Ecco come anche Ue e Francia puntano ai minerali rari dell’Ucraina

Dopo l’annuncio dell’accordo con gli Stati Uniti, la Francia aveva dichiarato l'interesse a rifornirsi delle materie prime dell'Ucraina. L'approfondimento di Francesco Stuffer, ISPI Master in Diplomacy / Sciences Po Paris, tratto da Appunti di Stefano Feltri.

Mar 16, 2025 - 11:02
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Ecco come anche Ue e Francia puntano ai minerali rari dell’Ucraina

Dopo l’annuncio dell’accordo con gli Stati Uniti, la Francia aveva dichiarato l’interesse a rifornirsi delle materie prime dell’Ucraina. L’approfondimento di Francesco Stuffer, ISPI Master in Diplomacy / Sciences Po Paris, tratto da Appunti di Stefano Feltri

Per quanto riguarda l’oggetto dell’accordo, ovvero le ricchezze del sottosuolo dell’Ucraina, le incognite sono ancora tante. Di molti giacimenti non si conosce l’estensione esatta dei depositi, e alcune stime si basano su documenti risalenti addirittura all’epoca sovietica.

Distinguendo terre rare e metalli strategici – con il primo termine si indica un insieme di 17 elementi centrali in molti settori industriali d’avanguardia, mentre i metalli vengono definiti “strategici” per il ruolo che rivestono nell’economia dei paesi importatori o esportatori – l’Ucraina possiede riserve di materiali fondamentali per la costruzione di auto elettriche, soprattutto grafite e litio.

Per ora, sul suolo ucraino non esistono miniere di terre rare: lo sfruttamento dei giacimenti non è ancora iniziato.

Inoltre, diversi si trovano nei territori tuttora occupati dall’armata russa, senza contare che sia la Russia che gli Stati Uniti d’America possiedono sul loro territorio grandi quantità degli stessi minerali che si possono trovare anche in Ucraina.

In questo accordo, gli Usa avevano due obiettivi. Il primo era quello di escludere gli europei dallo sfruttamento dei minerali critici ucraini: la domanda per questo tipo di risorse è cresciuta con la transizione energetica, un obiettivo molto più importante a Bruxelles che a Washington.

Il secondo fine era quello di presentarsi all’opinione pubblica americana come capace di aver ottenuto un deal che avrebbe risarcito le spese americane in Ucraina, anche se questo rimarrebbe tutto da verificare, e sarebbe difficile per Donald Trump vedere i primi profitti dalle miniere (ancora da costruire) ucraine, se non per ragioni di fine mandato almeno per motivi anagrafici.

La strategia ucraina

Anche dal lato ucraino però la questione delle terre rare era un pretesto, pensato per mantenere interessi esteri nel Paese.

Ricevere investimenti esteri importanti per Kyiv da un lato vuol dire ricevere un aiuto alla ricostruzione della propria economia, e dall’altro legare a sé il Paese che ha deciso di effettuare l’investimento.

In questo momento l’Ucraina è molto più interessata a tessere legami forti con Paesi terzi, così che la sua sorte tocchi anche gli interessi di Stati esteri e li spinga ad agire in suo supporto, e molto meno alla conservazione delle sue risorse naturali o ai profitti che esse potranno eventualmente generare tra una trentina di anni.

Il “deal” tra Stati Uniti e Ucraina e la lista del molibdeno inviata dall’Italia fascista al Terzo Reich sono quindi esempi di una diplomazia che maschera le sue vere intenzioni dietro accordi su minerali critici la cui utilità o profittabilità sono dubbi.

Washington, dopo aver votato con la Russia all’Assemblea delle Nazioni Unite contro la condanna dell’invasione dell’Ucraina, ha deciso di riprendere i contatti con Kyiv per poi stravolgerli con una sfuriata in mondovisione.

Dal lato ucraino, concludere un accordo con Washington sebbene gli Stati Uniti avessero già espresso l’intenzione di riprendere le relazioni con Mosca non pare una strategia promettente. Tuttavia le parti si stanno già riavvicinando, così come annunciato da Trump nel suo discorso al Congresso.

