La strada dell’apartheid progettata da Israele per i palestinesi in Cisgiordania
Al mattino il checkpoint di al-Za’im, per chi proviene dalla Cisgiordania occupata da Israele in direzione di Gerusalemme est, è quasi sempre congestionato. Ma presto, grazie a un nuovo sistema stradale separato per i palestinesi, questo problema non si porrà più, almeno per i coloni israeliani. Il 29 marzo scorso infatti, nel bel mezzo della […]

Al mattino il checkpoint di al-Za’im, per chi proviene dalla Cisgiordania occupata da Israele in direzione di Gerusalemme est, è quasi sempre congestionato. Ma presto, grazie a un nuovo sistema stradale separato per i palestinesi, questo problema non si porrà più, almeno per i coloni israeliani.
Il 29 marzo scorso infatti, nel bel mezzo della ripresa delle ostilità a Gaza che ha mandato in frantumi due mesi di tregua nella Striscia, il gabinetto di sicurezza del governo Netanyahu ha stanziato 335 milioni di shekel (pari a circa 79,84 milioni di euro) per un progetto infrastrutturale in sospeso da anni, un asse stradale che collegherà i villaggi palestinesi di al-Azariyya (l’evangelica Betania) e al-Za’im, eliminando il posto di blocco e segnando un altro passo verso l’annessione di fatto a Israele di Ma’ale Adumim, una delle più grandi colonie illegali costruite in Cisgiordania.
“Sovranità” di chi?
Quando, nel marzo del 2020, l’allora ministro della Difesa israeliano Naftali Bennett annunciò il progetto di una strada riservata ai palestinesi tra al-Azariyya e al-Za’im, promosse l’iniziativa come “Via del Tessuto della Vita” o “della Sovranità” perché avrebbe permesso «ai veicoli palestinesi di circolare senza attraversare il blocco di Ma’ale Adumim, vicino alle comunità ebraiche». Ancora oggi infatti, come denuncia l’ong israeliana MachsomWatch, per spostarsi dalle zone meridionali alle aree settentrionali della Cisgiordania (o viceversa) andando ad esempio da Betlemme a Ramallah, i palestinesi devono dirigersi prima a nord verso Abu Dis e al-Azariyya, poi a est costeggiando l’insediamento illegale di Ma’ale Adumim e poi di nuovo a nord verso Hizma e da lì alla capitale di fatto dell’Autorità nazionale palestinese (Anp).
Siccome non esiste altra via per collegare il nord e il sud della Cisgiordania, in questa zona Israele non ha potuto completare la cosiddetta “barriera di separazione” ma con la nuova strada separata per i palestinesi sarà possibile interdire loro l’intera area, spostando il checkpoint di al-Za’im, già oggi accessibile solo ai cittadini israeliani e ai residenti arabi di Gerusalemme est. Come annunciato già nel 2021 dall’allora sindaco di Ma’ale Adumim Benny Kashriel (che due anni fa l’Italia respinse come ambasciatore a Roma), il posto di blocco non sarà eliminato ma solo spostato di una decina di chilometri verso est, all’altezza della zona industriale di Mishor Adumim. Un cambiamento importante perché l’insediamento illegale potrà allora essere circondato da una recinzione che impedirà ai palestinesi l’accesso alla strada diretta per Gerusalemme est, consentendo ai coloni di spostarsi senza soluzione di continuità verso il territorio di Israele, annettendo di fatto anche questo avamposto, in vista del suo inglobamento di diritto, e permettendo di pianificare nuove costruzioni nella zona a nord-est della Città santa. Con questa strada infatti Tel Aviv potrà affermare che il muro di separazione da completare intorno all’insediamento illegale non separerà i territori palestinesi, a cui il nuovo progetto consentirebbe una presunta “continuità di trasporti” nell’area metropolitana tra Ramallah, Gerusalemme e Betlemme, promuovendo così lo sviluppo edilizio nel cosiddetto settore E1, un’area che – se riempita di quasi 3.500 avamposti come proposto nel 2020 dal premier Benjamin Netanyahu – taglierà di fatto in due la Cisgiordania, archiviando forse per sempre la soluzione dei due Stati.
Tanto è vero che, per evitare di violare gli accordi del 1995 che attribuiscono alla sola Anp il diritto di pianificare infrastrutture in questa zona (che ricade nell’Area B della Cisgiordania), il governo israeliano ha dovuto appellarsi a presunte «esigenze di sicurezza», affidando tra l’altro ai militari la confisca delle terre su cui sorgerà la nuova strada invece che al normale processo di esproprio legale. Non c’è male per un progetto ribattezzato “Via della Sovranità”, resta solo da sapere a chi attribuirla.
L’anno dell’annessione
Non è forse un caso però che il progetto, proposto già quindici anni fa e rimasto fermo dal 2020, sia stato approvato proprio ora. D’altronde lo scorso anno, secondo l’ultimo rapporto dell’ong israeliana PeaceNow, è stato «l’anno dell’annessione» in Cisgiordania. Per la prima volta dagli Accordi di Oslo del 1993, almeno otto avamposti israeliani illegali sono stati istituiti nell’Area B e altri 51, per lo più agricoli, in altre zone dei Territori palestinesi. Oltre 114 chilometri di strade sono state illegalmente realizzate per ampliare gli insediamenti, impedendo l’accesso ai palestinesi, mentre le autorità israeliane hanno approvato la costruzione di almeno altre 9.884 nuove unità abitative nelle colonie (dopo le 12.349 del 2023 e prima delle 2.377 di quest’anno). Il governo di Tel Aviv ha acquisito al demanio oltre 23,7 chilometri quadrati di terreni palestinesi, approvato la costruzione di cinque nuovi insediamenti; avviato il processo di legalizzazione di altrettanti avamposti riconosciuti come «quartieri» di colonie già esistenti; e garantito l’accesso ai finanziamenti pubblici per altri 70.
Tutto questo, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari nei Territori occupati, ha aggravato le condizioni della popolazione palestinese. Tra il 7 ottobre 2023 e il 31 dicembre 2024, l’Onu ha documentato lo sfollamento di 1.762 persone, tra cui 856 minori, principalmente in comunità beduine e di pastori in Cisgiordania, a causa «dell’intensificarsi degli attacchi da parte dei coloni israeliani e delle restrizioni all’accesso» alle loro proprietà. Una situazione aggravatasi nel corso di quest’anno. Soltanto tra gennaio e febbraio 2025, secondo i dati pubblicati dallo stesso Ufficio delle Nazioni Unite, almeno 44.285 persone sono state sfollate dalla Cisgiordania occupata, la maggior parte (oltre 38mila) durante l’ultima operazione condotta dall’esercito israeliano a Jenin e Tulkarem, nel nord dei Territori. In questo periodo, almeno 2.765 palestinesi si sono visti distruggere le proprie case e altri 837 hanno dovuto fuggire dalla violenza dei coloni. Ma presto avranno una strada separata tutta per loro.