Festa della mamma, ma le madri in Italia sono equilibriste e lasciate sole
Sole, senza una rete, in bilico nel vuoto: le madri in Italia sono equilibriste. Ecco cosa emerge dal report di Save the Children. The post Festa della mamma, ma le madri in Italia sono equilibriste e lasciate sole appeared first on The Wom.


Solitudini strutturali, disparità territoriali, penalizzazioni e discriminazioni che si amplificano con la maternità: da ormai dieci anni il prezioso rapporto “Le equilibriste” ci obbliga a riflettere sulle difficoltà che le madri incontrano nel cercare, mantenere e far crescere il loro lavoro, ricordandoci che combinare maternità e lavoro costituisce ancora una sfida. I grandi temi che ostacolano il lavoro delle madri sono ancora tutti sul tavolo e la child penalty incombe sulla vita delle donne.
Natalità ai minimi storici, manca il supporto alle madri
Il 2024 ha segnato un nuovo record negativo per le nascite: appena 370.000 nuovi nati, con un calo del 2,6% rispetto all’anno precedente. Un declino che testimonia come il nostro Paese non incoraggi la genitorialità: mettere al mondo un bambino diventa una scelta controcorrente o addirittura coraggiosa. Il tasso di fecondità è sceso a 1,18 figli per donna, infrangendo il minimo storico dell’1,19 registrato nel 1995.
Al Sud la situazione peggiora ulteriormente: il calo delle nascite raggiunge picchi del 4,2% al Sud e addirittura del 4,9% nelle Isole. Le donne italiane, quando possono permetterselo, diventano madri sempre più tardi con un’età media al parto che ha toccato i 32,6 anni
Un dato che si spiega nei lunghi anni di studi, precariato e la sempre maggiore difficoltà ad ottenere la stabilità economica. A pesare sulle scelte personali, infatti, sono le politiche pubbliche: mancano a supporto della genitorialità.
Mancano politiche adeguate a supporto della natalità, non bastano i bonus
Tra le misure introdotte dalla Legge di Bilancio per il 2025, il rapporto ricorda il Bonus per le nuove nascite: un contributo di 1.000 euro (una tantum) per ogni figlio nato o adottato dal 1° gennaio 2025, destinato alle famiglie con un ISEE non superiore a 40.000 euro. «Non solo questa misura già introdotta da altri Governi in precedenza non ha portato alcun miglioramento nella condizione dei neogenitori o nella propensione ad avere figli, ma, visto il quadro attuale dei sostegni economici che una famiglia con figli neonati e con un ISEE fino a 40.000 euro può ricevere, l’introduzione del bonus per le nuove nascite complica tale quadro» si legge nel rapporto.
Questo perché la famiglia tipo citata dovrà presentare due domande separate alla nascita del figlio: presenterà la domanda per l’Assegno unico e universale, che è un flusso mensile che durerà almeno fino ai 18 anni del figlio, e che nel primo anno è maggiorato del 50%, e poi dovrà presentare un’altra domanda per ricevere il bonus di 1000 euro, con ulteriore carico di burocrazia che richiede capacità di orientarsi e gestire informazioni e documenti non banali. Per questo motivo sarebbe stato più semplice e anche più efficace aumentare la maggiorazione dell’assegno unico universale nel primo anno di vita dei figli già stabilita nel 2023 dallo stesso Governo, cioè incrementandolo oltre il 50%, e ampliare la platea dei beneficiari dell’altra maggiorazione del 50% dell’assegno unico universale prevista per i figli tra 1 e 3 anni appartenenti a famiglie numerose (con 3 o più figli) con ISEE fino a 43.240 euro (45.939 nel 2025), estendendola alle famiglie con due o più figli, ad esempio abbassando il limite ISEE.
Che cos’è la “child penalty”, la penalizzazione che colpisce le madri
Se l’Italia occupa già il 96° posto su 146 Paesi per partecipazione femminile al mondo del lavoro e il 95° per divario retributivo di genere, la situazione peggiora quando una donna diventa madre. È la cosiddetta “child penalty”, la penalizzazione economica e professionale che colpisce chi sceglie la maternità.
I numeri fanno luce su una realtà inequivocabile e drammatica per le madri: mentre il 77,8% degli uomini senza figli è occupato, tra i padri la percentuale sale addirittura al 91,5% (92,1% per chi ha un figlio minore)
Un effetto opposto rispetto alle donne: lavora il 68,9% di quelle senza figli, ma solo il 62,3% tra le madri. Mentre la paternità migliora le prospettive lavorative degli uomini, la maternità le compromette per le donne. Le disparità territoriali amplificano il problema: al Nord lavora il 74,2% delle donne con un figlio minore, percentuale che si abbassa al 44,3% al Sud, dove le opportunità lavorative sono scarse e i servizi di supporto spesso insufficienti.
Madri single, ulteriormente penalizzate
L’essere madre single gioca un ruolo anche sulla questione lavorativa. Le madri sole rappresentano il 9,4% delle donne occupate, con 941mila lavoratrici su un totale di quasi 10 milioni di occupate.
Tra le madri sole lavoratrici, quasi sette su dieci (69,6%) hanno un’età compresa tra 45 e 64 anni, superando di 11 punti percentuali le madri in coppia in questa fascia d’età
Tra di loro emerge una presenza significativa di donne di origine straniera (12%). Il loro livello di istruzione rappresenta una sfida importante, con un quarto (25,3%) che possiede un basso titolo di studio. Il 19,7% si trova in situazione di part-time involontario. Inoltre, rispetto ad altre categorie di lavoratrici, le madri single sono sovra rappresentate in professioni non qualificate, con una concentrazione particolare nei settori dell’ospitalità, della ristorazione e dei servizi alle famiglie. Il tasso di disoccupazione è massimo tra le madri single più giovani:
Nel 2024, il 17,8% delle madri sole under35 con figli minori risulta disoccupata, contro il 12% tra le 35-44enni e appena il 7,1% tra le 45-54enni.
Circa una madre single su 4 con almeno un figlio minore è inattiva (24,6%), un valore in linea con quello registrato nel 2023 (24,5%).
Basta rinunciare o scegliere: servono investimenti sull’infanzia
Il decimo rapporto di Save the Children non solo fotografa una realtà allarmante, ma indica anche la strada per un cambiamento. Servizi per l’infanzia accessibili e di qualità, politiche aziendali che mettano le famiglie al centro, un sistema di welfare che riconosca il valore sociale della maternità. Il Think Tank Tortuga – gruppo di ricercatori e studiosi volontari impegnati in indagini socio-economiche – ha calcolato su incarico di Save the Children quanto potrebbero incidere positivamente gli investimenti nei servizi per l’infanzia.
Riducendo del 30% i costi degli asili nido a carico delle famiglie, la child penalty passerebbe dal 33% attuale al 27,6%. Se la riduzione arrivasse al 90%, la penalizzazione scenderebbe fino al 16,8%. Come evidenzia Save the Children, per invertire la rotta, servono «politiche strutturali, integrate e durature» per sostenere le famiglie, tra cui l’ampliamento dell’offerta educativa per la prima infanzia e l’estensione dei congedi di paternità.
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