Gas, perché Trump borbotta contro la Germania
E' anche il dossier gas che contrappone gli Stati Uniti alla Germania. Ecco perché. L'analisi di Liturri

E’ anche il dossier gas che contrappone gli Stati Uniti alla Germania. Ecco perché. L’analisi di Liturri
Nel complesso intreccio di trattative che l’amministrazione di Trump intende condurre con tutte le altre più grandi economie del mondo, c’è un prodotto che recita una parte da protagonista: il gas.
Non a caso, nel pomeriggio di giovedì 17, nello studio ovale della casa Bianca erano trascorsi appena 150 secondi dall’inizio dell’incontro di Giorgia Meloni e Donald Trump con la stampa e sono bastati alla Meloni per nominarlo.
Si tratta del GNL (gas naturale liquefatto), che costituirà uno snodo decisivo del processo di riequilibrio dei rapporti commerciali tra Italia e Ue da una parte e Usa dall’altra, minacciati dalle recenti decisioni di Trump sui dazi.
Un bene di cui gli Usa sono i primi produttori mondiali e di cui la Meloni ha promesso di aumentare gli acquisti italiani. La Ue ha già assorbito nel 2024 circa il 60% di quella produzione. Ma non basta. Perché l’affare gas (nella duplice forma via tubo allo stato gassoso e via nave allo stato liquido raffreddato a -162 C°, che è l’unico che ovviamente gli Usa possono fornire) è solo una tessera di un puzzle molto complesso e va perciò inquadrato in una prospettiva molto più ampia.
Partiamo dal perimetro principale entro cui sta tutto. Nel 2024 la UE ha registrato un record nel surplus della bilancia commerciale delle merci verso gli USA: ben 198 miliardi. Nel 2018 eravamo a 136 e rispetto al 2023 (157 miliardi) il balzo è molto significativo. Più che il livello conta la dinamica, che è impressionante. Anche alla luce del surplus della Ue col resto del mondo che nel 2024 è stato di 147 miliardi. Insomma la Ue senza il mercato Usa smetterebbe di essere esportatore netto.
Il settore servizi nel 2023 ha registrato un disavanzo di 109 miliardi ma abbiamo già spiegato perché ha poco senso fare paragoni.
Dietro questo surplus ci sono sostanzialmente le impronte digitali di un unico grande Paese: la Germania. Nel 2024 il surplus tedesco è stato pari a 92 miliardi, da solo poco meno (47%, con una punta del 57% nel 2022)) della metà dell’intero surplus della Ue. Per comprendere pienamente la sproporzione di questo surplus, basta notare che l’incidenza del PIL tedesco su quello della Ue è solo il 24% circa.
Insomma Berlino negli ultimi sette anni ha fatto degli USA il suo principale mercato di esportazione, con il record fatto segnare proprio nel 2024, con 161,2 miliardi, il 10,4% delle esportazioni tedesche, ben prima di Cina e Uk. La crescita del surplus tedesco spiega poco meno della metà della crescita del surplus dell’intera Ue tra 2018 e 2024.
Un fenomeno che non poteva passare sotto silenzio a Washington, soprattutto perché da metà del 2021 Berlino ha potuto beneficiare di un cambio euro/dollaro molto debole. La discesa cominciata a metà 2021 l’ha tenuto per circa 4 anni nell’area 0,98/1,10, un livello storicamente molto basso. Qualcosa di molto più efficace di un dazio o un contro-dazio.
Ovviamente anche l’Italia ha goduto di questa situazione, registrando un surplus verso gli Usa di 39 miliardi nel 2024, comunque in crescita meno ripida rispetto a quella tedesca, anche in proporzione al PIL (1,8% l’Italia, 2,2% la Germania).
Già questi dati sarebbero sufficienti a giustificare un approccio di Trump differenziato per ciascun Paese della Ue, o almeno solo per la Germania. Cosa tecnicamente possibile perché ognuno colpisce come meglio crede le proprie importazioni. Infatti, perché, se lo squilibrio commerciale è imputabile per almeno metà ai tedeschi, dovrebbero essere colpite con dazi identici tutte le merci della Ue, italiane comprese? Il Regno Unito, con la Brexit, ha fatto appena in tempo a sottrarsi a questa tagliola indifferenziata.
