I premi, il femminismo e l’omologazione dello spettacolo. Margherita Vicario: «Quella volta che mi chiesero di non dire parolacce» – L’intervista

L'attrice, regista e cantautrice, ospite di Internazionale Kids a Reggio Emilia, commenta con Open il trionfo ai David di Donatello L'articolo I premi, il femminismo e l’omologazione dello spettacolo. Margherita Vicario: «Quella volta che mi chiesero di non dire parolacce» – L’intervista proviene da Open.

Mag 11, 2025 - 12:40
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I premi, il femminismo e l’omologazione dello spettacolo. Margherita Vicario: «Quella volta che mi chiesero di non dire parolacce» – L’intervista

«Sono ovviamente molto contenta. Tenevo moltissimo ai premi come miglior compositore e alla miglior canzone perché il film ruota tutto intorno alla musica, quindi è per me e per Dade, il co-compositore, è stato un riconoscimento unico. In più Gloria! è un film che parla di compositrici dimenticate e – nella storia dei David di Donatello – a vincere la categoria per la migliore compositrice era stata solo una volta una donna, Rita Marcotulli. Quindi grande gioia e grande incoraggiamento a continuare ad avere la musica come faro centrale del mio lavoro». A parlare, reduce dal trionfo ai David di Donatello, è Margherita Vicario, attrice, cantautrice e regista romana classe 1988. Uno dei migliori curriculum della scena artistica italiana, a tal punto da rendere difficile incasellarla. Cantautrice assai popolare, certamente una delle protagoniste della rivoluzione indie grazie al successo di brani come Orango Tango, Abauè (morte di un trap boy), Mandela e Giubbottino. Ma anche attrice di ottimi livelli: oltre l’esperienza con Woody Allen per To Rome with Love, anche ruoli importanti in Pazze di me di Fausto Brizzi e Perfetta illusione, regia di Pappi Corsicato. Senza contare naturalmente le numerose esperienze televisive in fiction di successo come I Cesaroni, Amore pensaci tu e Nero a metà. Da regista ha stupito pubblico e critica con il suo esordio Gloria!, presentato in concorso alla 74ª edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino, vincitore di due Nastri d’argento, nove nomination alla 70ª edizione dei David di Donatello e tre prestigiosi premi: quello per la migliore opera prima ed entrambi i premi dedicati alla musica (migliore canzone originale e migliore composizione). Oggi, domenica 11 maggio, Vicario sarà protagonista alle ore 16.30, al Teatro Cavallerizza di Reggio Emilia, del Festival Internazionale Kids. Open l’ha intervistata.

In che modo la musica può essere utile per raccontare il mondo ai bambini?

«La musica è sempre stata utilizzata per raccontare le storie ai bambini. In questo determinato momento storico poi accade qualcosa di nuovo, perché i bambini hanno un accesso totale e autonomo alla musica, una volta erano gli adulti che decidevano come usare la musica»

La tua di musica l’hai mai vista adatta per i più piccoli?

«Ho un sacco di fan bambini, anche se scrivo canzoni per adulti. Io non faccio grande distinzione tra musica per bambini e musica per adulti, ma so che i bambini capiscono tutto in maniera quasi più sana degli adulti»

Ricordi su di te, da piccola, in che modo ha inciso?

«Mia madre, che è una grande appassionata di teatro musicale, mi portava agli spettacoli e ricordo che l’indomani andavo a scuola e mi rendevo conto di avere la sensazione di aver vissuto qualcosa di speciale. Quella gioia, quella goduria, mi dava l’impressione di essere in qualche modo unica. Credo che l’arte aiuti tantissimo alla formazione di un’identità. Ero già consapevole da bambina che questa cosa che amavo, l’emozione che regala la musica, stava prendendo spazio dentro di me. Io la vivevo così»

In questo periodo si parla molto di educazione affettiva per i bambini nelle scuole, specie per provare a prevenire la violenza sulle donne. Sei d’accordo?

