Il reddito povero | La ricerca
Negli ultimi dieci anni i lavoratori a bassa retribuzione sono aumentati del 55%, passando dal 4,9% al 7,6% del totale degli occupati. Lo afferma il presidente delle Acli, Emiliano Manfredonia, commentando i dati della nuova ricerca dell’Iref, l’Istituto di ricerca delle Acli, elaborata su circa 800 mila dichiarazioni anonime dei redditi fornite dal Caf Acli. […] L'articolo Il reddito povero | La ricerca proviene da Osservatorio Riparte l'Italia.

Negli ultimi dieci anni i lavoratori a bassa retribuzione sono aumentati del 55%, passando dal 4,9% al 7,6% del totale degli occupati.
Lo afferma il presidente delle Acli, Emiliano Manfredonia, commentando i dati della nuova ricerca dell’Iref, l’Istituto di ricerca delle Acli, elaborata su circa 800 mila dichiarazioni anonime dei redditi fornite dal Caf Acli.
“Sono numeri preoccupanti che ci raccontano di occupazioni con stipendi da fame, orari impossibili, contratti al di sotto di ogni minimo di legge”, sottolinea Manfredonia.
“È ancora più preoccupante il fatto che la povertà lavorativa sia interconnessa con questioni generazionali, di genere e territoriali: per ogni uomo con un lavoro povero ci sono 2 donne, mentre le percentuali di incidenza della povertà lavorativa su un ventenne sono di 3,5 volte maggiori rispetto a quelle di un cinquantenne”.
“Se il lavoro buono non torna al centro dell’agenda politica del Governo e di tutto il Parlamento sarà difficile anche solo immaginare il futuro di questo Paese”, avverte.
I dati dell’Iref mostrano come “la diseguaglianza retributiva e i lavori a basso reddito siano due fenomeni strettamente correlati, che hanno visto un trend di crescita negli ultimi 15 anni”.
Le altre evidenze raccontano un Paese in cui “l’uguaglianza salariale di genere è ancora molto lontana: il campione evidenzia come le donne con lavoro a basso reddito siano il 54% in più rispetto agli uomini”.
“Le diseguaglianze, oltre che di genere, sono anche tra generazioni: gli under30 con un lavoro povero sono il 70% in più rispetto agli under50”, prosegue il presidente.
“Il divario tra Nord e Sud purtroppo permane anche a livello di salario: la probabilità di firmare un contratto a bassa retribuzione in Basilicata è tre volte più alta che in Lombardia. Questa differenza può diventare ancora più significativa se da un polo urbano si va verso le aree interne”.
I dati riflettono una realtà che “riguarda non solo il livello di reddito ma anche l’accesso a servizi fondamentali come la sanità, i trasporti, l’istruzione”, spiega il direttore scientifico dell’Iref, Gianfranco Zucca.
“Le spese sanitarie dei lavoratori più ricchi del nostro campione sono quasi il doppio rispetto a quelli che si avvicinano alla soglia di povertà relativa. Questo significa che la sanità è universale solo per una fetta della popolazione”.
La ricerca ha messo in luce un nesso tra residenza regionale, basso reddito da lavoro e accesso al sistema sanitario: gli occupati lombardi spendono in sanità il 28% in più rispetto agli occupati lucani.
L’analisi si basa su 785.466 contribuenti che si sono rivolti al Caf Acli per la compilazione del modello 730 del 2024: quasi il 90% ha avuto un lavoro continuativo, cioè per almeno 9 mesi nel corso dell’anno dichiarato.
“Il Primo Maggio che ci apprestiamo a celebrare deve ricordarci che ogni giorno dobbiamo combattere per un lavoro buono e giusto”, dichiara la vicepresidente nazionale delle Acli, Raffaella Dispenza.
“Ci dispiace che in questi anni non si sia affrontato il problema con misure adeguate, rimettendo al centro dell’agenda politica interventi strutturali e non misure spot come i bonus. Bisogna ritornare a discutere di salario minimo, che, insieme alla contrattazione collettiva, può davvero rappresentare un primo intervento a sostegno dei redditi più bassi”.
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