Giustificato motivo oggettivo e Jobs Act: sì alla reintegra
Con l’ordinanza in commento la Suprema Corte affronta un caso interessante in materia di licenziamento, fornendo importanti chiarimenti sui confini tra licenziamento per giustificato motivo oggettivo illegittimo e licenziamento ritorsivo, anche alla luce della nota pronuncia della Corte Costituzionale sul c.d. Jobs Act. Nel dettaglio, una lavoratrice, responsabile delle prenotazioni alberghiere, viene licenziata insieme a […] L'articolo Giustificato motivo oggettivo e Jobs Act: sì alla reintegra proviene da Iusletter.


Con l’ordinanza in commento la Suprema Corte affronta un caso interessante in materia di licenziamento, fornendo importanti chiarimenti sui confini tra licenziamento per giustificato motivo oggettivo illegittimo e licenziamento ritorsivo, anche alla luce della nota pronuncia della Corte Costituzionale sul c.d. Jobs Act.
Nel dettaglio, una lavoratrice, responsabile delle prenotazioni alberghiere, viene licenziata insieme a tutto lo staff di una struttura per “riorganizzazione aziendale finalizzata ad ottenere una maggiore efficienza ed economicità di gestione”.
La Corte d’Appello di Roma aveva dichiarato illegittimo il licenziamento per mancanza di prova del giustificato motivo oggettivo, applicando la tutela indennitaria prevista dall’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 23/2015. La lavoratrice ricorre in Cassazione sostenendo la natura ritorsiva del licenziamento.
La Suprema Corte, con ordinanza del 9 marzo 2025 n. 6221, ha ribadito che, per qualificare un licenziamento come ritorsivo, è necessario che l’intento ritorsivo abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di recedere dal rapporto di lavoro. Come evidenziato dalla recente Cassazione n. 26238/2024, il licenziamento ritorsivo presuppone “il rilievo della sola intenzione vendicativa del datore” e deve essere l’unico motivo determinante del recesso.
L’onere della prova della natura ritorsiva grava sul lavoratore, che può assolverlo anche mediante presunzioni.
Il giudice può valorizzare tutti gli elementi acquisiti al giudizio, compresi quelli già considerati per escludere il giustificato motivo oggettivo, purché nella loro valutazione unitaria e globale consentano di ritenere raggiunta la prova del carattere ritorsivo.
Un punto cruciale affrontato dalla sentenza riguarda il rapporto tra l’accertata insussistenza del giustificato motivo oggettivo e la natura ritorsiva del licenziamento. La Corte chiarisce che l’accertata ingiustificatezza del recesso non consente, da sola, di presumere il motivo illecito se non ricorrono ulteriori fatti, anche indizianti, che provino la ritorsione del datore di lavoro rispetto all’esercizio di un diritto del dipendente.
A supporto di tale principio, la Corte, richiamando un proprio precedente, ha ritenuto sussistente la natura ritorsiva non semplicemente per l’accertata insussistenza del giustificato motivo oggettivo, ma in quanto ulteriori elementi presuntivi dimostravano che il datore aveva reagito al legittimo rifiuto del lavoratore di trasformare il rapporto da full time in part time.
Un aspetto particolarmente rilevante della decisione riguarda il regime sanzionatorio applicabile. La Corte, accogliendo il terzo motivo di ricorso, ha evidenziato come la sentenza della Corte Costituzionale n. 128/2024 abbia dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 3 del d.lgs. n. 23/2015 nella parte in cui non prevede la tutela reintegratoria ove il fatto che giustifica il licenziamento per giustificato motivo oggettivo risulti insussistente.
La sentenza fornisce importanti coordinate interpretative su due aspetti cruciali.
In primo luogo, la mera insussistenza del giustificato motivo oggettivo non determina automaticamente la natura ritorsiva del licenziamento, essendo necessari ulteriori elementi che dimostrino l’intento vendicativo come motivo unico e determinante.
In secondo luogo, in caso di accertata insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 128/2024, si applica necessariamente la tutela reintegratoria.
La pronuncia si inserisce nel solco di un orientamento consolidato che, pur ammettendo la prova per presunzioni della natura ritorsiva, richiede elementi ulteriori rispetto alla mera illegittimità del recesso, confermando la distinzione tra licenziamento semplicemente ingiustificato e licenziamento ritorsivo.
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