«Da un lato penso che esista una grandissima responsabilità familiare: la vera educazione affettiva passa prima di tutto dalle persone con cui i bambini hanno un rapporto quotidiano e vedono agire in casa. Poi è ovvio che la scuola deve assolutamente aiutare a orientare il comportamento, specie per quei bambini che in famiglia non hanno molta fortuna, quelli che magari vedono il padre fare violenza sulla madre. È vero che i piccoli hanno delle bussole istintive, ma se non c’è a casa una prassi quotidiana di educazione all’ascolto, alla tolleranza, alla gentilezza, è chiaro che l’intervento della scuola serve. Io di base ho paura che diventi una cosa precettistica, il concetto di manuale mi fa un po’ paura, ma sono consapevole del potere dell’attività educativa»

Ultimamente si è anche molto parlato della potenziale influenza negativa di messaggi contenuti nella musica trap…

«È una questione molto complessa, perché l’espressione artistica ha il dovere di raccontare anche le cose peggiori, nel senso più shakespeariano e brecthiano del termine, però è un concetto un po’ difficile da capire per un bambino, anche se, sempre per quella loro bussola, riescono a capire istintivamente quando una cosa è falsa, emulativa, e quando un racconto deve essere violento e tragico per un’esigenza espressiva. Io credo che la musica abbia un’influenza sulla realtà, ma la responsabilità dell’artista è un concetto molto più complesso»

Senti che la condizione della donna nella vita di tutti i giorni si riflette nel mondo della musica?

«Tutti i settori, in qualsiasi ambito lavorativo, risentono della percezione comune del ruolo della donna, e anche di quella dell’uomo, che pure cambia nel tempo ma non viene mai considerata. Uno tende a focalizzare l’attenzione sulla situazione delle donne, quando è totalmente complementare a quella degli uomini. Quindi si, credo che si rifletta»

A te è mai capitato di essere stata in qualche modo discriminata in quanto donna?

«Sinceramente, discriminazioni sento di non averne subite, ma il mio essere donna si ripercuote in tutte le sfere del mio lavoro. In questo momento più che altro, avendo la fortuna di vivere in una parte del mondo più privilegiata rispetto ad altre, in ambito artistico sento che la situazione più difficile la vivano gli emergenti, costretti ad emanciparsi dal turbocapitalismo applicato all’arte. Nella nostra realtà sono quasi più le pressioni ad omologarsi e se sei donna anche di più. Una volta ad una serata di beneficenza mi hanno chiesto di non cantare canzoni che contenessero parolacce, perché pensavano che su una ragazza carina non stessero bene, ma dopo di me c’era un famosissimo comico che diceva cose tremende, volgari e sessiste. E loro erano più preoccupati che io dicessi due parolacce nelle canzoni»

Situazione triste in effetti…

«Si, ma non è questa la più triste»

E qual è?

«Se io lavoro con un regista che poi a fine serata mi attacca al muro che vuole provare a baciarmi, ho la forza di dirgli “che cazzo vuoi?”. Ma la stessa cosa può capitare a una mia sorella, più giovane, meno solida…è quella la vera frustrazione, che le cose possono capitare alle altre donne»

Il tuo film Gloria! lancia un messaggio femminista molto chiaro, senti che è stato colto? Senti che il film in quel senso è stato efficace?

«L’idea iniziale era mettere un faro su un contesto storico artistico di cui pochi sapevano. Il fatto che tutto sia partito da un contesto storico, realmente accaduto, ha reso tutto più autentico. Quando ho fatto la presentazione a Milano c’ho tenuto tantissimo a invitare amici cantautori e soprattutto amiche cantautrici, perché sapevo che era una cosa che riguardava anche la loro storia, quindi si, credo sia stato efficace»

Cosa prevedi nel prossimo futuro? Cinema o musica?

«Sicuramente voglio scrivere un disco nuovo perché ho molta voglia di portarlo in giro: è proprio una mia esigenza. Dall’altro lato, questo primo esperimento cinematografico mi ha dato tanta gratificazione. Una cosa che ho capito è che nel cinema si può essere molto liberi ed esaustivi e non c’è di mezzo il mio volto e la mia voce»

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