Il neuropsichiatra Stefano Vicari a TPI: “Al Pronto Soccorso del Bambino Gesù accogliamo quasi 5 minori al giorno per problemi psichiatrici”

Ci sono ragazzi che trascorrono le giornate chiusi in camera, senza alzarsi dal letto. Alcuni smettono di andare a scuola. Altri “scrollano” il telefonino alla ricerca di like e consensi. Per alcuni il cibo è una valvola di sfogo: si abbuffano o smettono di mangiare. C’è chi non si sente all’altezza della performance o dell’impegno […]

Apr 24, 2025 - 10:08
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Il neuropsichiatra Stefano Vicari a TPI: “Al Pronto Soccorso del Bambino Gesù accogliamo quasi 5 minori al giorno per problemi psichiatrici”

Ci sono ragazzi che trascorrono le giornate chiusi in camera, senza alzarsi dal letto. Alcuni smettono di andare a scuola. Altri “scrollano” il telefonino alla ricerca di like e consensi. Per alcuni il cibo è una valvola di sfogo: si abbuffano o smettono di mangiare. C’è chi non si sente all’altezza della performance o dell’impegno scolastico. Sovrastati dall’ansia, rimangono sospesi in un tempo congelato per la paura di vivere. E provano sollievo nel troncare i rapporti con l’esterno. A livello globale, la prevalenza di adolescenti che manifestano sintomi di ansia e depressione è aumentata vertiginosamente negli ultimi due decenni e gli adolescenti che soffrono di questi disturbi sono a maggior rischio di abuso di sostanze, suicidio, scarsi risultati scolastici.

Numeri e storie difficili
Dati dello scorso anno dell’Unicef ci dicono che il 10 per cento dei bambini e il 20 per cento degli adolescenti soffre di un disturbo mentale. Dire che il 20 per cento degli adolescenti ha un disturbo vuol dire anche che l’80 per cento sta bene e questo bisogna sottolinearlo. Quello più frequente è l’autolesionismo, un fenomeno prevalentemente femminile, ragazze che si tagliano, tentano il suicidio o hanno il pensiero costante di volersi togliere la vita. Ogni anno si contano nel mondo circa 46mila suicidi tra gli adolescenti: più di uno ogni undici minuti. C’è poi l’anoressia, che è anch’essa una forma di autolesionismo. La sofferenza mentale non si riesce a esprimere all’esterno e allora viene trasferita sul proprio corpo come un bersaglio.

«Sono dati che osserviamo anche al Bambino Gesù perché dal 2010 a oggi le richieste di aiuto si sono moltiplicate: se quindici anni fa vedevamo circa 200 bambini l’anno al Pronto Soccorso per un problema psichiatrico, quindi due o tre bambini a settimana, oggi siamo agli oltre 1.800 casi l’anno quindi circa cinque al giorno, che arrivano in ambulanza o con l’autovolante della polizia o accompagnati da genitori disperati», spiega a TPI Stefano Vicari, neuropsichiatra infantile e neuroscienziato che dirige l’Unità Operativa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e autore di “Adolescenti interrotti. Intercettare il disagio prima che sia tardi” (Feltrinelli, 2025), un libro per capire come possiamo favorire la salute mentale dei ragazzi, per evitare di arrivare al Pronto Soccorso con un figlio adolescente. Per aiutarli sin da bambini a potenziare le loro difese psicologiche e a essere autonomi, sereni, felici. 

Trasformare quindi le fragilità in opportunità di crescita e non in patologie. Ma come riconoscere i segnali di un disagio? «Una bambina che alle elementari aveva un buon profitto scolastico, dormiva e mangiava regolarmente, faceva sport ma progressivamente diventa una bambina chiusa, i voti peggiorano, abbandona l’attività sportiva e non socializza o mangia in modo irregolare, è un campanello d’allarme che deve destare l’attenzione, se questo cambiamento diventa stabile per mesi», rimarca Vicari, ricordando un esempio che l’ha toccato profondamente. «Quindi i genitori devono essere presenti, non è vero che conta la qualità ma anche la quantità ed essere presenti a occhi aperti, senza essere giudicanti e senza proiettare le nostre ansie sui ragazzi». 

«Una ragazza che ho visitato l’estate scorsa è venuta da me perché non voleva ricominciare l’anno scolastico, indossava una felpa a maniche lunghe nonostante facesse caldissimo. Chiacchieriamo e quando si stabilisce una buona relazione le dico: “Togliti la felpa, fa così caldo” e quando la toglie la mamma seduta accanto a lei impallidisce perché ha le braccia completamente ricoperte da cicatrici. Era una ragazza che si tagliava da molto tempo. Ma la cosa terribile è quello che la ragazza ha detto a quel punto alla madre: “Sono arrivata a questo punto perché tu ti accorgessi di quello faccio”. Questo dimostra che i ragazzi vogliono attenzioni», aggiunge il neuropsichiatra infantile. 

