Dazi e Borsa puniscono le Big Tech che hanno scommesso su Trump
A seguito dell’annuncio ufficiale dei dazi sulle importazioni statunitensi, Wall Street è crollata a picco. A patire particolarmente della situazione sono state le aziende tecnologiche, fiore all’occhiello dell’S&P 500, indice azionario che ha perso in una sola giornata il 4,83% del suo valore. In altre parole, sono andati in fumo circa 2,5 milioni di miliardi […] The post Dazi e Borsa puniscono le Big Tech che hanno scommesso su Trump appeared first on L'INDIPENDENTE.

A seguito dell’annuncio ufficiale dei dazi sulle importazioni statunitensi, Wall Street è crollata a picco. A patire particolarmente della situazione sono state le aziende tecnologiche, fiore all’occhiello dell’S&P 500, indice azionario che ha perso in una sola giornata il 4,83% del suo valore. In altre parole, sono andati in fumo circa 2,5 milioni di miliardi di dollari. Una direzione che potrebbe andare ad aggravarsi, visto che le prestazioni del primo trimestre fiscale delle Big Tech promettono notevoli turbolenze.
La scenografica presentazione delle nuove tasse da parte dell’Amministrazione Trump ha rivelato un aumento di costi d’importazione che, a seconda dell’area geografica, spaziano dal 10% al 50%. Il contraccolpo è stato immediato e ha toccato le molte aziende che negli anni hanno subappaltato all’estero i lavori più umili della loro filiera, nonché quelle che hanno la necessità di acquistare materie prime e semilavorati dalle imprese estere. Le grandi aziende tecnologiche rientrano in entrambe queste categorie.
Meta, Amazon e Apple hanno registrato un calo del 9%, HP il 15% e Dell il 16%. Le quotazioni di Nvidia sono scese dell’8%, mentre è andata peggio per gli altri produttori di microchip: Broadcom, Advanced Micro Devices e Qualcomm hanno toccato il -10%. Anche Alphabet, azienda madre di Google, e Microsoft non ne sono uscite indenni, subendo reciprocamente un crollo del 4% e del 2%. Complessivamente, l’indice di Borsa orientato alle realtà tecnologiche, il Nasdaq, ha registrato un’evoluzione negativa del 6%. Le “Magnifiche sette” (Apple, Amazon, Nvidia, Meta, Microsoft, Alphabet e Tesla) hanno perso complessivamente un valore di Mercato pari a un milione di miliardi di dollari.
Wall Street non ha visto sconvolgimenti di tale portata sin dal periodo pandemico del 2020 e gli economisti statunitensi parlano già con trasparenza del pericolo di incappare in un periodo di recessione. I guai delle Big Tech non sono però finiti, anzi rischiano di aggravarsi entro tempi brevi. Essendo arrivati ad aprile, le aziende quotate in Borsa stanno progressivamente comunicando i risultati fiscali del primo trimestre del 2025, un inizio anno che non sembra aver assecondato le ottimistiche proiezioni di crescita promesse dai dirigenti.
Negli ultimi anni, le grandi aziende tecnologiche hanno puntato il tutto per tutto sulle intelligenze artificiali, tuttavia l’avvento di alternative apparentemente più economiche hanno sollevato dubbi sull’efficacia delle onerose strade intraprese dai marchi statunitensi, ancor più che realtà d’alto profilo quali OpenAI continuano a prospettare agli investitori periodi di magra sempre più lunghi. La promessa di tradurre le spese iniziali in un ritorno economico tangibile vengono infatti fatte slittare almeno al 2029, intiepidendo l’entusiasmo della finanza nei confronti di questa tecnologia.
Non aiuta inoltre il fatto che, stando a quanto fa notare The Information, i grandi clienti che stanno attualmente acquistando i servizi di IA non sembrano interessati a ottenere strumenti più raffinati a un costo maggiorato, quindi non è detto che il piano di monetizzazione auspicato dalle Big Tech possa prendere forma su scala massiva. L’incertezza politica fa male alle Borse, ma a creare problemi è dunque anche il fatto che, nonostante gli avanzamenti tecnici, non è ancora chiaro se i modelli di intelligenza artificiale saranno in grado di soddisfare le vertiginose aspettative del pubblico. Nel dubbio, Microsoft sta già rivedendo i suoi piani espansionistici, sospendendo la costruzione di ulteriori centri dati che avrebbero consentito la scalabilità dei progetti di IA e cloud.
[di Walter Ferri]
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