I dazi di Trump, una scossa globale al settore energetico
I dazi imposti la settimana scorsa dal presidente Usa Donald Trump, fino al 54% su prodotti di Paesi chiave come la Cina e un minimo del 10% su tutte le importazioni americane, sono i più alti in oltre un secolo e stanno generando ripercussioni profonde anche sull’intero settore energetico mondiale. Se Trump ha esentato petrolio […] The post I dazi di Trump, una scossa globale al settore energetico first appeared on QualEnergia.it.

I dazi imposti la settimana scorsa dal presidente Usa Donald Trump, fino al 54% su prodotti di Paesi chiave come la Cina e un minimo del 10% su tutte le importazioni americane, sono i più alti in oltre un secolo e stanno generando ripercussioni profonde anche sull’intero settore energetico mondiale.
Se Trump ha esentato petrolio e gas dai dazi, al contrario fotovoltaico, eolico, batterie e componenti critici per la transizione energetica sono al centro di una tempesta commerciale che minaccia di rallentare investimenti, aumentare i costi e compromettere la sicurezza energetica.
Sebbene gli effetti di lungo termine dei dazi siano difficili da stimare, è certo che la loro portata, la reazione dei partner commerciali e il riassetto delle catene di fornitura stanno già riscrivendo gli equilibri globali (America first, economy last? Gli effetti globali dei super dazi di Trump).
Effetti immediati sul mercato energetico Usa
Le borse hanno reagito con forza. Aziende energetiche americane come Vistra, Constellation e GE Vernova hanno perso fino al 15% in una sola giornata.
Il calo non è legato all’aumento diretto dei costi per l’import di energia, visto che petrolio, gas e uranio sono in gran parte esentati, ma al timore che i dazi deprimano la crescita economica, riducendo la domanda di energia, e facciano aumentare i costi per costruire gli impianti.
Il Yale Budget Lab stima una perdita di 0,9 punti percentuali di crescita del Pil Usa solo nel 2025 a causa dei dazi, mentre Morgan Stanley segnala “rischi significativi” se i dazi restano in vigore. Questo scenario indebolisce l’ottimismo legato allo sviluppo dei centri dati per l’intelligenza artificiale, che fino a poco tempo fa aveva alimentato le previsioni di crescita dei consumi elettrici e sostenuto le valutazioni dei produttori energetici.
Nel corso di un webinar organizzato dal Financial Times, Geoffrey Pyatt, membro del Centro per l’Energia Globale del Consiglio Atlantico, ha definito il periodo attuale “estremamente rischioso” per il settore energetico, sottolineando che “il mercato americano è profondamente integrato con quello globale” e che l’unica strada possibile per ridurre la dipendenza dalla Cina è “lavorare con i partner internazionali, non contro di loro”.
La guerra commerciale colpisce il fotovoltaico
Il settore fotovoltaico sarà una delle vittime principali dei dazi. Sebbene gli Usa abbiano creato una capacità domestica di produzione di moduli FV di circa 50 GW, i componenti necessari per rifornire le fabbriche, dal polisilicio alle celle, vengono ancora importati per la maggior parte dal Sud-Est asiatico.
Nel 2024, circa l’80% delle importazioni provenivano da Vietnam, Thailandia, Cambogia e Malesia, secondo Reuters. Con i nuovi dazi, le celle da questi paesi subiranno rincari fino al 49%, incidendo direttamente sui costi delle installazioni.
“Le celle solari potrebbero ora diventare molto più costose”, secondo PV Tech, portando a un aumento dei prezzi fino a 0,15 $/W. In altre parole, un impianto da 10 kW, tipico per una casa americana, potrebbe costare 1.500 dollari in più solo per l’effetto dei dazi.
La possibile riduzione degli sbocchi commerciali per l’offerta di componenti fotovoltaici potrebbe inoltre esacerbare la sovraccapacità manifatturiera del settore. Questa ha già determinato negli ultimi anni il crollo dei prezzi dei moduli e degli utili dei produttori, mettendo a repentaglio la sostenibilità economica dell’intera manifattura FV.
Uno sviluppo del genere potrebbe frenare i difficili tentativi, soprattutto da parte della Cina, di riequilibrare domanda e offerta di fotovoltaico e di rendere il settore economicamente sostenibile nel lungo termine.
La guerra commerciale colpisce anche l’eolico
Sul comparto eolico, le analisi di Wood Mackenzie fatte a fine febbraio, prima dell’imposizione degli ultimi dazi, indicavano che le tariffe allora proposte dall’amministrazione Trump, pari al 25% sulle importazioni da Messico e Canada e ad un ulteriore 10% sulle importazioni cinesi in aggiunta alle tariffe del 20% già esistenti, avrebbero potuto aumentare i costi delle turbine eoliche onshore di circa il 7%.
Questo avrebbe portato a un aumento complessivo dei costi dei progetti eolici di circa il 5%, con una riduzione delle installazioni di nuova capacità eolica del 3-9% l’anno fino al 2028. Dopo il 2028, Wood Mackenzie prevedeva che la frenata dell’eolico avrebbe toccato il 20-30%.
