“Faccio cose per non spararmi. La vecchiaia ha un vantaggio: non mi piacciono più i film porno”: Mauro Corona si confessa in un documentario
Tra un “le foto vanno chieste, come il sesso” e un “la vecchiaia ha un vantaggio: non mi piacciono più i film porno”, del Mauro Corona ritratto per un’ora e mezza nel documentario La mia vita finchè capita ci colpisce in maniera inequivocabile quello che scala una parete di roccia come un ragnetto. “Scrittore, scultore […] L'articolo “Faccio cose per non spararmi. La vecchiaia ha un vantaggio: non mi piacciono più i film porno”: Mauro Corona si confessa in un documentario proviene da Il Fatto Quotidiano.

Tra un “le foto vanno chieste, come il sesso” e un “la vecchiaia ha un vantaggio: non mi piacciono più i film porno”, del Mauro Corona ritratto per un’ora e mezza nel documentario La mia vita finchè capita ci colpisce in maniera inequivocabile quello che scala una parete di roccia come un ragnetto. “Scrittore, scultore e scalatore, una volta anche scopatore”, ci scherza su il 74enne Corona nell’opera diretta da Niccolò Maria Pagani. Eppure vederlo in cordata solitaria, flessibile e armonico nemmeno fosse un 20enne, mentre qualche istante prima sembrava caracollante sotto i colpi di un bicchiere di rosso, è qualcosa di epifanico, cinematograficamente parlando. Una rivelazione visiva che arriva verso il fondo di un documentario biografico che sta spesso dentro la “tana” del protagonista, quella di Erto, dove Corona scolpisce il legno (“invento anatomie, non sto nei canoni”), scrive a biro, fitto fitto, senza mai andare a capo, riempiendo ogni spazio vuoto, dove strofina, accarezza, sbaciucchia il suo gatto Dalton, e infine dove trova un angolo di spazio per un’inquadratura per e con (split screen) la sua “Bianchina” in diretta tv.
Pagani ha seguito Corona diversi mesi – tra riprese e montaggio fatto in loco, i mesi sono sette – avvicinandosi a quel curioso centro gravitazionale che sono la crocchia di capelli con bandana e occhiale azzurro dello scrittore, ascoltandone perfino i borbottii (il film inizia con il rumore dello sciacquone e Corona appare fuori dal bagno). Una sorta di spazio modello horror vacui, se non fosse che la “tana” è lo scrigno di uno scrittore da 4 milioni e mezzo di copie vendute nel mondo. Lo scrittore scoperto dalla famiglia Magris e finito diretto in Mondadori, ha, ma lo si sapeva anche senza documentario, l’allure, il ritmo del citazionista (Pessoa, Rigoni Stern, ecc…) incastonato in quella burbera, malinconica sagoma paesana e popolana.
Se non fosse per un fratello e qualche amico con cui gioca alla morra, e per l’arrivo di Piero Pelù, Erri De Luca e Davide Van De Sfroos (documentaristicamente parlando è come preparare in montagna gli spaghetti alla bolognese), Corona si mangia tutto lo schermo e lo spazio scenico del film. Azionando il volume e lo spirito del ricordo doloroso familiare (il padre violentissimo che gli lanciava pietre in testa dalla finestra) e ritornando continuamente a questa idea di morte imminente che irradia pensiero e figura, presente e futuro. Eppure c’è un Corona che esorcizza di continuo la fine. Un Corona con la mistica del bere (un’acquavite, un marsalino, un classico rosso) e un Corona che scala inopinatamente una roccia che pende all’indietro muovendosi agile nemmeno se li davanti ci fosse il classico stuntman del cinema. Se a tutto aggiungiamo un cuore centrale del racconto che sfrega la lampada tragica del Vajont, ne esce un genius più loci che mai. Dicevamo delle diverse e divertenti battute sul sesso, il fastidio dell’essere ritratto di nascosto (appunto, la foto si chiede), si segnala la battuta più esemplare del nostro, una sorta di summa psicanalitica che sa di nuda catarsi: “Faccio cose per non spararmi”. In sala con Wanted dal 5 al 7 maggio dopo l’anteprima al Trento Film Festival.
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