“Drill Baby, Drill”: l’azione di Trump affossa gli sforzi internazionali per salvare il mare

A pagare il tributo più alto sono gli oceani che in 4 decenni hanno perso metà delle specie marine e assorbito il 93,4% del calore in eccesso prodotto dalle attività umane L'articolo “Drill Baby, Drill”: l’azione di Trump affossa gli sforzi internazionali per salvare il mare proviene da Il Fatto Quotidiano.

Feb 11, 2025 - 15:09
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“Drill Baby, Drill”: l’azione di Trump affossa gli sforzi internazionali per salvare il mare

Di Marevivo

Stiamo uccidendo il mare, giorno dopo giorno. Eppure è l’ecosistema sul quale si regge la vita sul Pianeta che abitiamo e che subisce quotidianamente l’impatto delle attività umane in maniera pesantissima. Anacronisticamente avanzano nel mondo tendenze scettiche o addirittura negazioniste. L’uomo, invece di adoperarsi per affrontare la crisi climatica, provocata dalle proprie attività, continua a spingere sull’acceleratore della crescita e prosegue, incurante, nella spoliazione delle limitate risorse naturali. “Drill Baby, Drill” è il mantra della nuova presidenza Trump, iniziata con la firma di un ordine esecutivo per ritirare gli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi, lo stop ai 4 miliardi di dollari di contributi al Green Climate Fund, la revoca delle concessioni agli impianti eolici offshore, il depotenziamento dell’Environmental Protection Agency (EPA) e l’irruzione del Dipartimento dell’Efficienza Governativa (DOGE) di Elon Musk negli uffici della NOAA, l’agenzia americana che studia il clima e formula previsioni meteorologiche. Decisioni che, oltre a sollevare preoccupazioni sulla gestione dei dati climatici e sulla trasparenza delle informazioni, mostrano quanto il secondo mandato di Donald Trump alla Casa Bianca mini gli sforzi internazionali per affrontare le sfide e le minacce dei cambiamenti climatici, frenando l’attuazione urgente della transizione ecologica e bloccando il percorso verso un futuro sviluppo sostenibile.

A pagare il tributo più alto sono proprio gli oceani che in quattro decenni hanno perso metà delle specie marine e assorbito circa il 30% delle emissioni di anidride carbonica prodotta da noi esseri umani, subendo profonde alterazioni nella loro composizione chimica. Inoltre, l’oceano ha assorbito il 93,4% del calore in eccesso prodotto dalle attività umane, mitigando il riscaldamento globale. Tuttavia, questo ruolo di “ammortizzatore” ha avuto conseguenze, come l’aumento dell’acidificazione e la diminuzione dell’ossigeno disciolto, che influenzano negativamente la vita marina. Nel 2023 la temperatura complessiva di tutto il Mar Mediterraneo ha registrato un aumento di oltre 2 °C rispetto alla media 1982-2011. Dal 1980, le temperature superficiali del mare sono aumentate di circa 1°C nell’Area Marina Protetta del Plemmirio (Siracusa), di circa 4-5°C in più rispetto alla media 1934-2023 nel mare di Trieste e di 1,7-1,8°C nelle aree di Portofino e dell’Isola d’Elba. Questo riscaldamento ha portato a cambiamenti nella biodiversità marina, con la perdita di alcune specie chiave e l’invasione di altre, le cosiddette specie aliene, più adatte ad acque calde.

I dati di Copernicus evidenziano che l’acqua marina si sta acidificando dieci volte più in fretta di quanto sia accaduto negli ultimi 300 milioni di anni ed è oggi più acida di quanto non lo sia stata per più di 20 milioni di anni, con un aumento del 40% dall’era preindustriale. Si tratta di una vera emergenza e se continueremo ad ignorarla, non riducendo le emissioni di CO2, entro il 2100 l’acidità degli oceani è destinata a raddoppiare, se non addirittura a triplicare. Il pH dell’acqua marina è diminuito. L’acidificazione minaccia la salute degli ecosistemi e delle specie marine, riducendo l’integrità del guscio di organismi calcificanti come coralli, plancton, molluschi, compromettendone la sopravvivenza. Ma non è tutto, gli effetti nefasti si ripercuotono anche sulla riproduzione dei crostacei e sullo sviluppo delle larve. Questo significa perdita di habitat e biodiversità, con interruzioni nella catena alimentare, che perde anelli fondamentali all’equilibrio dell’intero ecosistema. Un pericolo sia per microrganismi planctonici importantissimi come i copepodi, minuscoli crostacei, sia per i grandi cetacei come le megattere, con conseguenze gravi anche per la sicurezza alimentare e la stabilità economica dell’umanità.

Eppure continuiamo a rimanere sordi ad ogni grido d’allarme che la natura ci invia. Dovremmo agire uniti, in uno sforzo collettivo a livello mondiale, ma l’inazione impera. Proprio quarant’anni fa Marevivo è nata per proteggere il mare da pesca eccessiva, inquinamento, cambiamenti climatici, ma soprattutto per difendere l’umanità dal perpetrare azioni che ne mettano a repentaglio la sopravvivenza. Recenti studi, pubblicati su Nature e Nature Medicine, dimostrano che negli esseri umani si registra una concentrazione di microplastiche prevalentemente nel cervello, tanto che lo 0,5% del tessuto cerebrale è oggi costituito da plastica. Se non capiamo che uccidere il mare uccide anche noi, cos’altro può spingerci ad invertire la rotta?

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