Deborah Gambetta: "Salvarsi da un amore malato è una questione matematica: io e l’incompletezza di Gödel"
La scrittrice nata a Torino e cresciuta nella Bassa romagnola è nella dozzina dello Strega "Più mi addentravo nella mente dello scienziato, più mi sentivo Alice nel Paese delle meraviglie".

Che bella parola “incompletezza“, nei tempi di oggi che ci sfuggono sotto le mani. E ancora di più se applicata a un mondo che sembra così lineare come quello della scienza, facendocela sentire forse più vicina. A farne una teoria, sostenendo che esistevano enunciati matematici di cui non si poteva determinare la verità o la falsità, e squarciando un bel po’ di certezze dell’epoca (era il 1930), è stato il moravo Kurt Gödel. Una di quelle beautiful mind al centro del libro di Deborah Gambetta: Incompletezza, appunto (Ponte alle Grazie). Dieci anni di studi, di cui cinque di scrittura, seicento pagine che oscillano fra la vita e la mente dello scienziato e l’autobiografia dell’autrice, che si addentra in questo mondo mentre sta uscendo da un amore malato. Un gioco di specchi, di ossessioni e rinascite, che ne fanno un libro potente, che sta stretto nel genere biografia, ora fra i dodici titoli in lizza per lo Strega. Cresciuta nella Bassa romagnola, Gambetta è tornata nella sua città natale, Torino, ed è stata la prima a essere sorpresa per la nomina nella dozzina. "Un libro non facile – spiega – con molta matematica".
Gambetta, nel libro ci sono più piani: il racconto della parabola umana di Gödel, fra Austria e Stati Uniti, ma anche la vita dell’autrice. L’aveva concepito così o l’idea è venuta scrivendo?
"All’inizio mi interessava capire Gödel, solo dopo ho pensato di scrivere di lui e mi sono chiesta in che modo. L’aggancio è stata la fine di una relazione con un uomo che mi ha lasciata devastata: molte cose erano ferme nella mia vita, così ho pensato di buttarmi nella scrittura. Entrare nel libro anche io, in un momento in cui non avevo più niente da perdere, è stato automatico e questo gioco di rispecchiamento è venuto man mano".
Nel libro racconta cosa come si è avvicinata a questa figura. Ma se dovesse dire oggi cosa la “catturò“ davvero?
"Sono sempre stata appassionata di testi divulgativi scientifici. Quando ho incrociato Gödel in diverse letture e ho capito come sono nati i teoremi dell’incompiutezza sono rimasta folgorata. Non avevo nulla a che fare con questa disciplina, ma mi sono incuriosita e ho capito che se dovevo scrivere di lui dovevo capire anche i suoi lavori. Questo significava mettersi a studiare da zero ma, ripeto, non avevo nulla da perdere. E come che mi addentravo, ho scoperto un mondo alieno, meraviglioso. Mi sentivo come Alice nel Paese delle meraviglie".
Perché ha scelto di inserire vere e proprie pagine di matematica?
"Senza raccontare la matematica di Gödel, questo libro per me non avrebbe avuto senso. Non potevo prescindere dal suo lavoro, mi sembrava di ingannare lui e il lettore. Non mi interessava tracciare una figura folcloristica. C’è comunque un espediente: abbiamo aggiunto asterischi e pagine che si possono saltare, riassunti. Per me è stato un viaggio meraviglioso: tanta fatica, tanta frustrazione, ma anche gioia. Mi ha dato tanto, anche come consapevolezza di altre cose".
Ad esempio?
"Che le grandi scoperte sono grandi avventure umane. E che fare matematica a questi livelli richiede un grande investimento creativo".
Scrittori e matematici si somigliano dunque?
"Ne sono sempre più convinta".
Ci sono state figure di scienziati e matematici “pop“. Einstein, amico di Gödel, John Nash e di recente Oppenheimer, anche grazie a importanti operazioni cinematografiche. Forse Gödel è rimasto meno noto? Eppure, le sue teorie valgono ancora oggi.
"Benché sia fautore di una delle tre grandi scoperte del Novecento – con la relatività di Einstein e la fisica quantistica di Bohr e Heisenberg –, è uno scienziato più di nicchia, con meno risonanza mediatica. Ma se oggi lavoriamo al computer lo dobbiamo alle sue scoperte. Di certo non era estroverso, non era calato nella dimensione del reale come Einstein".
L’uomo Gödel, noto per le ipocondrie, portate all’estremo alla fine della sua vita (smise di mangiare per timore di essere avvelenato), chi era?
"Una persona estremamente fragile. Ho certamente cavalcato quel binomio “ultraletterario“ che è genio e follia. Paranoia e attacchi psicotici hanno segnato la sua parabola esistenziale. Non era in grado di muoversi nel mondo reale e ha avuto accanto personalità che hanno fatto da filtro, fra cui la moglie Adele".
Una ballerina, un personaggio chiave.
"Una donna estremamente diversa, per estrazione sociale e cultura, ma fu l’unica a “tenere insieme“. Una figura straordinaria, senza di lei non sarebbe stato lui".
Questa storia l’ha portata decisamente lontana dalla sua Romagna, due anni fa colpita da terribili alluvioni.
"La mia appartenenza però è qui, non riesco a distaccarmi. Sì, mi ricordo che non riuscivo a tornare, con i treni interrotti. Ogni volta che piove c’è il terrore che possa ricapitare. Questa è una terra di fiumi, l’angoscia c’è".
Cosa pensa degli altri libri della dozzina dello Strega?
"I titoli sono abbastanza eterogenei e questo è sintomo di vivacità. Quest’anno molto si è parlato della follia, poi non so se sia un comune sentire del tempo. Io l’arrivo tra i 12 l’ho preso tranquillamente, già per me è tantissimo essere qui".