I primi cento giorni del Trump II: ci si chiede se le cose per lui ‘non stiano andando in pezzi’

Lui canta l’elogio di se stesso; e, non soddisfatto di come i media ‘mainstream’ raccontano i primi cento giorni del suo secondo mandato alla Casa Bianca, convoca un briefing per soli new media e influencer amici. A rovinargli del tutto la festa ci hanno però pensato gli elettori canadesi: stanchi di sentirsi dileggiati e di […] L'articolo I primi cento giorni del Trump II: ci si chiede se le cose per lui ‘non stiano andando in pezzi’ proviene da Il Fatto Quotidiano.

Mag 1, 2025 - 15:21
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I primi cento giorni del Trump II: ci si chiede se le cose per lui ‘non stiano andando in pezzi’

Lui canta l’elogio di se stesso; e, non soddisfatto di come i media ‘mainstream’ raccontano i primi cento giorni del suo secondo mandato alla Casa Bianca, convoca un briefing per soli new media e influencer amici. A rovinargli del tutto la festa ci hanno però pensato gli elettori canadesi: stanchi di sentirsi dileggiati e di essere danneggiati, hanno detto, con il loro voto, un secco ‘no’ all’ipotesi di diventare il 51esimo Stato dell’Unione e hanno affidato al partito liberale e al suo leader Mark Carney il mandato di difendere la loro indipendenza e i loro interessi dal magnate predatore. Carney, un ex governatore della Banca centrale canadese, promette di rispondere colpo su colpo.

A sentire il magnate presidente Donald Trump, che si paragona a Franklin Delano Roosevelt, il suo è fin qui stato “un percorso trionfale”. Ma, gli ricorda il Washington Post, che non gliene passa una, le differenze sono “crude”: Roosevelt procedeva con nuove leggi, Trump va avanti a colpi di penna di decreti presidenziali, che un tratto di penna di un prossimo presidente potrà revocare. Accadde nel 2021: Joe Biden si insediò e cancellò in pochi giorni buona parte dei quattro anni di Trump.

I dati sono impressionanti: 140 ordini esecutivi firmati in 100 giorni, contro i 24 del 2017, all’inizio del suo primo mandato. Gli elettori non reagiscono bene, confusi da tanti attivismo: ‘stop and go’ sulle deportazioni, sui licenziamenti, sulle chiusure. E le guerre? Dovevano finire il giorno dopo il suo insediamento (promesse da campagna elettorale). E, invece, ci incombono ancora addosso. Il conflitto in Medio Oriente, che era entrato in pausa proprio il giorno del suo ritorno alla Casa Bianca, è riesploso per decisione del premier israeliano Benjamin Netanyahu da lui avallata; quello in Ucraina non s’è fermato un solo istante, nonostante ripetute vantate tregue parziali mai attuate.

L’Associated press, che ha nel dna l’oggettività delle agenzie di stampa, sintetizza in tal modo i primi cento giorni del Trump 2: “Il presidente ha cercato d’estendere i suoi poteri in misura senza precedenti: ha fatto dichiarazioni d’emergenza per riscrivere le regole del commercio internazionale e ha deportato migranti senza supervisione giudiziaria. Ha preso di petto la legge, i media, la salute pubblica e la cultura, cercando di mandare tutto al diavolo e in qualche caso riuscendoci in moro sorprendente”.

I sondaggi, numerosi sui media Usa, in coincidenza con la scadenza dei cento giorni, mercoledì 30 aprile, sono concordi: il tasso di approvazione di Trump è in forte calo. I rilevamenti per conto di New York Times, Washington Post, Fox News, etc. danno risultati fra di loro confrontabili: il tasso d’approvazione è il più basso mai registrato da un presidente dopo cento giorni – Trump fa peggio di Biden, da lui ripetutamente (e ingiustamente) definito “il peggior presidente nella storia Usa”. Sono in particolare criticate le scelte su dazi ed economia e sull’immigrazione e le guerre ai giudici e alle Università. Non piace il fatto che l’Amministrazione Trump 2 non rispetti le sentenze e punti ad ampliare i poteri dell’esecutivo.

Il sondaggio del NYT indica che, secondo gli elettori, Trump manipola troppo i suoi poteri. Le critiche, inoltre, riguardano la gestione di quelli che erano punti forti della sua agenda, l’economia e l’immigrazione. Alla richiesta di definire con un aggettivo la presidenza Trump, il 66% degli intervistati sceglie ‘caotica’, il 59% ‘spaventevole’ e solo il 42% ‘eccitante’.

Per Washington Post/Abc, il 53% degli americani sono critici sulle deportazioni di migranti senza possibilità di ricorso in giustizia (a febbraio, erano il 48%) e quasi i due terzi disapprovano le scelte economico-commerciali, mentre i negoziati Usa-Cina non danno risultati.
Una delle firme di punta del Washington Post, Aaron Blake, si chiede se le cose, per il magante presidente, “non stiano andando in pezzi”, a partire dalla trama dei conflitti con i tribunali sulle deportazioni dei migranti che “s’infittisce” e che non riguarda, aggiunge il New York Times, solo giudici liberal, ma anche giudici conservatori. E la Cnn percepisce “un linguaggio zoppicante” (e altalenante) del presidente Usa coi presidenti russo Vladimir Putin e ucraino Volodymyr Zelensky, dalla piazzata il 28 febbraio nello Studio Ovale al confessionale in San Pietro sabato 26 aprile.

Il Wall Street Journal sostiene che la vera controparte di Trump sui dazi non è la Cina, ma sono piuttosto i mercati: le decisioni del presidente sui dazi hanno suscitato opposizioni nei tribunali, cadute nei sondaggi e resistenze politiche; ma chi lo ha davvero convinto a fare passi indietro sono stati i mercati. Che hanno pure risentito dell’altalena di dichiarazioni sul presidente della Fed Jerome Powell: prima, i propositi di licenziamento; poi, una repentina retromarcia.

Il WSJ la spiega così: collaboratori del presidente lo avrebbero convinto ad abbassare i toni, perché le sue dichiarazioni stavano danneggiando i mercati e l’economia. Anche se lui, sul suo social Truth, scrive “I prezzi della benzina e dei prodotti alimentari sono molto scesi, proprio come io avevo detto che sarebbe successo” – peccato che non sia vero.

Poi, c’è lo stillicidio dei casi giudiziari: ogni media può puntare l’attenzione su filoni diversi, tanti ve ne sono: le deportazioni dei migranti, i licenziamenti collettivi o punitivi, i ridimensionamenti o la cancellazione di interi Dipartimenti o Agenzie, i tagli ai programmi per la diversità, l’equità e l’inclusione, etc. Molti procedimenti sono in una fase preliminare. L’Amministrazione punta ad arrivare alla Corte Suprema, la cui composizione le è tendenzialmente favorevole, ma che, almeno tre volte in questi primi cento giorni, le ha già dato torto.

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