Dazi Usa, l’economista: “Non dobbiamo reagire. Faremmo altro danno”

Simoni (Luiss): “Chi mette i dazi paga un prezzo alto”

Apr 3, 2025 - 06:50
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Dazi Usa, l’economista: “Non dobbiamo reagire. Faremmo altro danno”

Roma, 3 aprile 2025 –  Ci siamo. Come più volte annunciato arrivano i dazi di Trump. Ma Marco Simoni, docente di Politica economica europea alla Luiss, va controcorrente e a Bruxelles suggerisce di mantenere la calma edi evitare di combattere gli Usa a colpi di controdazi.

Marco Simoni
MARCO SIMONI, LUISS UNIVERSITY

Scusi, professore, ma così non rischiamo di perdere in partenza?

"No, anche perché il mondo è cambiato. Non siamo mica nel 1960 quando i dazi servivano a far nascere industrie che prima non esistevano. Pensiamo, ad esempio, al settore dell’auto. Ma in tutti gli altri casi della storia economica, il Paese che mette i dazi è quello che paga poi il prezzo più alto".

Eppure, Trump sostiene che così l’America tornerà grande?

"Quello che dice non è possibile. Anche perché c’è un altro elemento da considerare. Non abbiamo nessun prodotto che viene realizzato in un singolo Paese. È chiaro che se, ad esempio, gli Usa decidono di aumentare i dazi sulla componentistica dell’auto, saliranno anche i costi di produzione delle vetture realizzate in America. Senza contare gli effetti sull’inflazione. Ci sarà, cioè, un doppio danno. Insomma, gli Stati Uniti più aumenteranno i dazi e più rischieranno la recessione".

Che cosa dovrebbe fare l’Ue?

"Non credo che sia intelligente reagire ai dazi con altri dazi. È come decidere di difendersi da un avversario che si sta facendo del male da solo, con la stessa strategia. Anche in Europa ci sarebbe un aumento di inflazione e costi di produzione".

Scusi se insisto, ma dovremmo restare fermi?

"In primo luogo i dazi di Trump già cominciano a fare danni sui mercati, molto veloci ad anticipare i movimenti dell’economia reale. Non a caso, stanno punendo il settore dell’automotive, dove aumenteranno i costi di produzione. Ma l’Europa ha molte altre armi per reagire a Trump".

Quali?

"Cominciamo, ad esempio, a far rispettare le leggi che regolano l’editoria anche alle piattaforme dei social. Non si capisce perché il direttore di un giornale rischia il reato di diffamazione se pubblica una fake news e Musk, invece, no. Per non parlare della questione fiscale. Mi rendo conto che è più complicata. Ma vorrei ricordare solo un fatto. Era stato raggiunto un accordo, in seno all’Ocse, che fissava i criteri della cosidetta global minimun tax sulle grandi multinazionali digitali. Mancava solo l’ultimo passo. E, invece, la prima cosa che ha fatto Trump quando è arrivato alla Casa Bianca è stato di uscire da questa intesa. Non caso, alla sua cerimonia di insediamento, in prima fila, c’erano proprio i vertici delle ‘big tech’ americane. Ed è una cosa davvero inaccettabile. Queste multinazionali utilizzano i nostri servizi pubblici, impiegano i giovani che si sono formati nelle nostre università pubbliche, ma pagano pochissmo al fisco".