Fabri Fibra condannato per diffamazione ai danni di Valerio Scanu

Dodici anni dopo l’uscita del brano A me di te, la Cassazione ha messo la parola fine alla lunga battaglia legale tra Fabri Fibra e Valerio Scanu. La Suprema Corte ha confermato in via definitiva la condanna del rapper e della sua etichetta Universal Music Italia al pagamento di un risarcimento di 70mila euro in favore del cantante sardo, ex volto noto di Amici.

La vicenda risale al 2013, anno in cui fu pubblicato Guerra e Pace, l’album che conteneva il brano incriminato. In A me di te, Fabri Fibra (all’anagrafe Fabrizio Tarducci) pronunciava versi dal contenuto fortemente offensivo, riferiti in modo diretto a Valerio Scanu. Allusioni sessuali, insinuazioni sull’identità di genere e riferimenti espliciti a presunti episodi privati resero evidente sin da subito il bersaglio delle rime.

«Vengo in bocca, come a Valerio che in verità è una donna» recitava una delle frasi più controverse del testo, insieme ad altre che Scanu giudicò gravemente diffamatorie e lesive della propria immagine pubblica e dignità personale. Nonostante la difesa di Fibra avesse provato a far valere la libertà artistica e la natura provocatoria del linguaggio rap, il tribunale di Milano nel 2016 accolse le ragioni del cantautore sardo, condannando il rapper per diffamazione.

Ora la Cassazione ha confermato quel verdetto, chiudendo ogni spiraglio legale: il risarcimento andrà versato da Fabri Fibra e da Universal Music, considerata corresponsabile per aver pubblicato il contenuto offensivo.

Il caso segna un precedente rilevante nel rapporto tra libertà di espressione artistica e tutela della reputazione individuale. Un confine sottile che, secondo la giustizia italiana, Fabri Fibra ha superato.

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