Il Papa chiama alla resistenza anti-Trump i vescovi Usa. “Deportare i migranti lede la dignità”
Lettera inusuale di Bergoglio all’episcopato americano sullo sfondo del pugno di ferro del tycoon sugli irregolari. Finora solo pochi prelati hanno criticato le misure decise dalla Casa Bianca

Troppo poche e scomposte le critiche dei vescovi americani alla politica di repulisti degli immigrati irregolari intrapresa dal presidente Usa, Donald Trump, per permettere al Papa di starsene tranquillo e soddisfatto. Anche e soprattutto in questo scenario va letta l’irrituale lettera di Bergoglio indirizzata proprio all’episcopato a stelle e strisce sulla situazione degli Stati Uniti precipitati in “una grande crisi con l’avvio di un programma di deportazioni di massa“. Se è vero che “bisogna riconoscere il diritto di una nazione a difendersi e a proteggere le comunità da coloro che hanno commesso crimini violenti o gravi mentre si trovavano nel Paese o prima dell’arrivo – si legge nella missiva –“, per il Papa “un autentico Stato di diritto si verifica proprio nel trattamento dignitoso che tutti gli uomini meritano, specialmente i più poveri ed emarginati“.
Ne consegue pertanto che “l’atto di deportare persone, le quali in molti casi hanno lasciato la propria terra per motivi di estrema povertà, insicurezza, sfruttamento, persecuzione o grave degrado dell’ambiente, lede la dignità di molti uomini e donne e di intere famiglie“, ponendoli “in uno stato di particolare vulnerabilità e indifesa“. Nel documento il Pontefice evita di fare i nomi di Trump e Vance. Ma proprio, replicando implicitamente al vice presidente Usa che, per giustificare il pugno di ferro sugli irregolari, aveva rispolverato il principio agostiniano dell’ordo amoris – la necessità di amare ciascuno nel modo adeguato –, Francesco ha chiarito che questo coincide con il modello dell’amore universale e senza confini del buon Samaritano. E non con altro. Infine dal Papa l’appello ai cattolici Usa e agli uomini e alle donne di buona volontà: “Non cedete a narrazioni che discriminano e causano sofferenze inutili ai nostri fratelli e sorelle migranti e rifugiati“.
Nei giorni scorsi, mentre sulle tv di tutto il mondo scorrevano le immagini d’immigrati irregolari in fila, in catene costretti a salire su un aereo militare per essere deportati fuori dai confini americani, solo pochi vescovi Usa hanno fatto sentire la propria indignazione. Tra questi il cardinale Blase Cupich, esponente della minoranza liberal e bergogliana in seno all’episcopato statunitense, e il vescovo di El Paso, Mark Joseph Seitz. Dal vertice della Conferenza episcopale, invece, accanto a un sostanziale e convinto apprezzamento della politica di Trump su aborto, gender e trans, nulla di più che un generico e sintetico: “Sono scelte profondamente preoccupanti che avranno conseguenze negative, molte delle quali danneggeranno i più vulnerabili fra noi“.
Anche il cardinale Robert McElroy, inviato dal Papa a Washington come arcivescovo proprio per la sua sensibilità sul fronte migranti, è rimasto (almeno per ora) sorprendentemente in silenzio di fronte al giro di vite. Adesso il Papa, scrivendo ai vescovi americani – è una lettera inusuale in quanto affronta direttamente un singolo problema politico di un Paese terzo, – reclama dal riottoso e conservatore episcopato d’Oltreoceano un’azione di resistenza contro le politiche discriminatorie di Trump. E, per togliere ogni dubbio sulle sue finalità, nelle stesse ore in cui è stata pubblicata la missiva, Bergoglio ha anche nominato arcivescovo di Detroit Edward Joseph Weisenburger, finora vescovo di Tucson. Uno di quelli che ha criticato le deportazioni, uno dei firmatari di un appello nel quale, a fine 2024, nel quale si stigmatizzavano “i metodi di detenzione e deportazione” allora prospettati dal tycoon. E adesso divenuti una dura realtà.