Europa a orologeria: il fattore Trump e il grande disincanto dell’Ue (di G. Gambino)

Che la vittoria di Donald Trump alle elezioni Usa 2024 costituisse per l’Europa un’opportunità più che una minaccia era chiaro dal giorno stesso in cui il nuovo presidente si è insediato alla Casa Bianca. Che ciò possa innescare un reale cambio di rotta per l’Ue e chi la governa è sfortunatamente molto improbabile o quantomeno […]

Mar 6, 2025 - 19:27
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Europa a orologeria: il fattore Trump e il grande disincanto dell’Ue (di G. Gambino)

Che la vittoria di Donald Trump alle elezioni Usa 2024 costituisse per l’Europa un’opportunità più che una minaccia era chiaro dal giorno stesso in cui il nuovo presidente si è insediato alla Casa Bianca. Che ciò possa innescare un reale cambio di rotta per l’Ue e chi la governa è sfortunatamente molto improbabile o quantomeno ben lontano dall’avvenire.

L’umiliazione di Trump nei confronti di Zelensky nello Studio Ovale mostra la durezza e il bullismo dell’uomo più potente al mondo ma anche la sua feroce determinazione nell’ottenere ciò che vuole. La rivista americana The Atlantic ha definito la sua forma di governo “patrimonialism”, termine coniato un secolo fa dal sociologo tedesco Max Weber, alla cui base c’è il concetto che chi governa sostiene di essere simbolicamente il padre del popolo, la personificazione dello Stato e il suo protettore. Una formula sintetizzata da Trump nel suo discorso di insediamento: «He who saves his Country does not violate any Law». Superiore a tutto e tutti, dunque, anche alla legge.

Quanto accaduto nello Studio Ovale disvela ciò che l’America ha sempre fatto (pur sciorinando al contempo un animo e un intento nobili sul proscenio internazionale): perseguire i propri interessi, edulcorarli con qualche aggettivo di valore qua e là, per poi andarsene lasciando al proprio destino chi per anni ha combattuto in nome di quei condivisi valori. Trump è il male, chiaramente. Ma non è il solo bullo d’America: lui ha il difetto (o il pregio) di dire apertamente ciò che pensa (spesso come la maggioranza degli americani). Ebbene la grande fuga americana da Kabul, con Biden presidente, ha lo stesso sapore di abbandono. Sono sempre gli stessi, solo che ora lo dicono in faccia.

In questa condizione di incertezza e precarietà, chi ha sostenuto la tesi del sostegno incondizionato all’Ucraina riarmando l’Europa fino al collo, ritenendo che la Russia andasse sconfitta sul campo, e che l’unica pace giusta sarebbe stata la fine politica di Putin, è confuso: i valori che abbiamo strenuamente difeso nel sostenere la controffensiva ucraina vengono ora improvvisamente messi da parte. L’elefante nella stanza si chiama Europa; la cui necessità di esistenza – beninteso – torna agli onori delle cronache come una bomba a orologeria ogni qualvolta che c’è un ex amico ora nemico che d’un tratto ci fa sembrare scemi per aver detto tutto il contrario di quello che avremmo dovuto e potuto dire e che ora dice lui.

Così, mentre proliferano le manifestazioni in nome di una Piazza per l’Europa (perché prima non potevano/dovevano nascere iniziative simili?) i leader europei che negli ultimi tre anni hanno tenuto la barra dritta sulla linea a difesa dell’Ucraina oggi sembrano pugili suonati e, nel peggiore dei casi, sono ammutoliti e incapaci di difendere Zelensky perché ciò significherebbe attaccare Trump (scuola Meloni) oppure, ed è il migliore dei casi, sono alle prese con il tentativo di dare seguito agli aiuti in Ucraina senza avere il coraggio di dire che l’Ue non ha i mezzi e l’organizzazione per farlo (noi inviamo a Kiev 12 tipologie di carri armati diversi: questa è, anche, l’Europa oggi) al pari di come lo hanno fatto gli Usa.

Soprattutto: purtroppo per noi, esistono almeno tre diverse Europe, nel continente, quindi è difficile riuscire ad adottare una risposta forte e coesa come tutti vorremmo, e come anzi avremmo dovuto tentare di avere già tre anni fa, nel ruolo di mediatore tra Ucraina (e quindi Usa) e Russia. Ruolo che oggi – siamo al paradosso – vuole assumere l’America.

È interessante che chi oggi invoca una nuova Europa non si renda minimamente conto che l’ha fatta a pezzi mesi dopo mesi mettendosi nelle mani degli Usa senza se e senza ma, senza insinuare il dubbio che una propria politica avrebbe permesso di lottare davvero per i valori che abbiamo detto di difendere costi quel che costi. Come possiamo tradire così la nostra parola? Zelensky stesso, del resto, non è chiaro quale strategia voglia perseguire, arrivati a questo punto.

Fermo restando che del dibattito allo Studio Ovale si è parlato perlopiù nei soli termini della reazione folle e spropositata di Trump senza che nessuno considerasse quanto affermato in modo perentorio e netto in prima battuta dal presidente ucraino (innescando quel tratto finale della discussione lunare a cui tutti abbiamo assistito), non si capisce in che modo non aver trattato con i russi per un accordo un anno e mezzo fa sia stato un vantaggio per l’Ucraina; oggi la condizione è peggiore e anche meno promettente, vista la velocità con cui Trump sta cambiando il mondo. Sarà vero che la maggioranza degli ucraini vogliano ancora combattere? Sarebbe forse giusto, a questo punto, quanto meno chiederglielo per capire cosa loro in primo luogo definirebbero un accordo equo e duraturo.