Garlasco, il perito della prima indagine: “Sulle unghie di Chiara due Dna, ma non sono identificabili”
Le tracce di Dna trovate sotto le unghie di Chiara Poggi non possono portare a identificare nessuno. Nemmeno Andrea Sempio. Lo sostiene Francesco De Stefano, il professore – oggi in pensione – che nel 2014 firmò la prima perizia sulle impronte genetiche trovato sul corpo di Chiara Poggi, la 26enne uccisa a Garlasco, in provincia […]

Le tracce di Dna trovate sotto le unghie di Chiara Poggi non possono portare a identificare nessuno. Nemmeno Andrea Sempio. Lo sostiene Francesco De Stefano, il professore – oggi in pensione – che nel 2014 firmò la prima perizia sulle impronte genetiche trovato sul corpo di Chiara Poggi, la 26enne uccisa a Garlasco, in provincia di Pavia, il 13 agosto 2007.
Per l’omicidio della giovane è stato condannato in via definitiva a 16 anni l’allora fidanzato della vittima, Alberto Stasi, che si è sempre proclamato innocente. Lo scorso ottobre, tuttavia, la Procura di Pavia ha riaperto il caso e iscritto sul registro degli indagati Andrea Sempio, oggi 37enne, amico del fratello minore di Chiara Poggi. L’ipotesi investigativa è che il Dna trovato sotto le unghie della ragazza sia compatibile con il suo: dopo un prelievo coatto, si è in attesa di verificare la corrispondenza genetica.
Per De Stefano, però, quel reperto non può identificare una persona. In un’intervista al Corriere della Sera, il professore si dice certo del risultato della sua perizia, che undici anni fa portò a scagionare Sempio: “Siccome io non ho verità in tasca inizialmente mi sono chiesto: ma davvero mi è sfuggita una cosa così grande? Sono andato a riprenderla e ristudiarla e vabbè, mi sono tranquillizzato. I risultati quelli sono e quelli restano”, dice.
Il perito sostiene che le tracce di Dna rinvenute non fossero sufficienti per stabilire la corrispondenza con un preciso profilo genetico. “Quel che è scritto – fa notare – è risultato durante le operazioni peritali a Genova, tra l’altro in presenza e in accordo con i consulenti di Alberto Stasi. Se ci sono 4 marcatori su 16, quelli sono. Se c’è solo il cromosoma Y c’è solo lui. E vorrei ricordare che il cromosoma Y ci dice che la persona è di sesso maschile, non ci serve a identificare chi potrebbe essere”.
Negli ultimi giorni è emerso dalle indagini che sotto le unghie di Chiara Poggi ci fossero tracce genetiche di due persone. Quindi, anche nell’eventualità che una corrisponda al Dna di Sempio, resta da identificare l’altro soggetto, che è già stato ribattezzato “Ignoto 2”.
Anche De Stefano è convinto che sul corpo della vittima ci fossero tracce di due Dna distinti: “Io ero e resto convinto che nei risultati ci sono almeno due cromosoma Y”, dice. Ovvero il Dna di due uomini: “In un marcatore abbiamo trovato due caratteri genetici e dovremmo trovarne uno, perché la Y in un essere umano di sesso maschile è una”. Ma l’impronta, secondo il professore, è illeggibile: “Erano marcatori frammisti a risultati incostanti, spesso diversi fra loro. In più – prosegue l’ex perito – abbiamo ripetuto l’esame tre volte e ci ha dato tre risultati diversi. Lo capisce chiunque che la replicabilità del risultato è importantissima. Quel giorno le assicuro che non c’è stata. Quel Dna non era attribuibile a nessuno”.
De Stefano è scettico sul nuovo software che avrebbe elaborato i risultati dando un esito diverso: “Nella comunità scientifica – osserva – c’è sempre stato una sorta di pregiudizio nei confronti dei software… Perché i software non fanno altro che elaborare le informazioni partendo dai dati che gli vengono forniti. E, per fare un esempio, se io trovo quattro marcatori sotto un’unghia, due sotto un’altra e tre sotto un’altra ancora non ne ho trovati nove da inserire tutti assieme nel software. Sono tre dati diversi. Glielo devi dire al software”.
“Non ho questa tigna, mi perdoni il termine, di voler difendere a tutti i costi quella perizia. Ci sono tecniche nuove, ne sono felice, grazie al cielo la scienza si evolve”, chiarisce il professore. “Se mi smentiranno ne prenderò atto. Ma venirmi a dire che con quei dati si sarebbe potuta fare un’identificazione… mi cadono le braccia e dico: va bene, fate come vi pare. Poi le cose si riassumono dentro un’aula di tribunale. Io al giudice ripeterò quello che ho già scritto in quella perizia, compresa la questione del trasferimento”.
Il Dna trovato sotto le unghie di Chiara Poggi, secondo l’ex perito, “è un Dna trasferito da contatto con oggetti. E poi vorrei dire un’altra cosa. Leggo che ci si chiede come è potuto rimanere così tanti giorni il Dna su qualche oggetto toccato dall’indagato e poi dalla ragazza. Faccio presente che il Dna non ha ali e non vola. Rimane lì, magari si degrada ma resta. Sulla tastiera o sul mouse di un computer ma anche su una maniglia, sullo stipite di una porta…”.
A proposito della riapertura delle indagini sull’omicidio di Garlasco, De Stefano punta il dito contro “il narcisismo ricostruttivo che molti praticano, anche se sono inconsapevoli di averlo”: “Un narcisismo – spiega – che porta a indicare risultati che in realtà per buona condotta e buona pace di tutti dovrebbero rimanere indecifrabili. Sa cosa ho sempre detto ai miei studenti?. Non abbiate paura di rispondere ‘non lo so’, non cercate un risultato a tutti i costi. È importantissimo, tanto quanto cercare un risultato, capire dove ci si deve fermare”.
Intanto, la gip di Pavia Daniela Garlaschelli ha indicato l’esigenza della comparazione tra il Dna di Sempio con le altre tracce biologiche isolate nella villetta, ma nel frattempo molti reperti – come la tastiera del computer, il tappetino del mouse e il pigiama della vittima – sono stati smaltiti o sono andati perduti.
Una nuova pista potrebbe essere quella della nicotina trovata nei capelli di Chiara Poggi. Né la ragazza né il suo fidanzato Stasi erano fumatori. Secondo quanto emerso, la nicotina era nella parte finale dei capelli, in quella centrale e soprattutto vicino al cuoio capelluto, particolare che rivelerebbe un’esposizione prolungata al fumo. Il padre di Chiara, Giuseppe Poggi, era un fumatore, ma il giorno dell’omicidio si trovava in vacanza da una settimana con la moglie Rita Preda.
A infittire il mistero c’è il portacenere con segni di utilizzo ma senza mozziconi che si nota in alcune foto scattate dai carabinieri sul luogo del crimine. “Mia figlia non avrebbe mai lasciato un portacenere sporco in cucina”, disse all’epoca la madre della vittima.
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