Di fronte a questi sviluppi, i Paesi europei si scoprono attori di secondo piano in Ucraina, tanto nel cammino verso un accordo di pace, quanto nello sfruttamento delle risorse di Kyiv.

Già nelle scorse settimane, il presidente francese Emmanuel Macron e il primo ministro inglese Keir Starmer si sono recati a Washington, ma la loro visita è stata poco incisiva e non ha contribuito a riavvicinare le parti dopo lo strappo del discorso del vicepresidente JD Vance a Monaco.

La frattura tra Usa e Ucraina ha però avuto l’effetto di ricompattare i leader europei, i quali si sono schierati con decisione dalla parte di Kyiv (eccetto Italia, Slovacchia e Ungheria), e ha improvvisamente accresciuto il peso della riunione promossa dal Regno Unito per domenica 2 marzo.

L’incontro londinese degli europei del 2 marzo era destinato ad avere scarse conseguenze: la riunione precedente a sostegno dell’Ucraina si era tenuta a Parigi, e si era conclusa in maniera poco gloriosa con il cancelliere tedesco che aveva abbandonato l’Eliseo prima degli altri per fare campagna elettorale ed espressioni di risentimento da parte di Cechia e Romania per non essere stati invitati.

La Gran Bretagna ha invece mostrato la sua ambizione di farsi potenza federatrice tra le due sponde dell’Atlantico, in un inedito tandem con la Francia quale rappresentante di un’Unione europea in riarmo.

Il presidente francese, in estrema difficoltà in patria, deve ringraziare lo stesso Trump, perché senza le sue bizze immaginarlo come leader europeo sarebbe assai difficile. In mancanza di altre figure di vertice però, un profilo assertivo come quello di Macron sembra godere di nuovo smalto, e cerca di riproporsi come leader continentale, recandosi per primo a Washington e affrontando Trump nello Studio Ovale.

Le ambizioni della Francia

Anche sul fronte dei minerali ucraini però la Francia si è mostrata attiva. Dopo l’annuncio dell’accordo con gli Stati Uniti infatti, il ministro della Difesa Sébastien Lecornu aveva dichiarato l’interesse del proprio Paese a rifornirsi in materie prime ucraine.

La Francia perseguiva in questo caso esclusivamente il proprio interesse nazionale, il Ministro aveva infatti dichiarato che erano stati gli ucraini a porre sul tavolo la questione delle risorse naturali del proprio Paese, che, così come agli Stati Uniti, fanno gola anche all’industria della difesa francese.

Nella volontà di Parigi di intervenire nella partita dei “minerali critici” rientrano però anche le sue difficoltà in Africa (grande teatro di estrazione) e le precedenti mosse della Germania.

L’interesse francese per il litio ucraino è anche una risposta all’attivismo tedesco nel quadro di un memorandum tra Ue e Serbia del luglio scorso.

Oggetto di questo accordo è il litio, essenziale per la produzione di batterie nelle auto elettriche, della miniera serba di Jadar, che garantirebbe ai paesi dell’Unione (e soprattutto alla Germania) l’approvvigionamento tanto necessario all’industria automobilistica (soprattutto tedesca) – alla firma dell’accordo, a Belgrado si erano recati il vicepresidente della Commissione Maros Sefcovic e il cancelliere tedesco Olaf Scholz, proprio per segnalare l’iniziativa di Berlino.

Se nelle dinamiche di rifornimento di litio per i paesi dell’Unione si può già leggere in filigrana il dualismo franco-tedesco, anche un’eventuale unione delle forze di tutti gli europei (britannici compresi) è difficile che possa bastare come garanzia per gli ucraini (vero obiettivo di Kyiv in questo frangente).

Zelensky sembra già voler ricucire con Washington, anche perché l’Ucraina ha probabilmente capito che il sostegno dei soli europei sarà insufficiente.

Se però Kyiv spera che questo porti di nuovo gli Stati Uniti dalla sua parte, è destinata a rimanere delusa.