ilaria andiamo a mangiare da Vito e Dina.

A Roma la dieta è impossibile.

Torno a dormire da Caio Twombly, mi ha generosamente concesso di stare nella sua stanza da letto, mi segue nel bagno Marcello che mi lecca le mani e le gambe (vi ricordo che Marcello è un adorabile bulldog francese). Il giorno dopo passo da via Monserrato a via dei Cappellari che sono vicinissime tra loro, a un passo da Campo de’ Fiori. In via Cappellari abbiamo affittato una bellissima casa con terrazza, mi raggiungono i miei amici Alessandro e Isabelle e la mia donna che si chiama Ethel. Poi verrà anche mio fratello Roberto, ma in un’altra casa.

A Roma non sono per fare il turista ma il regista, voglio fare un film per ricordare la figura di mio zio Roberto Farina, protagonista dell’Estate Romana di Renato Nicolini e fondatore di un famoso cineclub negli anni Settanta che si chiamava L’occhio, l’orecchio e la bocca. Erano tre salette in cui potevi vedere film (l’occhio), ascoltare musica o spettacoli teatrali d’avanguardia (l’orecchio) e c’era anche una saletta da tè dove potevi mangiare (la bocca). Mi faccio una passeggiata in Campo de’ Fiori, mentre parlo al telefono con Cristina Torelli (un’amica di mio zio Roberto), un piccione o un gabbiano segna il territorio sui miei pantaloni, per fortuna il mio panama resta illeso. Mi dico che sarà una vacanza fortunata. Riprendo la statua di Giordano Bruno e il mercato, amo il contrasto tra la figura severa del filosofo, martire della libertà di pensiero, e il vociare policromo del mercato. Riesco a catturare questo breve scambio di battute tra una vecchina del mercato e un passante: “Ciao bello” “Bella sarai te” “Bella quando avevo sedici anni”.

La sera andiamo a mangiare da Giggetto, la gricia più buona della mia vita, con il guanciale croccante come piace a me. Così passa anche la seconda notte, con il mio corpo che digerisce impietosamente un capolavoro culinario della tradizione romana. Il giorno dopo organizziamo un aperitivo rinforzato serale in terrazza, sopra la testa un arcobaleno e il garrito dei gabbiani: sembra una risata stridula che dileggia le mortali vicende umane. Torna Ilaria, accompagnata da Raffaele Rivieccio (critico musicale e cinematografico, organizzatore anche di un festival di cinema in Molise), ci raggiungono a Roma anche le mie cugine che vogliono conoscere Tutti fenomeni (Giorgio Quarzo), siamo un bel gruppo. Giorgio intrattiene Elena e Francesca, si siede in mezzo a loro e distribuisce sguardi in modo democratico a destra e a sinistra. Si parla di musica, dei testi di Battiato, ci sforziamo di capire come si può trovare l’alba nell’imbrunire, mentre il mio amico Alessandro prepara ottimi e impeccabili gin tonic. Così passa anche la terza notte, anche i gabbiani vanno a dormire.

Il giorno dopo torno da Silvano Agosti con Ethel, Alessandro e Isabelle. Filmo Silvano mentre recita una sua poesia in francese dedicata alla mia amica Isabelle, Alessandro voleva conoscere da tempo Silvano ed è felice di sentirsi dire “tu non sai nulla della vita perché sei andato a scuola”. Parlo con Silvano dell’imminente film che girerò a Pozzolengo tra lui e Franco Piavoli, sarà un film sulll’amicizia tra questi due registi anarchici e indipendenti.

La sera andiamo a mangiare in zona Prati da Il Matriciano, ci raggiunge la mia amica Donatella con il suo nuovo fidanzato, è bello vederla finalmente innamorata. Donatella fa l’avvocato, si batte per i diritti dei migranti, ha un animo nobile e generoso, insieme al compagno ha deciso di boicottare tutto quello che riguarda l’America e Israele, e fin qui va tutto bene, poi però il discorso scivola sul Covid e anche la mia adorata Donatella mi fa “è stato un gigantesco esperimento sociale”, noooooo, Donatella, anche tu! Ma come è possibile? Vorrei risponderle che è stato un esperimento riuscitissimo che ha salvato dal collasso il nostro sistema sanitario e protetto tutti noi, soprattutto i più fragili, ma sorvolo e affondo la forchetta in una fumante carbonara.

A casa ci riaccompagna un tassista dalla risata contagiosa. Il tassista mi dice che farà a breve le nozze d’argento, non me ne intendo di matrimonio essendo scapolo, gli chiedo se sono 30 anni e lui mi risponde “No, quello è l’ergastolo!”. Così passa anche la quarta notte.

L’ultimo giorno lo dedico al film su mio zio Roberto Farina. Verso le 11 di mattina vado a casa di Gianni Romoli con Ethel e mio fratello che si chiama Roberto Farina pure lui, come mio zio. Gianni è stato uno dei fondatori dell’Occhio, l’orecchio e la bocca, con Silvia Viglia e mio zio. Ci accoglie con garbo, delicatezza, simpatia, intelligenza. Prima ci fa una lezione improvvisata e spontanea di sceneggiatura (è il produttore e lo sceneggiatore di molti film di Ozpetek, ma ha lavorato anche con Dario Argento, Michele Soavi, Sergio Corbucci, Marco Ferreri e molti altri), dopo si siede e inizia a parlare dell’esperienza di quel mitico cineclub che proiettava di tutto, senza distinzioni tra cinema alto e cinema basso, facevano le maratone, proiettavano di tutto: trailer, pubblicità, filmini di famiglia, anche le code della pellicola, tutto era cinema, materia, arrivarono a “proiettare” anche i film non fatti, invitando gli sceneggiatori a leggere al pubblico il copione non realizzato.

Il pomeriggio vado a casa di Cristina Torelli che ha organizzato un ritrovo con gli amici intimi di mio zio: Roberto Torelli, Marco Polimeni, Paolo Luciani (uno dei montatori autori di Blob), Annetta e Luca Trezza. Questa parte non ve la posso descrivere bene perché ne ho fatto un film lungo che chi è curioso può gustarsi alla termine di questo mio resoconto romano.

Missione compiuta. Era un atto dovuto verso uno zio speciale che non ho avuto modo di conoscere come avrei desiderato. Posso solo dirvi che Roberto ha lasciato un ricordo indelebile in chi ha avuto la fortuna di stargli vicino. Diceva sempre che bisogna vivere con un delirio dentro. Il suo delirio era il cinema, non solo come schermo ma come luogo in cui l’amicizia, l’amore e la vita si fondono assieme. Chi vive senza un delirio, si perde tutto. Ciao Roma, alla prossima. Con amore.

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