Dimissioni di fatto: la reintegra sul posto di lavoro è possibile
Dimissioni di fatto senza NASpI: salva il posto il lavoratore che giustifica l'assenza prolungata ma in alcuni casi l'ultima parola spetta al giudice.

Due chiarimenti importanti del ministero sulle cosiddette dimissioni di fatto introdotte dal Collegato Lavoro di fine 2024.
- La prima riguarda i 15 giorni di assenza ingiustificata che in base alle nuove regole sono il presupposto per le dimissioni di fatto: i contratti collettivi possono introdurre solo termini più favorevoli per il lavoratore e non prevedere che le dimissioni di fatto possano scattare dopo un periodo più breve.
- La seconda riguarda il caso in cui l’Ispettorato del Lavoro verifichi l’insussistenza delle condizioni per le dimissioni di fatto: in questa fattispecie, il rapporto di lavoro deve essere ricostituito per iniziativa del datore di lavoro, il quale può però opporsi, ritenendo non valide le ragioni del dipendente e non procedere a ripristinarlo.
Cosa sono le dimissioni di fatto
Il Ministero del Lavoro fornisce queste indicazioni in una riposta al Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro su questioni interpretative legate alla recente Circolare 6/2025. I chiarimenti riguardano le dimissioni di fatto introdotte dall’articolo 19 della Legge 203/2024 (il Decreto Collegato Lavoro), in base alle quali l’assenza ingiustificata dal lavoro per più di 15 giorni comporta le dimissioni di fatto. Prima, lo stesso comportamento era sanzionabile con il licenziamento con conseguente diritto alla NASpI (il sussidio di disoccupazione), mentre adesso le dimissioni di fatto non consentono più di accedere all’ammortizzatore sociale.
Reintegra per assenza giustificata
La procedura prevede che l’azienda effettui prima di tutto una comunicazione all’INL (Ispettorato Nazionale del Lavoro) segnalando l’assenza prolungata e ingiustificata del lavoratore, affinché si avvii la necessaria istruttoria. L’effetto risolutivo del rapporto potrà essere evitato laddove si dimostri l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza.
La Circolare 6/2025 del Ministero del Lavoro prevede il ripristino automatico del rapporto di lavoro qualora il lavoratore dia effettivamente prova di non essere stato in grado di comunicare i motivi dell’assenza, così come nell’ipotesi in cui l’Ispettorato accerti autonomamente la non veridicità della comunicazione del datore di lavoro.
I Consulenti del Lavoro hanno chiesto un ulteriore chiarimento interpretativo sulla soluzione da adottare nel caso in cui il datore di lavoro non proceda al ripristino del rapporto, ritenendo insufficiente la prova offerta dal lavoratore o non condividendo la verifica dell’Ispettorato, o nell’ipotesi di presentazione delle dimissioni per giusta causa successivamente alla procedura menzionata.
La risposta contempla due diverse situazioni:
- se l’ispettorato verifica l’insussistenza per le dimissioni di fatto, il rapporto di lavoro va ricostituito per iniziativa del datore di lavoro a meno che quest’ultimo ritenga non valide le ragioni del lavoratore (ed evidentemente, questo è un caso che finisce quindi davanti al giudice);
- se il lavoratore presenta dimissioni volontarie dopo l’avvio della procedura, queste producono effetto nel momento in cui vengono perfezionate e, se sono per giusta causa, la verifica delle ragioni è oggetto di confronto fra le parti, anche presso la sede giudiziale.
Il termine dei 15 giorni
Un ulteriore chiarimento riguarda l’ipotesi che i contratti di lavoro prevedano termini diversi dai 15 giorni per far scattare le dimissioni di fatto. La norma, stabilisce il Ministero, non consente «interpretazioni peggiorative della posizione del lavoratore». Se invece la contrattazione collettiva potesse ridurre il termine dei 15 giorni, «le parti potrebbero fissare una durata minima, anche esigua, tale da non porre il lavoratore in condizioni di giustificare le ragioni della sua assenza».
In definitiva, il rimando alla contrattazione collettiva contenuta nella legge va inteso come periodo minimo, che i contratti possono eventualmente alzare, non ridurre.