La centralità del tema degli acquisti di gas Usa è data anche da un altro fattore. Il gas russo arriva in Europa ancora copiosamente. Considerando i volumi, Mosca nel 2024 ha pesato ancora per il 14% sull’import della Ue. Meno del 23% del 2021, ma comunque poco meno degli Usa (quota del 17% nel 2024). È questo il dato che probabilmente più urta Washington. Dove si chiedono come sia possibile che ci siano stati ancora circa 16 miliardi di ricavi dal gas per i russi, a cui si aggiungono altri 6,7 miliardi di prodotti petroliferi. L’irritazione è poi aumentata quando hanno verificato che nel 2024 i volumi esportati dalla Russia sono saliti del 14% e quelli Usa sono calati del 12%.
Sono questi i movimenti che fanno sì che le variazioni dell’import di gas dagli Usa spieghino buona parte delle variazioni della bilancia commerciale complessiva UE/Usa. Infatti, oltre al calo dei volumi, c’è stato anche il calo dei prezzi. Nel 2022 il “capolavoro” congiunto di Ursula von der Leyen e di Mario Draghi aveva portato a prezzi pari al triplo di quelli medi del 2024, che avevano mandato in deficit la bilancia commerciale Ue con il resto del mondo per l’astronomica cifra di 436 miliardi e parzialmente riequilibrato i rapporti con Washington. Oggi invece il surplus USA/UE per il gas si è ridotto da 53 miliardi della punta del 2022 a 19 miliardi del 2024. Ecco spiegato da dove prevalentemente proviene il maggior surplus UE del 2024. Gli americani stanno fatturando molto meno e hanno ancora i russi tra i piedi. Ad aumentare la pressione USA sulla Ue, venerdì 18 è apparsa sul Financial Times la notizia che da inizio febbraio i cinesi non stanno scaricando più GNL a stelle e strisce.
I russi si difendono ancora bene anche col GNL. Osservando gli acquisti della Ue, nel 2024 la quota degli Usa è stata pari al 42% dei volumi, ma la Russia si è attestata a un dignitoso 16%. Per l’Italia, la quota Usa è al 34% dell’import e questo spiega l’insistenza di Trump sul tema. Un aumento che sembra alla portata del nostro Paese, considerando che la capacità di rigassificazione dei nostri 5 terminali è pari a 28 miliardi di mc e ne abbiamo importato solo 15.
Il problema, ancora una volta è in Germania. Dove dispongono di 5 terminali per complessivi 44 miliardi di metri cubi e ne hanno comprato solo 6,7 (6,2 dagli Usa). Un misero 8% sull’import complessivo. Mentre l’Italia è al 26% e potrebbe salire al 45/50%.
Resta sul tavolo una contraddizione apparentemente insanabile. Il GNL, per gli ingenti investimenti infrastrutturali necessari, richiede contratti di lungo termine su cui spalmare quei costi in modo ragionevole e quindi poter applicare prezzi competitivi. Ma la transizione energetica vede il gas come una fonte fossile da abbandonare progressivamente e le due cose non possono stare insieme. Per cui i contratti a lungo termine hanno necessariamente la meglio ovunque, anche in Germania, con buona pace dei sogni di sostituzione delle fonti energetiche fossili.
Trump, con il suo “drill, baby drill”, ha definito una nuova agenda in tema di transizione energetica. Tanto che è ormai ampiamente diffusa una banale verità: le fonti rinnovabili si aggiungono a quelle fossili nel soddisfare una domanda di energia è crescente, ma una consistente base di energia da fonti fossili è insostituibile.
Ci permettiamo di presumere che il nostro Presidente, appena uscita dallo studio ovale avrà chiamato Berlino, perché è da là che passa il riequilibrio dei rapporti commerciali con gli USA. Altrimenti il vero “bazooka” potrebbe essere quello usato da Trump con estrema precisione verso un solo Paese della UE.