Fabio De Ponte, ricercatore Università Libera di Bruxelles: “Il piano di azione per l’IA dell’UE è un passo avanti, ma il problema sono i numeri” | Lo scenario
Il piano di azione per l’intelligenza artificiale annunciato oggi dalla Commissione Europea è indubbiamente “un passo avanti”, ma il problema sta nei “numeri”. Lo dice all’Adnkronos Fabio De Ponte, ricercatore sui modelli linguistici nel laboratorio di Intelligenza artificiale dell’Università Libera di Bruxelles (VUB) e all’Università di Namur, in Vallonia, e membro del gruppo di ricerca […] L'articolo Fabio De Ponte, ricercatore Università Libera di Bruxelles: “Il piano di azione per l’IA dell’UE è un passo avanti, ma il problema sono i numeri” | Lo scenario proviene da Osservatorio Riparte l'Italia.

Il piano di azione per l’intelligenza artificiale annunciato oggi dalla Commissione Europea è indubbiamente “un passo avanti”, ma il problema sta nei “numeri”.
Lo dice all’Adnkronos Fabio De Ponte, ricercatore sui modelli linguistici nel laboratorio di Intelligenza artificiale dell’Università Libera di Bruxelles (VUB) e all’Università di Namur, in Vallonia, e membro del gruppo di ricerca Hermes.
Il piano, premette, è “positivo”, perché la Commissione sta cercando di passare da un approccio focalizzato “solo sulla limitazione dei rischi” a un approccio centrato invece “sull’aspetto produttivo, sull’innovazione”. Stanno “un po’ ricalibrando il tiro”.
Naturalmente, osserva, “ci vuole tempo per fare questo switch. Specie per l’Unione Europea che ha una storia molto più legata alla regolamentazione, che non alle politiche industriali”.
Detto questo però, osserva De Ponte, c’è un problema di numeri. Facendo due conti, spiega, l’Ue vorrebbe costruire “4 o 5 gigafactory di intelligenza artificiale, ciascuna delle quali dovrebbe avere 100mila chip di ultima generazione”, che vengono prodotti dalla statunitense Nvidia.
Per quanto riguarda i soldi, si parla di 20 miliardi di euro, “di cui però il 30% arriva da Commissione e Stati membri e il 70% dai privati”. Quindi, “bisogna vedere chi li mette. E se li mette”. In sostanza, stiamo parlando di una spesa di “4 miliardi per stabilimento, un terzo dei quali” di provenienza pubblica.
Nel frattempo negli Stati Uniti, ricorda De Ponte, OpenAI ha in piedi “il progetto Stargate, un investimento congiunto insieme a Oracle e alla giapponese SoftBank da 100 miliardi di dollari”, per un complesso che dovrebbe sorgere l’anno prossimo in Texas, nella città di Abilene, con “400mila chip Nvidia”.
Quindi, riassumendo, “noi dovremmo, con 4 stabilimenti, arrivare alla stessa potenza di calcolo di questo nuovo complesso di OpenAI”. Però contiamo di spendere “un quinto delle risorse”.
Negli Usa non c’è soltanto OpenAI. Elon Musk, continua il ricercatore, “ha un piano da 5 miliardi, insieme alla Dell, per un supercomputer da costruire a Memphis”. Meta, “da sola, ha un progetto di 600mila chip”.
Per non parlare di CoreWeave, azienda di cloud focalizzata sull’intelligenza artificiale, che si è quotata la settimana scorsa, “che ha già più di 250mila chip, in 32 data centre”.
Insomma, spiega De Ponte, in Europa “stiamo ipotizzando 4 o 5 strutture che, tutte insieme, arrivano a fare quello che fa OpenAI e vorremmo spendere un quinto di quello che spende OpenAI”. E poi “ci sono tutti gli altri”.
Senza contare, prosegue, l’aspetto del consumo di corrente, perché il nuovo complesso di OpenAI “dovrebbe consumare, secondo le stime, circa 1,2 gigawatt”, vale a dire la quantità di energia che serve per “alimentare 200mila case”.
Esaminando le comunicazioni della Commissione, “io non ho trovato traccia di discussioni sul problema di come alimenteremo queste strutture”. Ciascuna consumerà più o meno “come la città di Novara”.
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