I dati dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza evidenziano che circa il 20 per cento degli adolescenti italiani si infligge intenzionalmente del male. Il corpo diventa il luogo per dar voce a una sofferenza e comunicare le difficoltà. Come Beatrice, un altro dei racconti nel libro di Vicari, che ha 15 anni quando varca la soglia del reparto di Neuropsichiatria nascondendo in una grande felpa i suoi 36 kg di peso. Il suo pensiero fisso fino a quel momento era dimagrire. Lei era cresciuta con un’unica missione: essere perfetta. A scuola, a danza, appagata nel vedere la madre felice dei suoi successi. Con l’arrivo del Covid-19 sperimenta un senso di vuoto, si rende conto di aver sperimentato poche relazioni strette perché presa tra una performance e l’altra. Prende peso e non si piace più. Teme il ritorno a scuola e a danza con qualche chilo in più e inizia a mangiare meno. Perdere peso è la sua gratificazione, si sente di nuovo “brava”. Si imbatte sui social dove trova una pagina gestita da ragazze che come lei non si piacciono e cercano disperatamente di dimagrire, si unisce al gruppo e accetta la sfida di postare ogni giorno la foto delle proprie gambe. Vince chi riesce a dimagrire più delle altre e lei vive in attesa di quel momento, essere ancora la migliore, come le è sempre stato insegnato. Finisce in un vortice fin quando non sviene, il padre la trova a terra nella sua cameretta e deve portarla d’urgenza in ospedale. 

Crescere online
Dal 2010 c’è anche un altro dato che sottolinea Vicari: un netto aumento delle dipendenze. Le sostanze sono più disponibili e più potenti, il cannabinoide ha un principio attivo fino a 70-80 volte superiore alla cannabis naturale che veniva utilizzata negli anni Settanta. Migliaia di nuove molecole escono ogni anno e questa produzione vuol dire sostanze sempre più potenti, perché chi cerca lo sballo chiede sempre di più. Le dipendenze da sostanze sono aumentate ma ancora di più quelle dagli strumenti elettronici, da Internet. «I prezzi dei telefonini sono crollati e ormai i bambini a cinque anni ne hanno già uno a disposizione per loro o hanno il tablet», ricorda. Questo rappresenta un problema innanzitutto per il numero di ore che trascorrono sui dispositivi: i bambini arrivano anche a sei ore al giorno e gli adolescenti oltre le nove ore. Non dormono, sono sempre connessi, la privazione di sonno è un fattore di rischio molto potente per l’insorgere di disagi. E poi non fanno altro, perché le ore trascorse sul telefonino sono tolte all’attività fisica, alla socializzazione e alle relazioni vere. Prevale la spinta a “postare” e condividere contenuti per ottenere approvazione sociale. La dipendenza dallo smartphone lascia impronte sul cervello dei ragazzi generando effetti neurobiologici a carico della dopamina, il neurotrasmettitore coinvolto nel circuito nervoso della ricompensa e del piacere. Ogni notifica sul display aumenta il livello di dopamina, e quindi il piacere, alimentando l’impulso al controllo del telefonino.

Secondo i dati di Save the Children in Italia circa un bambino su tre tra i 6 e i 10 anni (il 32,6 per cento) usa lo smartphone tutti i giorni, il 62,3 per cento dei preadolescenti (11-13 anni), ha almeno un account social. «Bambini, bambine e adolescenti crescono oggi in una dimensione online, in cui il mondo materiale e quello digitale si intrecciano, ma ciò non significa che abbiano gli strumenti necessari per rapportarsi consapevolmente con l’universo digitale. La rete, infatti, può rappresentare una straordinaria opportunità di apprendimento e socializzazione, permettendo ai più giovani di esplorare e sviluppare nuove competenze, ma anche nascondere rischi di fronte ai quali i ragazzi non possono essere lasciati soli», spiega Daniela Fatarella, direttrice generale di Save the Children.

Grande successo sta avendo ad esempio la serie britannica “Adolescence, ai vertici della classifica di Netflix. In un passaggio dello sceneggiato la direzione è proprio questa: il papà del protagonista racconta come i genitori vedessero il proprio figlio sempre nella sua camera al computer e di come lo credessero al sicuro mentre proprio lì il ragazzo avrebbe trovato le insidie che lo porteranno poi alla tragedia. La serie porta all’attenzione su quanto la dipendenza dai social possa radicalizzare gli adolescenti nel loro processo di formazione e il tema della fragilità adulta, in cui gli spettatori possono facilmente immedesimarsi. 

