La strategia dei dazi non premia Trump: tycoon giù nei sondaggi. Ora l’incognita ricadute della guerra commerciale

Il 54% degli americani disapprova i dazi imposti da Donald Trump sui beni importati dall’estero. Il 52% non è convinto della sua gestione dell’economia. Il 51% dà un giudizio negativo su come il presidente ha sinora governato. Non sono incoraggianti per la Casa Bianca i numeri del sondaggio che il Wall Street Journal ha realizzato […] L'articolo La strategia dei dazi non premia Trump: tycoon giù nei sondaggi. Ora l’incognita ricadute della guerra commerciale proviene da Il Fatto Quotidiano.

Apr 7, 2025 - 07:46
 0
La strategia dei dazi non premia Trump: tycoon giù nei sondaggi. Ora l’incognita ricadute della guerra commerciale

Il 54% degli americani disapprova i dazi imposti da Donald Trump sui beni importati dall’estero. Il 52% non è convinto della sua gestione dell’economia. Il 51% dà un giudizio negativo su come il presidente ha sinora governato. Non sono incoraggianti per la Casa Bianca i numeri del sondaggio che il Wall Street Journal ha realizzato tra il 27 marzo e il 1 aprile, quindi prima dell’annuncio dell’ultimo round di tariffe. Non si tratta di una bocciatura completa per Trump, che mantiene una presa solida sul suo elettorato – il 93% di chi l’ha votato a novembre, sempre secondo il Wall Street Journal, continua a sostenerlo – e che persuade una maggioranza (esigua) di americani sui temi dell’immigrazione e della sicurezza. Il sondaggio è comunque un campanello d’allarme, che si aggiunge a una serie di segnali per Trump molto poco confortanti.

Questi mesi hanno mostrato una cosa. Il presidente ritiene che lo scorso novembre gli americani non gli abbiano dato un semplice mandato di governo, in particolare sui temi dell’economia e dell’immigrazione. Trump pensa invece che la sua vittoria sia stata totale, eclatante – in realtà l’ha spuntata per un solo punto e mezzo su Kamala Harris – e che quindi a lui tocchi non soltanto governare, ma dare una scossa profonda all’America, facendo piazza pulita di politiche decennali che, a suo giudizio, hanno indebolito e umiliato il Paese. Di qui il piano di ristrutturazione dell’amministrazione, con migliaia di licenziamenti e la cancellazione di decine di agenzie federali e organi di garanzia; l’assalto al sistema giudiziario, all’autonomia dei giudici, al diritto alla difesa; le deportazioni sbrigative di illegali e il progetto di cancellare lo ius soli; l’attacco alle università e ai programmi di diversità e inclusione che a partire dagli anni Sessanta hanno alimentato l’immagine dell’America multietnica, multirazziale, liberale; una rivoluzione nei rapporti commerciali con il mondo che non ha eguali in quasi un secolo. Quando, con sempre maggior frequenza, Trump parla della possibilità di servire per un terzo mandato – cosa esplicitamente vietata dalla Costituzione – esprime in fondo la visione assolutistica e millenarista con cui sta affrontando il suo mandato. Gli elettori non lo avrebbero votato per governare. Gli elettori lo avrebbero votato per cambiare spirito, natura, missione dell’America.

Questa convinzione non sembra però confermata dai fatti. Gli ultimi test elettorali non sono andati bene per Trump. Nelle elezioni suppletive per due seggi in Florida, i candidati repubblicani hanno sì vinto, ma con la metà dei consensi che il partito aveva incassato a novembre. E per la prima volta dal 1992 i Democratici hanno ottenuto la maggioranza dei voti in una roccaforte repubblicana, la contea di Escambia. Nel voto per un giudice della Corte Suprema del Wisconsin, la liberal Susan Crawford ha battuto il conservatore Brad Schimel, nonostante quest’ultimo fosse appoggiato da Elon Musk e da decine dei suoi milioni. Proprio Musk appare vicino all’addio all’amministrazione. I licenziamenti per migliaia di dipendenti federali e la retorica violentemente reazionaria hanno indignato molti americani, gli hanno alienato le simpatie dei repubblicani e hanno provocato un collasso nelle vendite delle sue Tesla. Intanto, decine di giudici stanno bloccando molti degli ordini esecutivi di Trump: sui licenziamenti, sul tentativo di cancellare lo ius soli, sulle deportazioni, sull’espulsione delle persone transgender dall’esercito. La stessa Corte Suprema dà segnali importanti. Una giudice che Trump ha nominato, Amy Coney Barrett, è stata il voto decisivo che ha stoppato il tentativo dell’amministrazione di bloccare i fondi già stanziati dal Congresso.

Anche la società civile appare in fibrillazione. Sono 504 gli studi legali americani che hanno firmato un documento in cui si criticano gli attacchi di Trump agli avvocati che nel passato hanno sostenuto cause progressiste o rappresentato in tribunale i suoi presunti nemici. E sabato l’America è stata travolta da oltre 1.400 proteste in cui migliaia di cittadini hanno chiesto a Trump e ai suoi di tenere “giù le mani” da diritti e Costituzione. Non è ancora la revoca del mandato che gli americani hanno assegnato a Trump il 5 novembre scorso. Ma sono segnali interessanti, che mostrano come in parti non secondarie del Paese si stia cementando una certa insofferenza alle politiche di Trump. Per capire gli sviluppi futuri, bisogna probabilmente attendere le ricadute dei nuovi dazi. Venerdì la capo ufficio stampa della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha detto che “l’economia sta iniziando a ruggire” e che “la spinta del presidente per il ritorno dell’occupazione qui negli Stati Uniti sta funzionando”. Il riferimento di Leavitt è ai 228mila posti di lavoro creati dall’economia americana a marzo. L’entusiasmo appare non del tutto fondato. I dati si riferiscono appunto a marzo, prima dell’annuncio dei dazi e del conseguente crollo dei mercati. E dei 228 mila nuovi posti di lavoro quelli creati nel settore manifatturiero sono una minoranza risibile. Bisogna quindi attendere e capire se i dazi faranno aumentare, e di quanto, prezzi, inflazione, instabilità. Questo è, in fondo, il primo vero test che Trump deve affrontare. La politica dei dazi è uno strumento essenziale del suo sogno di distruggere e ricostruire l’America. Se il presidente dovesse fallire, il sogno si trasformerebbe rapidamente in uno stato di crisi e di guerra politica permanente per le strade d’America.

L'articolo La strategia dei dazi non premia Trump: tycoon giù nei sondaggi. Ora l’incognita ricadute della guerra commerciale proviene da Il Fatto Quotidiano.