Europa, Ucraina, riarmo: tante domande, poche risposte

All’indomani della manifestazione in piazza per l’Europa vale la pena tenere conto di alcuni elementi non del tutto irrilevanti che potrebbero indirizzare in modo più incisivo ed efficace il «non perdiamoci di vista» con cui si è conclusa la kermesse animata e sostenuta dal quotidiano la Repubblica su input di una rete di sindaci e […]

Mar 20, 2025 - 14:11
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Europa, Ucraina, riarmo: tante domande, poche risposte

All’indomani della manifestazione in piazza per l’Europa vale la pena tenere conto di alcuni elementi non del tutto irrilevanti che potrebbero indirizzare in modo più incisivo ed efficace il «non perdiamoci di vista» con cui si è conclusa la kermesse animata e sostenuta dal quotidiano la Repubblica su input di una rete di sindaci e del giornalista Michele Serra. 

Il clamore circa la folla numerosa e pacifica riunitasi in piazza del Popolo a Roma rischia di offuscare una meritoria iniziativa a causa della sua mancanza di visione e chiarezza. E benché la confusione sia, senza ombra di dubbio, il segno genuino e nutriente, persino comprensibile, della complessità di questi tempi, è anche vero che un tale scompiglio, di visione e di intenti, può provocare in ultima istanza essenzialmente due cose: tenere lontano le persone, spaventate, impaurite e confuse, disperdendo quindi la cruciale opportunità d’adesione da parte di centinaia di migliaia di altri potenziali partecipanti che avvertono il bisogno di essere rassicurati e rappresentati; oppure sfociare nel nulla e, a mesi di distanza, risultare una piazza tutto sommato inutile. 

Il primo quesito a cui dovrebbe rispondere la piazza per l’Europa è se coloro che sono scesi in piazza, tutti, anche se consapevoli delle loro diversità di vedute, sono a favore della Von der Leyen o al contrario sono per una più razionale spesa della difesa europea che efficientizzi la capacità operativa dei singoli governi in una unica voce collettiva – fermo restando che, a prescindere da come lo si faccia, c’è anche chi può legittimamente credere che sia proprio inutile armarsi e che, in fin dei conti, l’era del riarmo sia una risposta emotiva fin troppo semplicistica dinnanzi al primo sopracciglio alzato dallo zar imperialista di turno sullo scenario globale (che sia Putin o Trump). 

In tal senso vale anche la pena riflettere su un fatto: ci stiamo ri-armando e indebitando fino al collo con un massiccio piano di prestiti (allentando le regole del debito) a fronte della crescente minaccia russa, che con il suo disegno imperialista ha ambizioni che potrebbero intimorire l’Europa. 

Sorge però spontanea una domanda: per anni tutti i media, i più accreditati osservatori internazionali e i migliori analisti hanno raccontato che l’armata russa era ormai diventata l’armata rotta e che l’esercito di Putin era lì lì per vacillare grazie, anche, alla controffensiva di Kiev sostenuta dall’Occidente. Cosa è cambiato in questi pochi mesi? Delle due l’una: mentivano prima oppure mentono ora. 

Certo, nel frattempo è tornato Trump che ha deciso di smantellare l’ombrello militare (e nucleare?) di protezione che per oltre mezzo secolo ha messo l’Ue al riparo da qualsivoglia ambizione espansionistica. 

L’errore o incapacità dei governanti europei è stata di rendersene conto a cose fatte, ignorando i chiari segnali premonitori ed evitando di correre a più opportuni rimedi ben prima. Che attuare un piano di difesa comunitario fosse necessario ma anche arduo è scontato; che le opportunità scaturite a favore dell’Ue in seguito al gelo di Trump lo debbano rendere un’operazione potenzialmente incontrovertibile che rischia di porre sul lastrico decine di governi Ue è ben altra cosa. 

E su questo tema dell’esercito europeo val la pena integrare il ragionamento con un altro quesito: è possibile ritenere ragionevole che la Francia, che dispone di 300 testate nucleari da sola (600 il totale in Europa contro le 6.000 in totale della Russia, dieci volte tanto), ceda la propria sovranità militare, geostrategica e infine politica a fronte di un’azione comune di cui non sono chiare gerarchie e ruoli? 

Per colmare un gap militare nei confronti di Usa e Russia abbiamo bisogno di diversi decenni. Nel frattempo cosa facciamo? Semplice: secondo il presidente del Consiglio europeo, il portoghese Costa, dovremmo riarmarci comprando armamenti dagli Usa (a breve termine) e dalle nostre industrie nazionali (a lungo termine), convertendo le nostre economie in economie di guerra e contraendo altro debito (per le armi tutto si può). Il che, se ci pensate, è a questo punto inevitabile, ma fa anche quanto meno sorridere: vogliamo renderci indipendenti dagli Stati Uniti staccando il cordone militare (che è un modo più carino per dire che lo Zio Sam non ci vuole più sul groppone) e per farlo rimpinguiamo le casse americane comprando armi proprio dalle loro industrie (come del resto abbiamo sempre fatto). Lezioni di stile. 

Proprio in queste settimane è infatti finalmente emersa in maniera palese la reale contropartita del sostegno Usa all’Ucraina in tutti questi anni, che va ben oltre i valori imprescindibili e intrattabili che siamo stati chiamati a difendere come Occidente. L’accordo di pace vincolante avverrà solo con il via libera al controllo e all’estrazione, da parte degli Usa, delle terre rare in Ucraina. 

Con i tempi di Trump che corrono, siamo passati direttamente dall’estrazione all’estorsione. Che poi può anche starci se chi estorce e chi si fa estorcere accettano la cosa di buon grado; il problema è quando sventoliamo al mondo lezioni di civiltà e di progressismo immolandoci per la democrazia e per la libertà. Quando mai. 

Un’ipocrisia simile accade in questi giorni in piazze per l’Europa come quella a cui abbiamo assistito nelle ultime settimane in piazza del Popolo a Roma: popolata perlopiù da giovani-vecchi scesi in strada per domandare a un’Ue finalmente unita di adottare un ambizioso ed articolato piano di riarmo volto a difendersi dalla minaccia russa. Parlando, in pratica, in nome e per conto dei giovani che, ignari e non partecipi, faranno la guerra al posto loro, se necessario, non fosse altro per banali motivi anagrafici.