Con i dazi rischiano 30mila lavoratori in Italia, i settori più colpiti
Secondo Conflavoro, i dazi potrebbero tradursi in una contrazione del Pil dello 0,1%, una perdita di 2 miliardi di euro sull’export e la messa a rischio di 30mila posti di lavoro

Una contrazione del Pil dello 0,1%, una perdita secca sull’export di 2 miliardi di euro e 30mila posti di lavoro a rischio. Sono le stime elaborate dal Centro Studi di Conflavoro dopo l’annuncio di Trump sull’aumento del 20% dei dazi nei confronti dei prodotti Ue. Nonostante siano stati sospesi per 90 giorni, il rischio di una revoca è sempre dietro l’angolo.
Quanto siamo dipendenti dagli Usa
Nel 2024, l’export italiano verso gli Stati Uniti ha raggiunto i 64,7 miliardi di euro, corrispondenti al 10,4% del totale delle esportazioni nazionali. Gli Usa sono quindi il primo mercato di destinazione extra-Ue per il Made in Italy. Nel frattempo, le esportazioni americane verso l’Italia hanno toccato i 28,4 miliardi, con una netta predominanza di prodotti farmaceutici, chimici, macchinari industriali e mezzi di trasporto. Con un Pil italiano di 2.192 miliardi di euro e un export complessivo superiore a 623 miliardi (pari al 28,5% del Prodotto interno lordo), il contributo degli Stati Uniti risulta cruciale e difficile da sostituire nel breve periodo.
Secondo i dati del Centro Studi di Conflavoro, l’introduzione dei nuovi dazi potrebbe comportare una perdita di 700 milioni per il settore agroalimentare, con impatti significativi su vino, formaggi e olio d’oliva, determinando una riduzione di 5mila posti di lavoro. Il settore moda e lusso potrebbe subire una perdita di circa 400 milioni, con la perdita di 4mila posti, mentre il mercato della meccanica e dell’automotive potrebbe affrontare una contrazione di circa 500 milioni, con la stessa perdita occupazionale sempre di 4mila unità.
Quanti posti di lavoro perderemo
Sommando gli impatti settoriali, la perdita complessiva di export stimata è di 2,23 miliardi di euro, con un effetto di contrazione del Pil dello 0,1% (circa 2 miliardi) e fino a 30mila posti di lavoro a rischio, principalmente nei settori agroalimentare (5.700 posti), moda e lusso (4.500 posti) e meccanica e automotive (4.500 posti). Per quanto riguarda la spesa pubblica, il Centro Studi di Conflavoro stima un incremento di 160 milioni di euro per la CIG/CIGS e 125 milioni per l’erogazione di NASpI. Queste stime potrebbero variare in base alla durata e all’estensione delle misure doganali, ma offrono un primo quadro dell’impatto economico complessivo.
Settore | Posti a rischio |
---|---|
Agroalimentare | 5.700 |
Moda e Lusso (inclusi Cosmetica e Profumeria) | 4.500 |
Meccanica/Automotive | 4.500 |
Arredamento di design | 3.400 |
Cantieristica navale | 3.000 |
Turismo (indiretto) | 2.300 |
Altri settori (microimprese principalmente Artigianato e Manifatturiero) | 1.000 |
Indotto generale | 5.600 |
Totale | 30.000 |
Le regioni più colpite
Particolarmente vulnerabili rispetto ai nuovi dazi, secondo il Centro Studi di Conflavoro, risultano le regioni del Centro–Nord, cuore pulsante dell’export nazionale verso gli Stati Uniti. Le esportazioni delle principali regioni sono le seguenti:
- Lombardia (14,3 miliardi di euro);
- Emilia Romagna (10,4 miliardi);
- Toscana (9,1 miliardi);
- Veneto (7,3 miliardi);
- Piemonte (6,4 miliardi).
Anche il Centro-Sud, pur con un mercato meno rilevante, registra esportazioni importanti verso gli Usa:
- Lazio (5,4 miliardi);
- Campania (3,2 miliardi);
- Marche (3,2 miliardi);
- Puglia (2,1 miliardi);
- Sicilia (1,6 miliardi);
- Calabria (1,2 miliardi).
La proposta di Conflavoro: “10 miliardi dal Pnrr”
Per evitare che i dazi siano un macigno pesantissimo sull’economia italiana, Roberto Capobianco, presidente nazionale di Conflavoro, mette diverse proposte sul tavolo per aiutare le Pmi:
“Proponiamo di attivare un piano da 10 miliardi di euro, derivanti da fondi inutilizzati del Pnrr, sulla falsariga di RePowerEU, per salvaguardare le filiere più esposte, rafforzare il Made in Italy e sostenere l’export delle Pmi anche verso mercati alternativi. Bisogna evitare una guerra dei dazi che diventerebbe facilmente una guerra dei mondi, causando un ulteriore aumento del costo del denaro che metterebbe in seria difficoltà l’accesso al credito per tutte le Pmi”.