Dazi universali al 20%, nuove contromisure da Europa e Asia per fermare Trump
L’idea di dazi globali al 20% voluta da Trump agita Europa e Asia, che preparano risposte coordinate per arginare una politica commerciale sempre più spinta e una retorica senza freni

L’amministrazione Trump naviga nelle acque tempestose delle strategie tariffarie, con il prossimo 2 aprile indicato pomposamente dal presidente come “giorno della liberazione”. Secondo il Wall Street Journal, alla Casa Bianca infuria un acceso braccio di ferro tra chi vorrebbe dazi universali del 20% e chi, invece, preferirebbe una complessa danza diplomatica fatta di tariffe personalizzate, cucite addosso a ciascun partner commerciale.
Trump, dazi universali o tariffe su misura: il grande dilemma
Il cuore del confronto sta proprio qui: scegliere la strada di un’unica tassa indistinta, facile da comunicare e più dura da digerire per tutti, oppure adattare con cura le misure in base ai singoli rapporti commerciali. Trump, maestro indiscusso nel rimescolare continuamente le carte, sembra incline al gioco della reciprocità, spingendo i collaboratori a produrre cifre nette, semplici e immediate per ogni Paese con cui gli Usa hanno conti in sospeso. Ma, al solito, la partita resta aperta.
Nella sua ossessione per la semplificazione, il presidente americano vuole sbarazzarsi delle complessità che rendono nebulosi i negoziati internazionali. Tuttavia, dietro le porte della Casa Bianca, tra corridoi e sale riunioni, resta ancora incerto il finale di questo melodramma economico: tariffa unica per tutti o la più complicata, ma diplomatica, scelta su misura.
Il fascino pragmatico di un dazio universale è evidente, ché promette chiarezza immediata. Ma l’alternativa, quella delle tariffe “ad personam”, garantisce agli Usa margini strategici più ampi, una diplomazia economica con cui giocare di fino.
L’Europa valuta contromisure
Dall’altra parte dell’Atlantico, l’Europa si muove con la prudenza del caso. Antonio Tajani, ministro degli Esteri italiano, ha già sottolineato che ogni trattativa commerciale deve avvenire a livello comunitario, non con approcci individuali che rischiano di indebolire l’intero blocco. Bruxelles, intanto, ha attivato le antenne: si valuta un ventaglio di misure da adottare in caso di escalation, incluse eventuali contromosse che potrebbero toccare beni americani strategici.
Il Vecchio Continente, memore della guerra commerciale scoppiata durante il primo mandato di Trump, non intende farsi cogliere impreparato. Ma sa anche che una risposta scoordinata rischierebbe di trasformare una crisi diplomatica in una slavina economica.
La risposta compatta di Cina, Giappone e Corea del Sud
In una recente intervista alla Nbc, Trump ha mostrato che non intende retrocedere di un millimetro: niente rinvii e niente concessioni senza contropartite sostanziose. Il presidente, con il solito stile che oscilla tra provocazione e cinismo, ha persino ammesso di non preoccuparsi affatto di eventuali rincari delle auto importate, anzi, se i prezzi dovessero salire, “tanto meglio per le auto americane”.
Non sorprende quindi la risposta compatta proveniente da Oriente. Cina, Giappone e Corea del Sud hanno reagito annunciando una cooperazione economica più stretta e rilanciando con un acceleratore premuto sui negoziati per l’accordo trilaterale di libero scambio, da anni in bilico e ora considerato urgente in risposta alla sfida americana.
L’incontro ministeriale svoltosi recentemente a Seul, il primo di questo livello dopo cinque anni, ha visto protagonisti Ahn Duk-geun (Corea del Sud), Yoji Muto (Giappone) e Wang Wentao (Cina), pronti a rafforzare l’intesa economica regionale contro le nuove mosse tariffarie di Washington.
La Groenlandia e l’ambizione americana
Nella trama intricata di questo film economico emerge anche il curioso caso della Groenlandia. Trump, in un eccesso di sicurezza, ha ribadito senza esitazioni che l’isola sarà americana, con o senza gentilezza diplomatica. Frederik Nielsen, primo ministro groenlandese, ha risposto con una freddezza glaciale degna delle latitudini del Paese, confermando una sovranità che non accetta intrusioni.
Difficile trattenere il sarcasmo quando chi si presenta come liberatore planetario si permette il lusso di fantasticare sull’annessione di territori altrui. La Groenlandia, con la sua identità e la sua autodeterminazione, viene trattata come un lotto edificabile da inglobare nel portfolio geopolitico di Washington. Più che una contraddizione, una caricatura della retorica liberista americana a cui siamo purtroppo fin troppo abituati.
Trump accelera sulla strategia aggressiva
Le ultime indiscrezioni riportano come il presidente, negli ultimi giorni, abbia alzato il tiro, spingendo i suoi consiglieri verso strategie più aggressive e tariffe più pesanti per un numero crescente di Paesi, soprattutto quelli che fanno pendere la bilancia commerciale americana dalla parte sbagliata.
L’amministrazione è sotto pressione: domani Trump riceverà dall’Ufficio del rappresentante commerciale Usa il documento definitivo. Anche se non è ancora certo se le nuove misure tariffarie saranno ufficialmente rese note il 2 aprile, questa data rimane indicativa di una svolta potenzialmente radicale nella strategia economica statunitense.