Il ruolo (inesistente) delle importazioni e l’errore nei dati statistici: cosa c’è davvero dietro il calo del pil Usa
Un errore statistico, o meglio un ritardo nell’ aggiornamento di una parte dei dati. E non, nonostante le apparenze, l’effetto della pur reale impennata delle importazioni in previsione dell’entrata in vigore dei dazi reciproci annunciati da Donald Trump. L’interpretazione del calo del prodotto interno lordo statunitense nel primo trimestre ha mandato in tilt diversi osservatori. […] L'articolo Il ruolo (inesistente) delle importazioni e l’errore nei dati statistici: cosa c’è davvero dietro il calo del pil Usa proviene da Il Fatto Quotidiano.

Un errore statistico, o meglio un ritardo nell’ aggiornamento di una parte dei dati. E non, nonostante le apparenze, l’effetto della pur reale impennata delle importazioni in previsione dell’entrata in vigore dei dazi reciproci annunciati da Donald Trump. L’interpretazione del calo del prodotto interno lordo statunitense nel primo trimestre ha mandato in tilt diversi osservatori. Che hanno dato credito a un’interpretazione, cara al presidente Usa, stando alla quale le importazioni “danneggiano” l’economia. Il primo a dare una lettura a prima vista sbagliata è stato del resto il Bureau of Economic Analysis, agenzia che fa parte del sistema statistico federale. Ma si tratta di un’illusione ottica. Vediamo perché.
Mercoledì scorso è stato diffuso l’atteso dato trimestrale sul pil reale americano. Gli analisti si attendevano una lieve contrazione, ma le stime Bea sono risultate peggiori delle attese: -0,3%. La scomposizione di quel numero mostra che consumi e investimenti sono rimasti solidi, per cui la riduzione “riflette soprattutto un aumento delle importazioni, che vengono sottratte dal calcolo del pil, e una riduzione della spesa pubblica“, ha scritto in una nota il Bureau. Problema: il prodotto interno lordo, come dicono i termini stessi, misura la produzione interna di un Paese. Di conseguenza le importazioni, che derivano da produzione straniera, non possono aumentarlo né diminuirlo.
Quindi l’agenzia Usa, che a marzo ha assistito all’abolizione del comitato consultivo (Federal Economic Statistics Advisory Committee) che forniva consulenza sulla metodologia statistica e altre questioni tecniche, ha commesso un errore? Non è così. Semplicemente, quella nota dà per scontata un’informazione non ovvia. L‘equazione con cui si calcola il pil (Pil = C + I + G + X-M) dice che il risultato finale si ottiene sommando consumi, investimenti, spesa pubblica e saldo commerciale, cioè differenza tra export e import. Ma – questo è il pezzo di informazione mancante nel commento del Bea – la spesa per importazioni entra nell’equazione anche in positivo. Sia nei consumi (una parte della spesa per consumi riguarda beni importati) sia negli investimenti (si tratta dei beni importati dalle aziende per immagazzinarli come scorte) e nella spesa pubblica. Il risultato è che quando si sottrae il valore dell’import, il pil non si riduce di altrettanto, ma resta invariato.
Resta a questo punto da spiegare cosa abbia determinato, insieme al calo dell’1,45% della spesa pubblica determinato dai tagli voluti da Trump, il tanto commentato scivolamento dell’economia Usa. Tommaso Monacelli, docente di Economia alla Bocconi, appena nominato managing director de Lavoce.info, su X ha fatto notare che il dato “sembra molto soggetto a errore. In questo caso sulla misurazione delle scorte“. La spiegazione è che, per questioni di tempistiche, il forte aumento delle scorte di beni importati determinato dall’anticipazione degli effetti dei dazi (che come abbiamo detto entra in positivo nell’equazione del pil) non è stato adeguatamente catturato dalle stime trimestrali. Morale: con le future revisioni del dato stimato, arriverà con tutta probabilità un ritocco al rialzo.
Non significa affatto, per intendersi, che la caotica politica commerciale della Casa Bianca non sia un boomerang per l’economia Usa: nel primo trimestre dell’anno i consumi privati hanno tenuto, ma sono cresciuti molto meno che nell’anno precedente. E con l’impatto dei dazi sui prezzi le cose non potranno che peggiorare. L’agenzia di rating S&P ha appena rivisto al ribasso, proprio come conseguenza della guerra tariffaria, le stime sul pil mondiale e su quello Usa, che salirebbe dell’1,5% contro il 2% stimato finora. Altre agenzie hanno aumentato la probabilità assegnata al rischio di una recessione. Questo per non dire dell’andamento del tasso di cambio del dollaro e dell’aumento dei tassi di interesse sui Treasuries, che indicano un crollo della fiducia in quelli che fino a pochi mesi fa erano per definizione asset sicuri in cui rifugiarsi durante le turbolenze dei mercati.
Il grafico è stato realizzato con l’AI
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