Età, sesso, figli e disabilità. Quando il colloquio esclude

BOOMER, donna, con figli o anziani da accudire, disabile. È l’identikit perfetto di chi, al termine del colloquio per essere...

Mar 24, 2025 - 06:55
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Età, sesso, figli e disabilità. Quando il colloquio esclude

BOOMER, donna, con figli o anziani da accudire, disabile. È l’identikit perfetto di chi, al termine del colloquio per essere assunto, si sente dire "grazie, le faremo sapere". Ma anche chi non ha tutte insieme queste caratteristiche può preoccuparsi, se è vero che una persona su due dichiara di aver subito discriminazione sul posto di lavoro o durante la selezione. È quanto emerge da un sondaggio pubblicato dal magazine britannico “People Management“ e condotto su 4.000 adulti, che ha inoltre rilevato come le donne abbiano quasi il doppio delle probabilità di denunciare discriminazioni rispetto agli uomini: una intervistata su dieci ritiene infatti di aver perso un ruolo a causa del proprio genere, rispetto al 5,2% dei colleghi maschi.

Tra le varie forme di discriminazione individuate dal sondaggio, la più comune è però l’età: il 15% ritiene infatti che la data di nascita impedisca loro di avere un lavoro. Una su cinque (19%) ha inoltre affermato di aver dovuto affrontare questo problema a un certo punto della propria carriera. Rilevante anche la discriminazione nei confronti di genitori o caregiver: tra coloro che hanno figli a carico o che si prendono cura di parenti anziani o di persone disabili, quasi un terzo (30%) ritiene di aver subito discriminazioni.

Nel dettaglio, il sondaggio rileva che il 57% degli intervistati di età compresa tra 18 e 34 anni hanno dichiarato di aver subito discriminazioni sul lavoro, mentre ancora di più (il 59%) sono coloro che hanno subito discriminazioni nelle assunzioni. La percentuale scende al 31% nella fascia di età sopra i 35 anni.

Numeri che, se accostati ad altre recenti indagini sullo stesso argomento, danno un quadro piuttosto sconfortante. Anche in tema di disabilità. L’Università di Cardiff, l’Università di Liverpool e la Thames Water hanno infatti condotto di recente uno studio sociologico su larga scala in 5 città britanniche, presentando domande fasulle per oltre 4.000 posti di lavoro vacanti, identificandosi una parte come aspiranti lavoratori su sedia a rotelle e una parte come candidati privi di disabilità. Le candidature riguardavano principalmente e volutamente due categorie professionali, quella della contabilità e dell’assistenza finanziaria, che non ponevano ostacoli di natura fisica. Il risultato? È stata riscontrata una discriminazione significativa nei confronti dei candidati disabili, con un tasso di recall inferiore del 15% rispetto ai candidati senza disabilità. La discriminazione è stata più forte per il ruolo, meno qualificato, di assistente finanziario, dove il divario era addirittura del 21%. Curiosamente, anche per i posti di lavoro da remoto non sono stati registrati divari minori, sollevando interrogativi sulla capacità dello smart working di contrastare la discriminazione nei confronti delle persone disabili.

"La discriminazione nei colloqui di selezione è un problema radicato che limita il potenziale delle aziende – commenta Cristina Danelatos (nella foto), board member di Zeta Service, azienda italiana specializzata nei servizi HR e payroll – Non si tratta solo di una questione etica, che pure è rilevante, ma di pratiche che impediscono, in virtù di pregiudizi sovente di natura culturale, anche l’inclusione di talenti preziosi che possono contribuire alla diversità e all’innovazione. Ogni persona reca con sé esperienze uniche e risorse preziose, che possono facilitare la crescita aziendale, favorendo la creatività, migliorando la percezione interna ed esterna dell’impresa e promuovendo una cultura d’inclusione, rispetto e opportunità per tutti".