2040, come ne usciremo? Il Pianeta sarà ancora vivo, ma sempre diseguale. Il futuro che ci aspetta in un libro a più voci
Il giornalista e scrittore Fabio Deotto ha provato a immaginare gli anni che verranno: la transizione ci sarà stata, ma non abbastanza radicale e coraggiosa. E il mondo non sarà un posto migliore L'articolo 2040, come ne usciremo? Il Pianeta sarà ancora vivo, ma sempre diseguale. Il futuro che ci aspetta in un libro a più voci proviene da Il Fatto Quotidiano.

Pianeta 2040: non c’è stato il collasso che parte del mondo ambientalista paventava. Le energie rinnovabili hanno sostituito quelle fossili, la curva delle emissioni non cresce più come prima. Il mondo, però, resta profondamente diseguale, con i Paesi poveri sempre più sfruttati, i dati su ondate di calore e alluvioni occultati e il rischio che pure le fragili conquiste vengano spazzate via. È un esercizio di immaginazione quello contenuto nel libro collettivo Come ne usciremo (Bompiani) a cura del giornalista e scrittore Fabio Deotto, con contributi di Francesca Coin, Meehan Crist, Sergio del Molino, Claudia Durastanti, Omar El Akkad, Vincenzo Latronico, Chigozie Obioma, Angela Saini. Un quadro in cui è dipinto un futuro non lontano, per spronarci ad agire là dove si vedono con chiarezza zone oscure.
Com’è nata l’idea di un libro a più mani sul mondo nel 2040?
Si tratta di un’opera collettiva di speculative nonfiction. L’idea era di utilizzare una sponda futura il più possibile realistica per illuminare gli angoli in ombra del presente, concentrandoci su dinamiche già esistenti che però non sono ancora del tutto visibili, come quelle riguardanti le migrazioni, la crisi climatica, il lavoro, etc. L’obiettivo era risultare più realistici possibile senza scivolare nella distopia e nella fantascienza, utilizzare gli strumenti della saggistica e del giornalismo per raccontare qualcosa che ancora deve succedere. Quando si è trattato di mettere insieme tutto, ci siamo immaginati un mondo dove le cose vanno leggermente meglio che adesso: c’è stata una transizione energetica, ma non abbastanza radicale e coraggiosa. Non solo: nel nostro 2040, dato che le curve di sviluppo non convergono più verso il punto di collasso, c’è chi non vede l’ora di tornare a crescere e riattivare quel macchinario produttivo ed economico che ci ha portato sull’orlo del baratro.
Voi raccontate come la transizione non abbia portato una uguaglianza socioeconomica, creando di fatto, in certi casi, una sorta di generazione di nuovi schiavi e cittadini di serie b.
L’immagine di un mondo con cittadini a due livelli è contenuta nel pezzo di Angela Saini, che immagina che nella Gran Bretagna della seconda metà degli anni Trenta, a seguito di un aumento delle migrazioni, verrà a istituita una cittadinanza di secondo livello, ufficializzando per legge che alcune persone abbiano meno diritti di altre. Una misura che potrebbe ispirare anche altri Paesi che, in questo 2040, mantengono ancora un’apparente democraticità.
Un altro rischio paventato nel libro è quello di società che nascondono sistematicamente i dati sulle morti da caldo e da cambiamento climatico.
Omar El Akkad ha immaginato che una serie di nazioni decideranno di nascondere la reale portata delle morti legate alle inondazioni, alle migrazioni, alle guerre e alle ondate di calore. La cosa interessante è che, oltre a immaginare una prospettiva futura, il suo articolo si aggancia a qualcosa di già esistente, perché queste pratiche di distorsione di statistiche e dati, come spiega nel pezzo, si osservano almeno dai primi anni duemila.
Nel vostro scenario ci rimettono tutti, però a stare peggio saranno comunque sempre i Paesi più poveri.
Il rischio concreto, che vediamo già oggi, è che la transizione vada ad avvantaggiare l’Occidente e che venga attuata esternalizzando i problemi nei Paesi più poveri. Questo sta già succedendo. Noi abbiamo immaginato un mondo in cui la transizione è iniziata, le cose sembrano andare meglio ma appena allarghi lo sguardo ti rendo conto che il costo di quella transizione la sta pagando ancora una volta il sud globale.
Nel mondo che immaginate ovviamente ci sono rivolte. Sia quella quelle delle donne per la giustizia riproduttiva, dopo un episodio tragico di morte di caldo di un bambino appena nato, sia contro gli autoritarismi crescenti, anche in Occidente.
Sergio del Molino ha scritto un pezzo utile per immaginare il passaggio tra i nostri giorni e il periodo compreso tra il 2030 e il 2040. Prima che le cose inizino ad andare meglio andranno molto peggio, soprattutto a livello politico a causa del dilagare dei neofascismi; poi, a partire dalla fine degli anni Venti, la situazione inizia a cambiare in senso positivo, anche grazie a una serie di eventi come quello raccontato da Meehan Crist nel pezzo sulla congiunzione tra i movimenti climatici e quelli per la salute riproduttiva. Credo sia una grande intuizione, perché una delle sfide maggiori nell’affrontare la crisi climatica è proprio tracciare ponti e interconnessioni tra diversi fronti.
Un altro tema del libro è come cambia il lavoro e la geografia dei lavoratori nei prossimi decenni.
Sì: Vincenzo Latronico ha immaginato una gentrificazione rurale nell’Agro Pontino ad opera di investitori stranieri che farà emergere anche le contraddizioni di una transizione ecologica gestita male; mentre Francesca Coin immagina che, dopo tutto l’esaurimento post-pandemia e i ritmi di lavoro sempre meno sostenibili, nel giro di dieci anni si arriverà all’introduzione in Europa della settimana corta. Questo andrà a liberare il tempo, creando i presupposti perché il lavoro non sia più il baricentro della vita di un individuo, ma solo una componente. È un tema su cui si ragione poco: eppure andando avanti verso una transizione efficace dovremmo produrre e lavorare di meno.
In conclusione: siamo andati avanti, non ci siamo estinti, le energie rinnovabili hanno preso il sopravvento, ma il mondo è rimasto diseguale e pieno di contraddizioni e problemi.
Sì, il punto è che continuare a cercare misure emergenziali significa limitarsi a rimandare il collasso, e questa chiaramente non è una vera soluzione. La soluzione sarebbe affrontare le radici della questione, invece di fare della transizione un’operazione poco più che cosmetica; altrimenti, appena l’emergenza finisce, si rischia di tornare a correre più di prima, come è successo con il Covid. La transizione che immaginiamo nel futuro condiviso di quest’opera è piuttosto avanzata dal punto di vista energetico, il problema è che se non si ripensa il sistema economico e sociale dalla base il collasso continuerà ad aspettarci all’orizzonte.
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