La Generazione Z è la prima ad aver sperimentato la transizione da un’infanzia basata sul gioco a una incentrata sul telefonino, ma anche da un’infanzia libera a una iper-controllata: mentre gli adulti hanno infatti iniziato a proteggere eccessivamente i bambini nel mondo reale, li hanno lasciati privi di sorveglianza in quello online. Su questo tema un anno fa è uscito il libro “La generazione ansiosa. Come i social hanno rovinato i nostri figli” di Jonathan Haidt con cui l’autore ha raccolto consensi sull’impatto distruttivo che i cellulari hanno sulla salute mentale degli adolescenti, mostrando come abbia interferito con lo sviluppo di bambini e adolescenti causando ansia, privazione del sonno, frammentazione dell’attenzione, dipendenza, paura del confronto sociale. L’autore espone le disastrose conseguenze di smartphone e social media, che allontanano i ragazzi dal mondo reale, chiamando alle armi genitori, insegnanti, aziende tecnologiche e governi affinché salvino la salute mentale dei più giovani. Ha catalizzato un movimento in tutto il mondo. Scuole, Stati e interi Paesi hanno implementato politiche scolastiche senza telefono. L’Australia ha alzato l’età minima per aprire un account sui social media a 16 anni. Due gruppi fondati da madri, Smartphone Free Childhood nel Regno Unito e Wait Until (the end of) 8th negli Stati Uniti, hanno formulato degli impegni affinché i genitori si sostenessero a vicenda nel ritardare l’uso degli smartphone. Il primo è nato all’inizio del 2024 con un semplice post di due mamme britanniche in un gruppo WhatsApp. Cercavano altri genitori che condividessero il loro desiderio di ritardare l’uso degli smartphone: alla fine della prima settimana, contavano 10mila persone, organizzate in 75 community WhatsApp; a marzo 2025, erano oltre 300mila i genitori e 29 i gruppi di supporto in vari Paesi di tutto il mondo.

Sessualità mediata
«Quello che noto sempre più nei genitori che incontro è che sono molto protettivi rispetto alle esperienze extra familiari. Invece non c’è nessun controllo rispetto ai device che noi lasciamo nelle loro mani liberi di utilizzarli come meglio credono, esposti a tutte le sostanze che possono reperire su Internet minando la formazione del loro carattere. Non va dimenticato che i contenuti a cui sono esposti online sono spesso violenti. C’è il cyberbullismo e il materiale pedopornografico», avvisa ancora il neuropsichiatra infantile Vicari. «Un bambino che ho visitato recentemente, che non va più a scuola e ha un ritiro sociale per una forte depressione, mi ha raccontato che tutto è iniziato in terza elementare quando il compagno di banco gli ha fatto vedere un film porno e lui da allora ha sviluppato una dipendenza, scaricando continuamente questo materiale», prosegue il neuroscienziato. «Oggi l’educazione sessuale i bambini la fanno con YouPorn, tutto è trasformato in prestazione e l’ansia cresce. Si stima che gli adolescenti siano i più grandi consumatori di Viagra perché sono terrorizzati dalla possibilità di non garantire prestazioni di alto livello. Perché se il loro modello è YouPorn è difficile il confronto per chiunque, soprattutto per chi inizia e vive le prime esperienze».  

I social acutizzano l’insicurezza e i porno diventano un metro di paragone sbagliato che può generare ansia da prestazione. Molti giovani tentano di esplorare la propria sessualità attraverso il “sexting”, ovvero l’invio di messaggi, immagini o video di natura sessuale attraverso dispositivi digitali: in Italia un ragazzo su tre fa solo sesso virtuale. Si è instaurata una sessualità mediata dai social e da Internet, con un grande assente: il contatto fisico.

Tra scuola e famiglia
Oggi è tutto misurato sul risultato e non sulle emozioni connesse a ciò che si fa. I giovani sono immersi in modelli di identificazione fin dalla nascita. Il titolo “Adolescenti interrotti” del libro di Vicari indica come i disturbi mentali possano essere una sofferenza breve della nostra vita se ce ne accorgiamo e li affrontiamo, perché la buona notizia è che, nella maggioranza dei casi, da questi disturbi si guarisce. Il messaggio che ci lascia Stefano Vicari è positivo: «Ragazzi che sono arrivati da noi in fin di vita, con dipendenze, o avevano annullato completamente l’assunzione di cibo, oggi hanno vite normali, sia in casa che a scuola, e questo è l’aspetto più importante. Riconoscere il disturbo in modo corretto e affrontarlo è parte della soluzione. Anche la scuola ha l’opportunità di educare a una salute mentale contribuendo non solo a formare studenti più preparati». 

La collaborazione tra famiglia, scuola e professionisti è fondamentale per migliorare la qualità della salute mentale dei ragazzi affinché crescano in un ambiente che riduca le pressioni e favorisca la gestione delle emozioni. Dovremmo educare i nostri figli a gestire le emozioni, a chiedere aiuto ad avere relazioni autentiche.