Poiché i nuovi dazi decisi da Trump sulle importazioni dalla Cina sono del 34%, cioè oltre il triplo di quelli prefigurate solo cinque settimane fa, è ipotizzabile che anche le stime sui loro impatti negativi per l’eolico vadano aggiornate al rialzo, se non più che triplicate.
Tale previsto aumento dei costi è attribuibile in particolare ai dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio, che da soli rappresentano fino a circa l’85% del peso di una turbina eolica. Sebbene il comparto eolico onshore abbia una certa capacità di adattamento grazie a una catena di approvvigionamento americana relativamente solida, le incertezze economiche e politiche potrebbero scoraggiare gli investimenti nella produzione nazionale, aggravando le sfide poste dai dazi, faceva notare Wood Mackenzie.
Senza dimenticare che, oltre ai dazi, l’amministrazione Trump ha sospeso i nuovi contratti di locazione per l’eolico offshore, ostacolandone ulteriormente lo sviluppo e portando a significativi ritardi e incertezze per i progetti eolici Usa in varie fasi di pianificazione ed esecuzione.
Le tariffe doganali “accelereranno la recente tendenza della Cina a esportare di più verso i Paesi a medio e basso reddito”, ha detto Antoine Vagneur-Jones, responsabile per il commercio e le catene di approvvigionamento di BloombergNEF (BNEF).
Per dare un’idea, nel 2022 la Cina inviava circa il 65% delle sue esportazioni di turbine eoliche a Paesi ad alto reddito. Nel 2024, invece, oltre il 60% delle esportazioni era destinato ai Paesi a basso e medio reddito, con Pechino che sta puntando a costruire fabbriche per l’assemblaggio di moduli FV in Nigeria e di veicoli elettrici in Indonesia.
Il caso delle batterie e la stabilità della rete
Le batterie al litio per accumulo energetico rappresentano un altro punto critico. Nel 2024, il 69% delle batterie installate negli Stati Uniti proveniva dalla Cina, secondo BNEF. I nuovi dazi porteranno il carico fiscale complessivo sulle batterie di rete importate all’82% entro il 2026.
“Questo soffocherà l’espansione dell’accumulo energetico. È negativo per il business e per l’affidabilità della rete”, ha avvertito Jason Burwen di GridStor, vicepresidente per le strategie presso lo sviluppatore di batterie GridStor, in un post sui social media.
Gracelin Baskaran del Center for Strategic and International Studies ha avvertito durante il webinar del Financial Times che “stiamo distruggendo il segnale di domanda di lungo periodo di cui abbiamo bisogno per sviluppare la filiera dei minerali critici, soprattutto quelli destinati alle batterie e ai veicoli elettrici”.
Senza un mercato chiaro, “nessuna azienda investirà su lungo termine per garantire la sicurezza energetica o economica”, ha aggiunto.
Gli Stati Uniti prevedevano 18,2 GW di nuove installazioni di sistemi di accumulo a batteria quest’anno, pari alla potenza di 18 centrali nucleari. Le batterie, cruciali per compensare l’intermittenza di sole e vento, diventeranno però ora meno competitive rispetto al gas, in una fase in cui la produzione delle turbine a gas ha rallentato molto a livello globale. Questa situazione rischia di creare un nodo di difficile risoluzione per la stabilità della rete.
Se per dispiegare un sistema a batteria di scala utility bastavano finora dai 18 ai 36 mesi, esiste invece un lungo arretrato a livello mondiale per le nuove turbine a gas. Un’azienda che cercasse di realizzare una nuova centrale a gas da zero oggi potrebbe dover aspettare fino al 2030 o oltre, ha detto Vagneur-Jones.
Reazioni globali e nuovi equilibri
La risposta della Cina è stata immediata: dazi del 34% su tutti i prodotti statunitensi e inserimento di 27 aziende americane in liste nere.
L’Unione Europea, il Giappone e l’India stanno valutando contromisure. Dopo aver ridotto la propria dipendenza energetica dalla Russia, potrebbero orientarsi ora a ridurre gradualmente anche la dipendenza dagli Usa.
L’India, colpita da dazi relativamente più bassi (26%), potrebbe approfittarne. Ha triplicato la capacità produttiva di celle fotovoltaiche in un anno e aumentato le esportazioni verso gli Usa fino a 9,4 GW nel biennio 2023-2024.
Durante il webinar del Financial Times, Victor Laurent di Parameta Solutions ha messo in guardia sui rischi sistemici della strategia di Trump: “Se i dazi bloccano il commercio globale, i prezzi della CO2 e le filiere internazionali potrebbero ridursi prima ancora di essersi consolidati”, con conseguenze negative per la transizione energetica.
Le tariffe si sommano a un clima di incertezza normativa. Molte aziende hanno sospeso o annullato progetti legati alla decarbonizzazione. Secondo l’Atlas Public Policy, nel primo trimestre 2025 sono stati cancellati più progetti legati a veicoli elettrici e batterie che nei due anni precedenti messi assieme.
