Il grande occhio di Vec Samoano: il fotografo spoglia le donne per arrivare all’anima della carne
Quando girai nel 2004 insieme al mio amico Valentino Murgese il cortometraggio Il palombaro (menzione speciale a Bellaria), scrissi una scena in cui Klaider, il protagonista del mio film, illuminava con una torcia nella più totale oscurità le gambe di una donna nuda che poi si spalancavano mostrando “l’origine del mondo”. Incontrai un’attrice in un […] L'articolo Il grande occhio di Vec Samoano: il fotografo spoglia le donne per arrivare all’anima della carne proviene da Il Fatto Quotidiano.

Quando girai nel 2004 insieme al mio amico Valentino Murgese il cortometraggio Il palombaro (menzione speciale a Bellaria), scrissi una scena in cui Klaider, il protagonista del mio film, illuminava con una torcia nella più totale oscurità le gambe di una donna nuda che poi si spalancavano mostrando “l’origine del mondo”. Incontrai un’attrice in un bar per la parte, le descrissi la scena, lei sorrise e mi rispose: “Io mi spoglio solo per registi importanti, non posso bruciarmi la carriera per uno qualunque”.
Non ci rimasi male: l’attrice aveva ragione. Perché avevo scritto quella scena? Era così importante per il film? Volete sapere la verità? Scrissi quella scena perché volevo una scusa per avere una donna nuda sul set! Stiamo parlando del 2004 e non sono ancora diventato famoso o importante, quindi devo dimenticarmi le donne nude, almeno sul set di un mio film. Maledizione!
Parliamo adesso di artisti seri, parliamo di un fotografo pugliese che si chiama Vec Samoano, lui spoglia le donne per arrivare all’anima della carne, spoglia le donne in modo filosofico, le spoglia anche per spogliare il nostro sguardo, così se andate alla sua mostra che si chiama appunto Anima, si crea questa strana sensazione di un incontro tra due nudità: la nudità dei corpi e la nudità del nostro sguardo.
L’arte di Vec è proprio questa, ci libera dai pregiudizi, dal rifiuto del dolore e della sofferenza, ci libera dagli stereotipi, dai canoni estetici imposti da una società che vuole solo forme perfette, patinate, levigate, superficiali, smaglianti, ci libera da quello spettacolo finto di corpi senza il bagliore dell’anima, senza ombre, senza profondità, senza verità. Nelle fotografie di Vec accade questo miracolo: non siamo noi a guardare le fotografie, sono le sue fotografie che ci guardano e ci interrogano, ci spingono ad andare oltre le apparenze e i luoghi comuni, per scendere negli abissi della carne, alla ricerca dell’anima.
Questo è molto evidente in quella fotografia che io considero il
suo capolavoro: Il grande occhio. Una donna nuda in una vasca, una donna con un corpo segnato dal dolore, dalla privazione di un seno, ci fissa con un grande occhio ingigantito da una lente di ingrandimento. Il grande occhio ci investe, ci fissa, ci dice: “Guardami, guarda quanto bellezza c’è in me, quanto coraggio, quanta forza”.
La carne è fatta di cicatrici e ricordi, di segni, i segni del tempo ma anche i segni di un bisturi, e l’arte non può chiudere gli occhi davanti alla verità della vita, l’arte accoglie le imperfezioni, esalta i difetti, l’arte non è moda ma è un modo di farci “ascoltare con gli occhi” le infinite sfumature del dolore che questi corpi si portano addosso con dignità e grazia sublime. Il dolore non è qualcosa da nascondere dietro finti sorrisi, finte perfezioni. Il dolore ci guarda, senza pietismi, non vuole commuoverci o strapparci una lacrimuccia, non è questo l’intento dell’arte di Vec Samoano perché Vec non è un artista furbo ma è un artista vero. E senza verità non c’è arte, ma solo fughe nell’effimero.
Le donne sono le grandi protagoniste delle sue fotografie, donne meravigliosamente imperfette, donne vere, e frequentando lo sguardo denudante di Vec ci purifichiamo da tutte quelle immagini che invadono le nostre città, da tutte quelle immagini che ci ingannano, nascondendoci i segni, le rughe, la cellulite, le bucce d’arancia, le irregolarità, in definitiva da quelle immagini che ci nascondono la vita e la verità in cammino.
Questa è la moda e il modo di Vec. Riesce a fare immagini di fashion, ma è non c’è sofisticazione, manipolazione, contraffazione, travestimento. Il risultato è la perfetta fusione di moda e arte, per questo le sue fotografie non passeranno mai di moda, perché sono sorrette dall’arte che è eterna e sconfina nell’assoluto.
Vi lascio con un piccolo film che ho dedicato a una sua recente mostra, la cornice è quella delle cantine Majiolini Franciacorta, la famiglia Majolini è da sempre sensibile alla bellezza, la bellezza che non mente, che non ci racconta frottole, del resto c’è un proverbio che recita in vino veritas; chi ama il vino ama anche la verità, le due cose sono inseparabili, e solo così si può arrivare alle stelle: sic itur ad astra. Solo le stelle possono raccontarci bugie, la loro luce attraversa distanze infinite, arriva a noi quasi come un’agonia cosmica, un rantolo, un ultimo sussulto fotonico, molte sono già morte e l’universo stellato è un cimitero, ma un cimitero vivente, che non si arrende alle tenebre, che ci dona la sua ultima bugia: la vita. Solo le stelle possono ingannarci, gli uomini no e gli artisti mai.
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