Il partito degli italiani al Conclave Rischio fronda e rebus Terzo mondo

Parolin e Zuppi restano i nomi più in vista. Ma pesano le storiche divisioni interne fra i nostri porporati. I presuli dei Paesi in crescita sono troppo frammentati. Difficile che convergano su un singolo candidato

Apr 24, 2025 - 04:34
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Il partito degli italiani al Conclave Rischio fronda e rebus Terzo mondo

Città del Vaticano, 24 aprile 2025 – Il ritorno al Papa italiano è più una suggestione che una possibilità concreta. L’internazionalizzazione della Chiesa, impressa da Francesco, l’ascesa del Terzo mondo in Conclave (dal 36,5% degli elettori del 2013 al 50% attuale) e l’atavica frammentazione dei porporati nostrani giocano contro le facili speranze. Almeno alla vigilia, poi lo Spirito Santo, si sa, soffia come, quando e dove vuole. Di certo è dal 1978, l’anno dei tre Papi, che, se non è distratto, lo sguardo lo volge altrove.

L’episcopato italiano sarà rappresentato nel prossimo conclave da 19 porporati. Negli ultimi conclavi hanno pesato le divisioni interne ai nostri connazionali che hanno finito per favorire cardinali stranieri

Allora, morto Giovanni Paolo I, gli italiani in Cappella Sistina dispersero i loro voti fra i sostenitori dell’ultraconservatore, Giuseppe Siri, e i moderati alla Giovanni Benelli. Tra i due litiganti la spuntò Giovanni Paolo II e la Chiesa finì per la prima volta in mano straniera dai tempi dell’olandese Adriano VI (1522-1523). Nel 2005 un candidato forte l’Italia ce l’aveva. Ma il gesuita Carlo Maria Martini, per il presidente della Conferenza episcopale italiana, Camillo Ruini, peccava di troppo amore per il Concilio Vaticano II. Un altro arcivescovo di Milano, Angelo Scola, all’ultimo conclave del 2013 entrò da Papa per uscirne cardinale. Anche per via del fuoco amico.

Questa volta il gruppo degli italiani (19) si presenta più compatto del solito, quantomeno prima del fatidico extra omnes. I nomi più in vista sono quelli del segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, 70 anni, figura ideale per una continuità senza fughe in avanti, e del 69enne Matteo Maria Zuppi, moderato progressista dal volto sociale, presidente della Cei. I due sono tutt’altro che inclini al duello, anche se la missione ucraina affidata da Bergoglio all’arcivescovo di Bologna ha ingenerato fibrillazioni in Segreteria di Stato. Il terzo profilo è quello del patriarca di Gerusalemme, Pier Battista Pizzaballa, 60 anni. Troppo pochi, per taluni, troppo anti-israeliano lo stesso frate minore, per altri.

Zuppi, e in parte Parolin, potrebbero incassare i voti sicuri in conclave degli italiani Roberto Repole, Domenico Battaglia, Augusto Lojudice, Franco Montenegro, Mauro Gambetti e Fabio Baggio. Ma, se, da un lato, il segretario di Stato vaticano rischia di essere penalizzato dal processo ad Angelo Becciu, a lungo numero due della Segreteria di Stato, dall’altro, il capo della Cei è troppo a sinistra per i potenti connazionali Giuseppe Betori e Fernando Filoni, destinati a far squadra con i conservatori nel computo dei 134 elettori totali. Destra ecclesiale che, dopo la defezione per motivi di salute dello spagnolo Antonio Canizares, rischia fortemente di perdere un altro kingmaker, il bosniaco, Vinko Puljić, anche lui malato.

La caricatura di un clero italiano garibaldino nella gestione delle finanze è un tallone d’Achille per ogni papabile nostrano, in particolare agli occhi della Chiesa statunitense e di quella tedesca, le due principali finanziatrici interne delle casse vaticane. A ciò si aggiunge il fatto che il global south è troppo frammentato per garantire un pacchetto di voti granitico su un singolo candidato, almeno nei primi scrutini e in particolare per il bergogliano doc Zuppi, nel 1992 peacemaker del conflitto in Mozambico. C’è chi, per esempio, pur avendo sostenuto l’anticapitalismo e la svolta green di Francesco, è critico rispetto alle sue posizioni su divorziati risposati e gay. Un nome fra tutti Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo di Kinshasa che piace ai conservatori i quali, in un Conclave comunque in salita, si affiderebbero anche a un profilo meno caratterizzato come quello del vescovo di Stoccolma, Anders Arborelius.

Qualora non riescano a candidare in maniera compatta un loro porporato, gli italiani potrebbero tirare la volata in Cappella Sistina ad altri presuli di spicco. Jean Marc Aveline, arcivescovo di Marsiglia, ha buoni rapporti con Zuppi. Quest’ultimo è in sintonia con il filippino Luis Tagle, che paga dazio all’essere già stato fra i papabili nel 2013 e alla tentazione diffusa di un ritorno al Pontefice europeo. A questo punto il maltese Mario Grech, curiale al timone del Sinodo dei vescovi, può essere la scelta giusta sia per Parolin, sia per l’arcivescovo di Bologna. E per chi avrà voglia di seguirli.