Bob Keefe, direttore dell’associazione E2, è lapidario: “Nulla è più importante della chiarezza del mercato. Oggi è tutto confuso come una bufera di neve a mezzanotte”.
“Quando le regole cambiano ogni stagione, è impossibile ottimizzare gli investimenti. Le imprese hanno bisogno di stabilità, non di slogan”, ha commentato Trabue Bland di Intercontinental Exchange.
Le esenzioni delle fonti fossili e la geopolitica
I dazi imposti da Trump rischiano dunque di minare le basi su cui si stava costruendo la transizione energetica statunitense e internazionale. Colpiscono in modo sproporzionato i settori emergenti e strategici come batterie, fotovoltaico ed eolico, penalizzando le tecnologie su cui si fondano decarbonizzazione e resilienza energetica.
I costi più alti, la perdita di competitività, il blocco degli investimenti e la crescente incertezza rendono il nuovo protezionismo americano una minaccia non solo commerciale, ma anche climatica.
È interessante notare che petrolio, gas e prodotti raffinati sono stati esentati dai dazi per evitare un impatto diretto sui prezzi interni dell’energia, soprattutto quelli della benzina alla pompa negli Usa.
Il greggio WTI è però crollato del 6,64% dopo l’annuncio dei dazi, anche a causa della decisione OPEC+ di aumentare la produzione. Secondo la società di consulenza KPMG, l’aumento dell’offerta e i timori suscitati dalla possibile frenata della crescita economica mettono pressione al ribasso sui prezzi.
Una delle carte migliori da giocare da parte degli altri Paesi per divincolarsi dalle tariffe Usa e gratificare Trump è acquistare più energia dagli Stati Uniti, nota Clyde Russell, un editorialista di Reuters.
Gli Usa sono già il primo esportatore al mondo di gas naturale liquefatto (Gnl) e di prodotti petroliferi raffinati, e sono al quarto posto per le spedizioni di greggio e carbone. Alcuni Paesi hanno cercato di evitare le tariffe impegnandosi ad acquistare più energia dagli Stati Uniti.
È ormai lecito dubitare che tali sforzi abbiano funzionato, viste le tariffe generalizzate del 10% imposte da Trump e quelle più alte del 20% per l’Ue, del 34% per la Cina (da sommare a quella del 20% preesistente), del 24% per il Giappone e del 26% per l’India.
Questi Paesi sono tutti attualmente grandi acquirenti di energia Usa, o lo sono stati, o hanno il potenziale per aumentare le importazioni. Metteranno sul tavolo ulteriori importazioni di energia dagli Usa in risposta ai dazi di Trump?
Usa partner di ultima istanza?
La Cina ha reagito bloccando le importazioni di greggio, Gnl e carbone statunitensi, anche se ciò ha avuto un effetto limitato sui prezzi globali a causa della sua quota ridotta di importazioni dagli Usa e del facile accesso alle alternative, soprattutto per quanto riguarda greggio e carbone.
L’Europa, invece, dipende molto di più della Cina dal Gnl e dal petrolio raffinato Usa e faticherebbe a trovare dei sostituti senza perturbare i mercati globali, come per altro si è già visto quando ha dovuto sostituire il gas russo col Gnl norvegese, americano o nord-africano.
Il Giappone e l’India potrebbero cercare di far leva sulle importazioni di energia dagli Stati Uniti per negoziare esenzioni tariffarie, ma i risultati restano incerti.
Nel complesso, i dazi di Trump stanno spingendo i Paesi a ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti, che rischiano sempre di più di diventare un partner di ultima istanza nel commercio energetico globale, da cui cioè comprare se proprio non se ne può fare a meno, ma da evitare il più possibile in tutti gli altri casi.
“Le esenzioni energetiche sono anche uno strumento geopolitico”, nota Russell di Reuters. Ma se uno degli obiettivi dei dazi Usa è quello di riequilibrare la bilancia commerciale, riducendo il debito pubblico Usa e mantenendo contemporaneamente intatta la propria capacità di influenza internazionale, geopoliticamente le tariffe potrebbero rivelarsi uno strumento spuntato, o addirittura controproducente.
I dazi stanno infatti incentivando gli altri Paesi ad allontanarsi dagli Usa, diversificando il più possibile i flussi commerciali, diminuendo l’influenza americana e il ruolo centrale del dollaro come valuta di scambio e di riserva.
Quest’ultima possibile tendenza sul lato economico, finanziario e monetario è un tipo di effetto già ricercato un po’ in sordina da anni ad opera di Paesi come Russia e Cina.
I dazi Usa, di proposito o per sbaglio, potrebbero accelerare questa tendenza rimasta finora sotto traccia, portando più allo scoperto le istanze di ristrutturazione dell’architettura finanziaria mondiale, quella uscita dagli accordi di Breton Woods post Seconda Guerra Mondiale, di cui i petrodollari sono stati uno degli architrave e gli Usa il principale architetto.The post I dazi di Trump, una scossa globale al settore energetico first appeared on QualEnergia.it.