Csaba della Zorza docet. “Come distinguersi oggi? Regole, gentilezza, rispetto”

La signora delle buone maniere ha scritto il suo primo libro, ‘La governante’. “Non è la mia storia ma strizza l’occhio alle mie competenze ed è femminista”

Mag 12, 2025 - 04:33
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Csaba della Zorza docet. “Come distinguersi oggi? Regole, gentilezza, rispetto”

Roma, 12 maggio 2025 – I piatti belli: da usare tutti i giorni e non solo a Natale perché la vita è breve. Posate e bicchieri: troppi non fanno stile ma pretesto, il primo passo falso verso l’inappropriato. E lei fra i tavoli, eterea come Jaqueline Kennedy, a ripetere che la forchetta va a sinistra, che è rivoltante parlare con la bocca piena.

Per ridere, un rimpianto: “Non avere fatto la pubblicità della carne in scatola: a quest’ora avrei una casa in campagna”. Però la mangia, la carne in scatola? “No, mai assaggiata. Non sarei Csaba dalla Zorza”.

Csaba dalla Zorza non possiede nemmeno una tuta, in casa indossa solo vestaglie di lino e velluto. E così la immaginano gli italiani, ai quali ha insegnato la differenza fra il cucchiaino da tè e quello da dessert. Una signora con un nome maschile, omaggio del padre al ciclista ungherese per il quale faceva il tifo, che in cima a tutte le soddisfazioni, dopo tanta televisione e tanti libri di ricette, ha scritto “con una fatica tremenda “il suo primo romanzo, la Governante. Esperta di buone maniere, food lover, guru dell’arte di apparecchiare, appassionata di cucina francese, vestale di eleganza.

Chi è davvero? Che mestiere fa? E la casa in campagna: alla fine l’ha comprata?

“Resta il mio sogno nel cassetto ma ho la chiave in tasca. Me lo immagino in Francia, in Piemonte, forse in Toscana. La carne in scatola era Lucifero, una proposta irresistibile alla quale ho resistito per coerenza. Arrivano a volte certi lavori che rifiuto per non prestare la voce a prodotti in cui non credo. Per adesso vivo a Milano. Faccio tanti mestieri, tutti a partita Iva. Fondamentalmente scrivo”.

Non si può parlare del suo romanzo senza rischiare lo spoiler. Una cosa può dirla: la governante è lei?

“Ci siamo contaminate a vicenda e il titolo strizza l’occhio alle mie competenze, ma non è la mia storia”.

Però viene ribadito che il coltello non può tornare sulla tovaglia una volta usato. Quanto contano le buone maniere? “Sembra che non siano più necessarie alla sopravvivenza, come l’educazione e il rispetto. A tavola, in auto. Rispettare le regole è una forma di altruismo. Essere gentili e sapere con quale forchetta mangiare una pietanza oggi rende diversi. Non è detto che sia importante per tutti, infatti il mio gatto sulla sua ciotola è più composto di tanta gente. Parlare mentre si mastica è rivoltante, concordo con la governante. Però se lo fai notare ti dicono: io sono fatto così. Come le parolacce, una punteggiatura a caso. Nel libro ne ho messa una e mi è costata tantissimo, il momento era drammatico e ci voleva”.

La governante che alla fine sceglie di sganciarsi da tutto per pensare a se stessa è un manifesto femminista.

“Uomo, donna, famiglia: il libro parla di questo. Continuiamo purtroppo a subire una cultura potentemente maschilista, dove la sposa è un oggetto di proprietà consegnata dal padre al marito e il matrimonio un rogito. Ognuno dovrebbe camminare all’altare da solo e autoconsegnarsi per scelta. Credo che l’uomo non abbia ancora capito, infatti troppe donne vengono uccise perché scelgono di non amare più”.

Cucinare non è più una necessità. C’è il delivery, si trovano nei supermercati le uova già sode. La scandalizza?

“Mia nonna, per sminuire qualcuno, diceva: non è nemmeno capace di bollire un uovo. Siamo dentro un generale impoverimento della capacità umana e il punto non è la competenza ma la pigrizia. Per egoismo e pigrizia andremo incontro all’estinzione, so che adesso più che una governante sembro un prete. Tutti possono trovare una pizza da asporto a non più di 500 metri da casa ma i miei vicini assoldano due delivery diversi, uno per il sushi e uno per l’hamburger. Penso: siete morti e non lo sapete”.

Bon ton non le piace, perché? “È atteggiarsi, non sono io. Sto dalla parte delle regole e, appunto, delle buone maniere. E mi piace il bello, che oggi costa come il brutto. Ricordo che cinquanta anni fa mi imponevano biancheria terribile perché non c’erano i soldi per andare da Pupi Solari. Adesso vestirsi con gusto non è più questione di prezzo, anzi forse è più facile fare pasticci comprando cose a caso in boutique”.

Qual è la prima cosa che nota entrando in una cucina?

“Se viene utilizzata oppure no. Cerco i fondamentali per simulare un pranzo, un minimo di disordine. Quando vedo l’orchidea vicino ai fornelli capisco che prima o poi arriverà il delivery”.